E, quando li ebbi pianti ed ebbi bisbigliato sulle loro tombe una preghiera per i morti, mentre mettevo in ogni bara un pezzo di ostia, mi venne in mente la quinta riga:
Al primo ritorno e il castello nel folto della foresta.
Ero lì, all’interno del castello, ma da dove avrei dovuto cominciare per cercare la seconda chiave? Vagai un po’ per ogni stanza: sia nella vasta sala del trono di Vlad, con il suo Teatro di Morte, sia nella stanza interna dove si trovava la sua grande bara gentilizia.
Sigillai questa con una parte dell’ostia e di nuovo mi misi a girovagare, esaminando ogni cosa in ogni stanza, in cerca di indizi, di posti dove avrebbe potuto essere seppellito qualcosa. Non tralasciai alcun luogo, nemmeno le orribili catacombe di terra nelle profondità del castello… più orribili, per me, anche del Teatro di Morte, poiché molte persone avevano incontrato la loro fine in quelle celle che trasudavano malvagità, e molte vi avevano sofferto una lunga prigionia. E così tante erano le centinaia — o forse le migliaia — che si trovano sepolte lì, che ne potevo sentire le ossa che gridavano per il dolore.
Era tardo pomeriggio quando emersi a mani vuote. Perplesso, mi stavo dirigendo lungo la scalpata verso il nostro piccolo accampamento, quando Zsuzsanna mi apparve davanti, così improvvisamente che mi spaventai.
I suoi occhi scuri erano in fiamme, e la sua pelle pallida riluceva… non di magico fascino, ma di pura ansia.
«Vengono!», disse. «Vengono, ed Elisabeth li segue!».
Senza pensare, allungai le mani e le afferrai le braccia, lasciandole ricadere solo quando lei indietreggiò e gemette per il dolore.
«È Dracula che sta arrivando?», chiesi.
«Gli tzigani trasportano la sua cassa nel loro grande carro: sono in molti, che lo circondano e portano armi».
«E il nostro gruppo?»
«Ci sono tutti! Li seguono a cavallo… ed Elisabeth segue loro » .
Altrettanto improvvisamente scomparve come era apparsa.
Corsi rapidamente giù dove Madam Mina si trovava all’interno del cerchio, agitando le braccia verso di me con gioiosa eccitazione.
«Dottore!», gridò. «Dottor Van Helsing! Dobbiamo affrettarci!». E puntò il dito verso est. «Mio marito sta arrivando!».
Le sue parole evocarono dentro di me una eguale eccitazione… e anche un certo disagio, poiché lei era mentalmente legata non a Jonathan ma a Vlad; a chi si riferiva? Ma la sua gioia era così innocente e i suoi occhi così puri — come quelli della nostra vecchia Madam Mina — che le sorrisi e ripresi i pezzi di ostia dalla neve, liberandola.
Così scendemmo faticosamente per la ripida scarpata che dava a est, io portando le pellicce, i tappeti e le provviste, finché il castello apparve alto sopra di noi contro il cielo rannuvolato. Trovai un incavo all’interno di una grande roccia su un fianco della montagna, lo rivestii di pellicce e lo chiusi in un cerchio, lo sigillai nuovamente con l’ostia e vi sistemai confortevolmente Madam Mina.
Sotto di noi si snodava la strada che portava in alto al castello. Dalla tasca tirai fuori un binocolo; sebbene un vento forte avesse improvvisamente cominciato a soffiare e la neve continuasse a cadere leggera, distinsi le scure figure degli tzigani che cavalcavano ai lati del carro, a un’andatura talmente veloce che il carro oscillava pericolosamente da un lato all’altro, arrivando quasi a far uscire dalla strada alcuni degli uomini a cavallo che lo accompagnavano.
All’improvviso, provenienti da nord, vidi alcune scure figure a cavallo che rapidamente si avvicinarono agli zingari… e, con un grido di contentezza, riconobbi il grande Stetson di Quincey Morris… bianco, ma non bianco come la neve che turbinava.
«Grazie a Dio!», gridai, sollevato che fossero loro, e non Jonathan Harker, ad avvicinarsi per primi al carro, quindi abbassai il binocolo per passarlo alla mia eccitata compagna. «Madam Mina, guardate!».
Il diario di Zsuzsanna Tsepesh
5 novembre. Lasciai Bram e Mrs. Harker sulla collina, e scesi fino a dove gli tzigani cavalcavano accanto alla grande cassa di legno. Sapevo di doverli fermare, e anche rapidamente, prima che Elisabeth arrivasse, poiché sentivo che si avvicinava, in attesa del momento migliore per prendere la chiave. Così volai verso la strada, perfettamente invisibile, e rimasi sospesa tra i due cavalli che tiravano il carro. Con delicatezza, misi le mie mani sui loro musi.
L’effetto fu immediato. Le povere creature, spaventate, indietreggiarono immediatamente, facendo sì che il carro oscillasse follemente da un lato e quasi si rivoltasse. Il conducente imprecò e l’esercito di zingari fermò le cavalcature, che fecero uno scarto davanti alla mia invisibile presenza.
Nello stesso istante si udì il rimbombo di zoccoli che si avvicinavano, e una voce calma, forte, che gridava: «Alt!». Sorrisi, poiché la voce apparteneva a Quincey Morris, e lui e John Seward stavano arrivando di corsa come i Cavalieri dell’Apocalisse, interessati solo alla vendetta divina. Una volta che avessero avuto la chiave, i loro talismani li avrebbero protetti da Elisabeth, e noi saremmo fuggiti tutti e avremmo pensato a un piano contro di lei; ero sopraffatta dalla gioia, poiché eravamo così vicini, così vicini alla prima vittoria…
Ma, all’improvviso, a quegli zoccoli rumorosi se ne unirono degli altri, poiché dalla parte opposta stavano arrivando Harker e Lord Godalming. Godalming lottava coraggiosamente per sorpassare il suo compagno. Potevo vedere la smorfia d’angoscia sul viso di Sua Signoria mentre frustava il suo destriero perché andasse sempre più veloce, ma Jonathan cavalcava come una furia mortale sputata dalle fauci dell’Inferno, con una velocità nata da una disperazione immortale.
«Alt!», gridò con una voce così forte che persino gli tzigani lo guardarono con timore. Ora gli zingari erano intrappolati in uno stretto spazio tra i nostri uomini e, per rendere chiare le loro intenzioni, Seward, Godalming e Morris alzarono i loro fucili Winchester (notai solo che il fucile di Godalming era posizionato in modo tale che, con un minimo movimento, egli poteva rapidamente avere Harker sotto tiro).
E, sulla roccia soprastante, c’era Van Helsing, che puntava il suo fucile sul colorato esercito che si trovava sotto di lui. Anche così, gli zingari tirarono fuori i coltelli, e il loro capo indicò il sole rosso, che ora baciava le cime delle montagne. Di nuovo accarezzai i musi dei cavalli per creare un’utile distrazione e, di nuovo, essi indietreggiarono.
Ma soltanto uno del nostro gruppo ne ricavò un vantaggio. In un attimo, Harker lasciò andare il suo fucile che rimase appeso alla tracolla, sfoderò il suo kukri e, con coraggio inumano, si gettò contro il muro di uomini armati che difendevano il carro. Dal lato opposto, Morris fece lo stesso con il suo coltello Bowie nello sforzo di raggiungere la cassa ma, ahimè! Jonathan la raggiunse per primo e, con forza vampiresca, la sollevò e la gettò a terra.
Balzò quindi giù e cominciò ad aprirne il coperchio con il suo coltello; Morris, che era arrivato fin lì con solo poche ferite superficiali sulle braccia e sul viso, saltò giù anche lui e attaccò l’altra estremità della cassa con il suo Bowie. Nel frattempo, vidi che la mira di Van Helsing era cambiata, e anche quella di Godalming, nel caso in cui Jonathan avesse preso la chiave.
Presto il coperchio della cassa fu aperto, e lì giaceva Vlad, indifeso e in pericolo, con gli occhi rossi per la rabbia e per la luce del sole che stava tramontando. Poi la sua rabbia si trasformò in trionfo quando il sole scivolò giù oltre l’orizzonte…
Ma il suo trionfo durò meno di un secondo. Il coltello curvo di Harker trapassò la gola dell’Impalatore mentre, nello stesso istante, l’arma di Morris affondava profondamente nel cuore del Vampiro.
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