Clive Barker - Galilee

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Galilee: краткое содержание, описание и аннотация

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Una saga grandiosa in bilico fra realtà e soprannaturale dove si intrecciano i destini di due famiglie — una di stirpe divina, l'altra umana ma potentissima - divise da sempre da un odio atavico. E quando scatta il colpo di fulmine tra Rachel e Galilee, i discendenti delle due dinastie, gli antichi rancori riemergono scatenando una travolgente guerra dei mondi attraverso il Tempo e lo Spazio. Tradimenti, lussuria e magnifiche visioni metafisiche in una storia di linee di sangue intrecciate che riflette i conflitti celati nella nostra anima più segreta.

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“Farò del mio meglio, te lo giuro.”

“Ne sono sicura”, ha detto lei con dolcezza. “Ma potrebbe volerci più coraggio di quanto ne possiedi. Sei cosi umano, Maddox. Ho sempre trovato difficile apprezzare questo tuo lato.”

“Non posso farci molto.”

“Tuo padre ti amava proprio per questa ragione…” la sua voce ridotta a un sussurro. “Che disastro, tutto questo. Che terribile tragico disastro. Aver avuto così tanto ed essersi lasciato sfuggire tutto tra le dita.”

“Voglio capire com’è accaduto”, ho replicato, “più di qualunque altra cosa, voglio capire.”

“Sì”, ha detto Cesaria, quasi distrattamente. I suoi pensieri erano già altrove.

“Che cosa devo fare?” le ho chiesto.

“Spiegherò tutto a Luman”, ha risposto lei. “Si occuperà di te. E, naturalmente, se dovesse essere troppo per la tua sensibilità umana…”

“Zabrina potrà sempre cancellarlo.”

“Infatti. Zabrina potrà sempre cancellarlo.”

Cinque

1

Da quel momento in poi, ho incominciato ad avere una visione diversa della casa. Tutto era attesa. Stavo aspettando un segno, una prova, un’immagine fugace di quella misteriosa fonte di conoscenza che Cesaria mi aveva invitato a condividere. Sotto quale forma mi sarebbe apparsa, se non si trattava di libri? Da qualche parte, nella casa, c’era forse una raccolta di cimeli di famiglia che avrei potuto esaminare? O forse stavo prendendo tutto troppo alla lettera? Ero stato invitato in un luogo dello spirito più che in un luogo materiale? E se sì, avrei avuto le parole per esprimere quanto avrei sentito in quel luogo?

Per la prima volta nell’arco di tre mesi ho deciso di lasciare la mia stanza e uscire. Per fare questo ho bisogno dell’aiuto di qualcuno. Jefferson non aveva certo progettato questa casa prevedendo la presenza di un invalido (e dubito che Cesaria abbia mai pensato di poter essere colpita da una tale fragilità), e quindi ci sono quattro gradini nel corridoio che conduce all’atrio principale; gradini che sono troppo ripidi perché possa scenderli con la sedia a rotelle senza che qualcuno mi dia una mano. Dwight deve portarmi giù in braccio, come un bambino, e poi aspetto, prono sul divano dell’atrio, che recuperi la sedia a rotelle e mi aiuti a riprendervi posto.

Dwight è senz’altro la persona più amabile che io abbia mai conosciuto; anche se avrebbe tutte le ragioni per odiare il Dio che lo ha creato e probabilmente ogni essere umano dello stato del North Carolina. È nato con una sorta di lesione cerebrale che gli rendeva diffìcile esprimersi e quindi per un certo periodo è stato considerato un ritardato. La sua infanzia e i primi anni della sua adolescenza sono stati infernali: dato che gli era stata negata qualunque vera educazione, aveva languito, seviziato da entrambi i suoi genitori.

Poi un giorno, quando aveva quattordici anni, si era inoltrato nella palude, forse per uccidersi; Dwight dice di non ricordare esattamente la ragione. Né saprebbe dire per quanto tempo era rimasto a vagare per quei luoghi — sicuramente molti giorni e molte notti — finché Zabrina non lo aveva trovato nei pressi dei confini dell’Enfant. Era in uno stato di totale sfinimento. Lei lo aveva portato in casa e, per ragioni tutte sue, lo aveva accudito nelle sue stanze senza parlare di lui con nessuno. Non ho mai insistito con Dwight perché mi spiegasse esattamente la natura della sua relazione con Zabrina, ma sono quasi certo che ai tempi in cui lui era più giovane, lei lo abbia usato sessualmente, e che lui fosse piuttosto felice di quella sistemazione. All’epoca non era proprio com’è adesso, ma certamente era una donna sostanziosa; per Dwight non era stato un problema. Più di una volta mi è capitato di sentirlo accennare alla sua passione per le rotondità del corpo femminile. Non ho modo di sapere se questa sua inclinazione sia precedente o sia nata in seguito al suo incontro con Zabrina. Posso solo dire che lei aveva tenuto segreta la presenza di Dwight per quasi tre anni, durante i quali si era dedicata a educarlo; e lo aveva fatto bene. Quando lo aveva presentato a Marietta e a me non rimaneva che un’impercettibile traccia della sua vecchia difficoltà nell’esprimersi ed era già in parte l’uomo che sarebbe diventato. Adesso, trentadue anni dopo, era parte della casa come le assi del pavimento sotto i miei piedi. Anche se la sua relazione con Zabrina era finita per ragioni che non ero mai riuscito a scoprire, Dwight parla ancora di lei con una sorta di reverenza. Zabrina è e sarà sempre la donna che gli ha insegnato Erodoto e che ha salvato la sua anima (due cose che, a mio avviso, sono strettamente collegate).

Certo, Dwight sta invecchiando più in fretta di tutti noi. Adesso ha quarantanove anni, e i suoi capelli sono sempre più radi e grigi (cosa che gli dà un’aria piuttosto erudita) e il suo corpo, un tempo snello, si sta appesantendo soprattutto attorno alla vita. Il compito di trasportarmi in giro per la casa sta diventando troppo gravoso per lui, e gli ho già detto più di una volta che prima o poi dovrà mettersi in cerca di un’altra anima perduta, di qualcuno che potrà addestrare a svolgere i lavori più pesanti qui in casa.

Ma forse questa è solo accademia. Se Marietta ha ragione, e i nostri giorni qui sono davvero contati, Dwight non dovrà istruire nessuno che segua i suoi passi. Lui e tutti noi saremo già scomparsi per sempre.

Abbiamo mangiato insieme quel giorno, non nella sala da pranzo, troppo grande per due sole persone (talvolta mi chiedo che genere di ospiti Cesaria avesse avuto in mente di invitare), ma in cucina. Pollo in gelatina e focaccine all’erba cipollina e ai semi di sesamo, seguiti dalla specialità di Dwight in materia di dolci: una torta fatta di strati di mandorle e cioccolato, servita con una dolce panna montata. (Dwight deve la sua abilità di cuoco a Zabrina, ne sono certo. Il suo repertorio di dolci è straordinario: ogni genere di frutta candita, torrone, praline e ogni possibile meraviglia letale per i denti.)

“Ho visto Zabrina, ieri”, ha detto, servendomi un’altra fetta di torta.

“Le hai parlato?”

“No. Aveva quell’espressione da non vi avvicinate. Sa com’è fatta.”

“Hai intenzione di restare lì a guardarmi mentre mi ingozzo come un maiale?”

“Sono così pieno che non credo che riuscirò a stare sveglio, oggi pomeriggio.”

“Che male c’è nel fare una piccola siesta? È una vecchia tradizione del Sud. Quando fa caldo, si sonnecchia finché l’aria non si rinfresca.” Ho sollevato lo sguardo dal mio piatto e mi sono accorto che Dwight aveva un’espressione cupa sul volto. “Cosa c’è che non va?”

“Non mi piace più dormire quanto mi piaceva una volta”, ha risposto a bassa voce.

“Come mai?” gli ho domandato.

“Faccio brutti sogni…” ha risposto lui. “No, non brutti. Dolorosi. Sogni dolorosi.”

“Su cosa?”

Dwight ha scrollato le spalle. “Non saprei dirlo con esattezza. Molte cose. Gente che conoscevo quand’ero piccolo.” Ha tratto un profondo respiro. “Stavo pensando che forse dovrei tornare là fuori… sa… da dove sono venuto.”

“Per sempre?”

“Oh, Signore, no. Io appartengo a questo posto e sarà sempre così. No, tornare là fuori ancora una volta per vedere se i miei sono ancora vivi, e se sì a dirgli addio.”

“Staranno invecchiando.”

“Non sono loro che stanno per andarsene, signor Maddox, e lo sappiamo entrambi. Siamo noi.” Ha raccolto con il dito la panna montata rimasta sul suo piatto e se l’è portata alla bocca. “Sono questi i sogni che faccio. Sogno di noi che ce ne andiamo. Di tutto che se ne va.”

“Hai parlato con Marietta?”

“Ogni tanto.”

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