Sono rimasto senza parole, non solo a causa di quella serie di immagini (Luman che ascoltava i serpenti? Mio padre un confidente di Cristo?) ma anche per l’assoluta disperazione nella sua voce.
“Nessuno di noi è ciò che avrebbe dovuto diventare, fratello”, ha aggiunto. “Nessuno di noi ha fatto niente che si possa definire importante, e adesso è tutto finito e non avremo mai più un’altra occasione .”
“Allora, permettimi di scrivere del perché .”
“Oh… Sapevo che ci saremmo tornati, prima o poi”, ha replicato lui. “Non c’è alcun buon motivo per scrivere un libro, fratello. Ci farà solo sembrare dei perdenti. Tutti tranne Galilee, naturalmente. Lui sembrerà straordinario e fantastico, mentre io sembrerò un pazzo imbecille.”
“Non sono qua per implorare”, ho detto io. “Se non vuoi aiutarmi, tornerò da Cesaria.”
“Sempre che tu riesca a trovarla.”
“La troverò. E le chiederò di dire a Marietta di mostrarmi ciò che avresti dovuto mostrarmi tu.”
“Lei non si fida di Marietta”, ha detto Luman, si è alzato ed è andato ad accovacciarsi davanti al fuoco. “Si fida di me perché sono rimasto qui. Perché sono stato fedele.” Ha arricciato le labbra. “Fedele come un cane. Sono stato qui nel mio canile e ho fatto la guardia al suo piccolo impero.”
“Perché vivi qui?” gli ho chiesto. “C’è così tanto spazio in casa.”
“Odio quella casa. È troppo civilizzata. Non riesco a respirare lì dentro.”
“È per questo che non mi vuoi aiutare? Perché non vuoi entrare in casa?”
“Oh, merda”, ha detto lui, apparentemente rassegnato a quel tormento, “se proprio devo, lo farò. Ti porterò su, se ci tieni davvero così tanto.”
“Su dove?”
“Alla cupola, naturalmente. Ma quando lo avrò fatto, amico mio, sarai da solo. Non resterò con te. Non lì.”
Ho incominciato a capire che una delle maledizioni della famiglia Barbarossa è l’autocommiserazione. C’è Luman, nella sua Casa del Fumo, che medita la vendetta contro uomini già morti; ci sono io, nella mia biblioteca, convinto che la vita mi abbia fatto un terribile sgarbo; c’è Zabrina, nella sua solitudine, grassa di dolci. E persino Galilee, là fuori, sotto un cielo senza limiti, che mi scrive lettere malinconiche sull’insensatezza della sua esistenza. Era patetico. Noi, che eravamo i frutti benedetti di un albero così straordinario, come potevamo essere finiti tutti a lamentarci del fatto di vivere, invece che a trovare un significato in quel fatto? Non ci meritavamo ciò che ci era stato dato: il nostro sfarzo, le nostre doti, le nostre visioni. Le avevamo sperperate e ora ci lamentavamo di quello che ci rimaneva.
Era troppo tardi per cambiare tutto questo?, mi sono chiesto. C’era ancora una possibilità che quattro bambini ingrati riscoprissero la ragione per cui erano stati creati?
Solo Marietta, a mio avviso, era sfuggita alla maledizione, e lo aveva fatto reinventandosi. La vedevo spesso ritornare dalle sue visite al mondo esterno, a volte vestita come un camionista, con jeans troppo larghi e camicie sporche; a volte come una cantante da night club in abito da sera; a volte del tutto svestita, mentre correva sul prato al sorgere del sole, la pelle coperta di rugiada come l’erba.
Oh Dio, che cosa sto ammettendo? Be’, è presto detto. Alla lista dei miei peccati (che non è lunga quanto vorrei) dovrei aggiungere anche desideri incestuosi.
Luman avrebbe dovuto venire a prendermi alle dieci. Ma era in ritardo, naturalmente. Quando alla fine è arrivato, stringeva tra i denti l’ultimo centimetro del suo avana, e in mano teneva la bottiglia con l’ultimo centimetro di gin rimasto. Ho il sospetto che non fosse abituato a ubriacarsi spesso, perché il suo aspetto era ulteriormente peggiorato.
“Sei pronto?” ha chiesto con voce strascicata.
“Più che pronto.”
“Hai preso qualcosa da mangiare e da bere?”
“Perché dovrei aver bisogno di cibo?”
“Starai là per molto tempo. Ecco perché.”
“Da come parli, sembra quasi che sarò imprigionato.”
Luman mi ha rivolto un sogghigno, come se stesse decidendo se essere crudele oppure no. “Non fartela sotto”, ha detto alla fine. “La porta sarà aperta per tutto il tempo, solo che non te la sentirai di andartene. Dà una specie di dipendenza, una volta che si comincia.” Dopodiché, si è incamminato lungo il corridoio, lasciandomi ad arrancare dietro di lui.
“Non andare troppo in fretta”, gli ho detto.
“Hai paura di perderti nel buio?” ha ribattuto lui. “Fratello, sei proprio un figlio di puttana terribilmente nervoso.”
Non avevo paura del buio, ma avevo le mie buone ragioni per essere preoccupato all’idea di perdermi. Abbiamo svoltato un paio di angoli, e mi sono trovato in un corridoio che ero certo di non aver mai percorso prima, anche se pensavo di conoscere bene la casa, escluse le camere di Cesaria. Un altro angolo e poi un altro ancora, e un corridoio, e una stanzetta, e un’altra e un’altra ancora, e ho avuto la certezza di trovarmi in un territorio sconosciuto. Se Luman aveva deciso di prendersi gioco di me e di lasciarmi lì, avevo i miei dubbi che sarei riuscito a tornare verso una parte della casa più familiare.
“Senti l’odore dell’aria, qui?”
“Puzza di chiuso.”
“Puzza di morte. Nessuno ci viene, capisci? Nemmeno lei .”
“Come mai?”
“Perché ti fotte la testa”, ha risposto lui, voltandosi per lanciarmi un’occhiata. Non sono riuscito quasi a vedere la sua espressione nella semioscurità, ma sono certo che sul suo volto ci fosse quel ghigno dai denti ingialliti. “Naturalmente tu sei più sano di mente di quanto io sia mai stato, o forse non ti turberà così tanto perché hai un controllo migliore di te stesso. D’altra parte… forse ti spezzerai, e dovrò metterti nella mia piccola culla per la notte, così non potrai farti del male.”
Ho fermato bruscamente la sedia a rotelle. “Sai una cosa?” ho detto. “Ho cambiato idea.”
“Non puoi”, ha detto Luman.
“Non voglio più andarci.”
“Non è buffo? Prima sono io che non ti ci voglio portare, e adesso che ti ci ho portato tu non ci vuoi più andare. Vedi di deciderti.”
“Non ho intenzione di rischiare la mia sanità mentale.”
Luman ha finito la bottiglia di gin. “Capisco”, ha detto. “Be’, un uomo nelle tue condizioni non ha altro che la sua mente, giusto? Una volta che anche quella è andata non ha più niente.” Ha fatto un passo o due verso di me. “D’altra parte, se non entri, non potrai scrivere il tuo libro, per cui devi scegliere.” Si è spostato la bottiglia da una mano all’altra e viceversa, come per sottolineare le sue parole. “Libro. Mente. Libro. Mente. Tocca a te decidere.”
In quell’istante, l’ho odiato; semplicemente perché quello che aveva detto era vero. Se mi avesse lasciato sotto la cupola, e avessi perso la ragione, probabilmente non sarei più stato in grado di mettere le parole in un ordine sensato. D’altra parte, se non avessi rischiato la follia e avessi semplicemente scritto quello che già sapevo, non mi sarei forse chiesto per sempre quanto più ricca, quanto più vera sarebbe stata la mia opera se solo avessi avuto il coraggio di vedere ciò che la stanza aveva da mostrarmi?
“È una tua scelta”, ha detto Luman.
“Tu cosa faresti?”
“Lo vuoi sapere sul serio?” ha ribattuto lui, sinceramente sorpreso dal mio interesse nella sua opinione. “Be’, non è bello essere pazzi, non è per niente bello. Ma, per come la vedo io, non ci resta molto tempo. Questa casa non starà in piedi per l’eternità e quando crollerà, qualunque cosa potresti vedere là dentro…” ha indicato il corridoio davanti a me, in direzione delle scale che conducevano alla cupola “… sarà perduta per sempre. Quando questa casa crollerà, non ci saranno più visioni per te. Per nessuno di noi.”
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