Jeanne Kalogridis - Il Signore dei Vampiri

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Il Signore dei Vampiri
Diari della famiglia Dracula
Il patto con il Vampiro
I figli del Vampiro
Dracula
In questo libro conclusivo della sensualissima trilogia
, Jeanne Kalogridis fonde brillantemente la sua appassionante storia della famiglia Tsepesh con quella narrata da Stoker, rivelando i retroscena del grande classico.

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Prima che potessi dire un’altra parola, era svanita, e così raggiunsi gli uomini e li aiutai a finire il loro lavoro.

Era un lavoro lungo e duro, e arrivò mezzogiorno prima che avessimo finito. Gli altri sembravano rallegrarsi del nostro successo, mentre io lottavo per nascondere la mia delusione; soltanto John lo notò. Poiché non potevamo permetterci di rallentare, andammo quasi immediatamente alla stazione e prendemmo il treno per Londra.

Con molta facilità individuammo la vecchia casa al 347 di Piccadilly, sebbene la zona trafficata in cui si trovava e la chiara luce del giorno ci impedissero di entrarci come avevamo fatto a Carfax. Ad Arthur venne in mente l’eccellente idea di fingere di essere il proprietario della casa e di chiedere a un fabbro di aprire la porta principale. Così fece con successo, fingendo una tale disinvoltura e fiducia mentre guardava l’uomo fare il suo lavoro, che un poliziotto che controllava la zona non vi badò.

Dopo qualche commento ironico da parte di Quincey sull’innato talento criminale di Lord Godalming, entrammo in casa. Esaminando attentamente la proprietà, trovammo degli oggetti appartenenti a Dracula sul tavolo della sala da pranzo: un mazzo di atti notarili (grazie a Dio, relativi solo alle quattro proprietà) e un altro pesante anello di chiavi.

Ma all’interno della stessa stanza vi erano le casse: non nove, ma soltanto otto! Comunque, con l’aiuto del cacciavite e della chiave inglese, le aprimmo una a una, e le sigillammo con l’ostia. Poi gli arnesi furono consegnati ad Arthur e a Quincey, insieme al mazzo di chiavi; loro andarono a Bermondsey e a Mile End, mentre Harker, Seward e io restammo a Piccadilly, in attesa del “conte” se fosse venuto.

Infatti venne… dopo un’attesa di molte ore e proprio dopo che Quincey e Arthur erano ritornati con la notizia che avevano sigillato sei casse a Bermondsey e sei a Mile End; ma mancava una cassa all’appello!

Fu proprio dopo quella frustrante rivelazione che udimmo la chiave girare nella serratura, seguita da dei passi, rumori che ci misero tutti allerta ma che ci riempirono anche di una contentezza dolceamara, poiché segnalavano il ritorno di Vlad a limitati poteri durante la luce del giorno. Adesso si poteva muovere soltanto in forma umana fino al calare del sole: tanto meglio per noi!

Anche così si dimostrò un nemico temibile, e balzò attraverso la porta della sala da pranzo con grazia e astuzia felina. Harker brandì il suo grande coltello kukri e tentò di colpirlo, con gli occhi che fiammeggiavano come quelli di un angelo vendicatore. Fosse stato un pollice più vicino, si sarebbe guadagnato la giornata, poiché la punta arrivò pericolosamente vicina al freddo cuore del Vampiro. In realtà, l’enorme lama penetrò attraverso il petto del suo cappotto da cui cadde una cascata di monete d’oro e banconote.

Con velocità e destrezza, il Vampiro si chinò sotto al braccio di Jonathan per raccogliere quante più monete e banconote poté, e con quelle corse via così rapidamente, che nessuno di noi riuscì ad afferrarlo.

Harker era disfatto per il suo fallimento, poiché aveva giurato di liberare il suo amore dalla maledizione prima del calar della notte; noi lo consolammo meglio che potemmo, ma segretamente io mi sentii incoraggiato da quell’incontro pomeridiano: i capelli di Vlad erano striati d’argento, e il suo viso era segnato dalle prime tracce dell’età. Sta diventando costantemente più debole, chiave o no! E presto noi la otterremo da lui…

Se Elisabeth non lo raggiunge prima.

4 ottobre. Nell’ora che precede l’alba, John venne a svegliarmi. Lui e gli altri uomini avevano fatto dei turni, passando la notte fuori della stanza degli Harker, in parte per far sentire a Madam Mina che era protetta e, in parte, penso, per proteggere me da Jonathan. Comunque, Jonathan era uscito correndo dalla camera per svegliare John, poiché Madam Mina mi aveva mandato a chiamare per ipnotizzarla subito, prima che il sole sorgesse.

Non persi tempo, ma indossai la vestaglia e seguii John. Intanto, sia Arthur che Quincey (il quale, sospetto, era troppo inquieto per dormire) si erano alzati, e tutti insieme ci incamminammo verso la camera da letto degli Harker.

La luce a gas brillava, e Madam Mina sedeva in vestaglia su una poltroncina, con i lunghi capelli neri che le ricadevano in onde sulle spalle. Jonathan si sedette accanto a lei, tenendole la mano nelle sue con aria sollecita; anche il suo atteggiamento era allegro ed eccitato, ma i suoi occhi erano ansiosi. Al vedermi lei sorrise, assumendo il suo vecchio aspetto più di quanto avesse fatto per molti giorni, ma il sorriso svanì quasi all’istante mentre diceva, con un’aria allo stesso tempo decisa ed eccitata:

«Mi dovete ipnotizzare subito, dottore! Non chiedetemi come, ma io so di essere a conoscenza di informazioni su Vlad che ci possono aiutare…».

Prima che avesse finito di parlare, sollevai una mano e le ordinai di fissare il suo sguardo nel mio, più per gli altri che stavano a guardare che per Madam Mina. Mossi la mano qua e là per fare un po’ di spettacolo ma, alla fine, fu un semplice sguardo negli occhi di lei che glieli fece chiudere e la fece cadere in una profonda trance.

«Dove sei?», chiesi.

Una ruga apparve sulla sua fronte liscia, e la sua testa si mosse lentamente di qua e di là come se la stesse scuotendo in segno di rifiuto.

«Non lo so… È molto buio, e tranquillo come la morte…».

«Che cosa senti?».

Qui inclinò la testa come se stesse ascoltando.

«Lo scroscio delle onde… passi sopra di me e uomini che parlano. Il cigolio di una catena e il tintinnare del metallo…».

Una nave, capii, e scambiai uno sguardo di trionfo con i miei tre amici. Paura di Elisabeth, forse — o persino, osammo pensare, la paura di noi , adesso che era più debole, e della nostra determinazione — lo avevano cacciato dal paese!

Mi venne un’ispirazione! Lasciando Madam Mina in trance , seduta tranquillamente, mi voltai subito verso Jonathan e, senza esitare, feci cadere anche lui in una profonda trance , poi feci cenno a John di avvicinarsi e di mettergli le mani sopra le orecchie, per evitare che Elisabeth venisse a conoscenza di altre informazioni su ciò che stavamo cercando.

Dapprima Quincey e Arthur sembrarono un po’ scandalizzati, ma si rilassarono quando ne compresero la necessità; difatti, entrambi offrirono i loro fazzoletti a John che li appallottolò e li premette contro le orecchie di Harker, per meglio attutire le risposte bisbigliate di Mina.

Fatto ciò, mi voltai verso la mia prima paziente e le ordinai:

«Dimmi i tuoi pensieri».

«Al primo ritorno», intonò, «e il castello nel folto della foresta».

Arthur sfrecciò attraverso la stanza, trovò un pezzo di carta, e scrisse velocemente.

«Dov’è la chiave?», continuai.

«La prima? Giace fredda contro il mio cuore. La seconda, a casa mia… sebbene dove, non lo so dire».

Poi cadde in silenzio e non volle dire altro; feci cenno a Quincey di alzare la tenda, che rivelò la prima luce rosata dell’alba.

Immediatamente mi voltai verso Jonathan; John tolse subito le mani in modo che potessi chiedere all’uomo in trance :

«Dove sei?»

«Seguo».

«Chi segui? Van Helsing o Vlad?».

Nell’udire ciò, egli voltò il viso con ostinazione, come un bambino viziato che rifiuta la cena; tentai un approccio diverso.

«Cosa vedi? Cosa senti?».

Fece una smorfia della più dispettosa esasperazione. Con le palpebre ancora chiuse ma che sbattevano, grugnì in tono basso ma distintamente femminile:

«Bada, Van Helsing! Sei veramente uno stupido bastardo a volermi contrastare. Ti ammazzerò… se non con queste mani, allora con un altro paio!».

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