Jeanne Kalogridis - Il Signore dei Vampiri

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Il Signore dei Vampiri
Diari della famiglia Dracula
Il patto con il Vampiro
I figli del Vampiro
Dracula
In questo libro conclusivo della sensualissima trilogia
, Jeanne Kalogridis fonde brillantemente la sua appassionante storia della famiglia Tsepesh con quella narrata da Stoker, rivelando i retroscena del grande classico.

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Gli spaventati tzigani voltarono i loro cavalli e corsero via, abbandonando il carro. Rimasi a guardare con amara gioia mentre il corpo del Vampiro si disintegrava in polvere: semplice polvere, sollevata dal vento che turbinava lasciando vedere al di sotto una piccola chiave d’oro.

Era più vicina a Morris, che si chinò per prenderla; immediatamente, Harker avanzò per abbracciarlo, come per fare festa. Ma, mentre si tirava indietro, vidi il chiaro lampo del coltello kukri… insanguinato, mentre lo estraeva dal petto di Morris.

L’uomo ferito gemette e cadde in avanti, a metà nella bara. Insensibile, Harker infilò un braccio sotto di lui, tastando per trovare la chiave; timorosi di fare altro male a Morris se avessero fatto fuoco sull’aggressore, gli altri due uomini corsero alle spalle della coppia. Il gentile Seward, che avevo giudicato incapace della minima violenza, alzò il calcio del suo fucile e lo abbassò con forza sul cranio di Harker, poi si chinò per riprendere la chiave, ma io fui più veloce e, con una rapida mossa, presi l’oggetto luccicante e mi diressi velocemente verso il castello.

Subito il cielo si oscurò: non per la notte, ma con uno scoppio di scintillante indaco che si rifletteva oscuramente sulla neve caduta. Elisabeth era apparsa, lo sapevo, ma io non osavo guardare dietro di me. Dato che gli altri non possedevano la chiave dorata, lei sarebbe stata troppo indaffarata nella ricerca per far loro del male.

Mi precipitai con la chiave verso il castello, senza altro piano che l’istinto, senza alcun desiderio se non quello di proteggere gli altri. Nel mio cuore, sapevo che dovevo trovare la seconda chiave, e nasconderla in qualche modo a Elisabeth… ma ciò che il mio cuore desiderava, il mio cervello non riusciva a trovare un modo per farlo.

Anche così, volai verso le montagne in direzione del castello, con la chiave chiusa strettamente nella mano. Tutto era diventato silenzioso mentre gli uomini curavano Quincey; non udii niente tranne l’estrema tranquillità e un suono che mi seguiva, riecheggiando dalle montagne.

Era la risata di Elisabeth.

La risata di Elisabeth…

Il diario di Abraham Van Helsing

5 novembre, continua. Con orrore, Madam Mina e io guardammo mentre Jonathan pugnalava brutalmente Quincey; l’orrore di lei continuò quando John si fece avanti e diede a a suo marito un forte colpo sulla testa con il fucile ma, in verità, io provai solo sollievo. Mentre lei piangeva silenziosamente coprendosi il viso con le mani, le tolsi gentilmente il binocolo e guardai di nuovo.

Ma la mia speranza e l’emozione cambiarono ancora in paura quando John e Arthur cercarono inutilmente la chiave mancante nella cassa di terra. In qualche modo Elisabeth doveva averla rubata… o era stato Arkady, o Zsuzsanna? O non era mai stata nella cassa?

Quando Seward e Arthur rinunciarono alla ricerca e si inginocchiarono per curare il loro amico mortalmente ferito, la neve intorno ad essi brillò di colore indaco, con tale intensità da farmi comprendere che poteva annunciare soltanto l’arrivo di Elisabeth.

Così fu. Apparve in una gloria radiosa, più chiara della luna piena e infinitamente più irresistibile, e con un gesto della mano fece cadere John e Arthur silenziosamente sulla neve. Lo svenuto Harker provocò da parte sua solo un’alzata di spalle in segno di disgusto ma, quando guardò nella bara vuota, scoprì i denti con rabbia ferina e poi alzò lo sguardo in direzione del castello e cominciò a ridere.

«Zsuzsanna!», gridò, con maliziosa gaiezza. «Mio sciocco amore! I mortali possono proteggersi da me — per il momento — con i loro sciocchi incantesimi, ma tu, mia cara, non puoi. Certamente la chiave non può proteggerti… Sai bene cos’ha fatto a Vlad!».

All’improvviso scomparve, e John e Arthur si rialzarono lentamente in ginocchio. Io porsi a Madam Mina, che era ancora sconvolta, il binocolo e, prendendola per le braccia in modo rassicurante, dissi:

«Cara Madam Mina, non siate addolorata. Siete libera dall’influenza del Vampiro… e presto lo sarà anche vostro marito. Rimanete qui nel cerchio, che vi proteggerà da ogni male e, se Jonathan si dovesse avvicinare, non gli date retta e restate dentro!».

Quindi corsi verso il castello. Ciò che avrei potuto fare lì, non lo sapevo, ma Elisabeth sapeva che Zsuzsanna si era recata lì con la prima chiave, e così io ero costretto a seguirle. Ma il panico più profondo che abbia mai conosciuto mi strinse il cuore e i polmoni, tanto che faticavo a respirare. Dovevo trovare la prima chiave in qualche modo e impedire che Elisabeth trovasse la seconda… ma come?

Sopra il castello si stava raccogliendo una grande ombra che incombeva su lutto: un’oscurità più nera delle profondità della notte, un segno dell’imminente arrivo dell’Oscuro. Sotto il cappotto, la mia pelle rabbrividì; quella era l’immagine di cui ero stato avvertito in sogno, il sogno in cui ero stato completamente, irrevocabilmente, inghiottito, divorato da quell’oscurità.

Lungo la strada sul fianco della collina, pregai fervidamente con ogni affannoso respiro.

«Arminius, aiutaci! Arminius, aiutaci… » .

Il diario di Zsuzsanna Tsepesh

5 novembre, continua. Con la chiave in mano, sono entrata nel castello dopo una corsa disperata, sebbene non sapessi dove avrei trovato rifugio. Così corsi follemente di luogo in luogo, cercando, senza sapere cosa cercavo. Prima nella stanza del trono di Vlad, poi nella stanza che Dunya e io avevamo diviso, e nelle camere in cui mi ero divertita con Elisabeth…

Infine andai nella cappella, pensando a Carfax e all’“incrocio”, ritenendo che forse lì avrei potuto trovare la seconda chiave e consegnare entrambi i tesori nelle mani di Van Helsing. Ma, mentre stavo lì tentennando, in mezzo a bare rotte e in rovina, i miei occhi furono feriti da una radiosità abbagliante, fortissima: un chiarore che era, nello stesso tempo, oscuro.

Mi ritrassi, ma era troppo tardi. Elisabeth stava accanto a me, più soprannaturalmente bella di quanto l’avessi mai vista, e più crudele. Le sue labbra erano fisse in una smorfia di scherno, e i suoi occhi… la freddezza, il vuoto, l’ odio , che vidi in essi, non lo dimenticherò mai! Ebbi la sensazione di guardare una vipera squisitamente ingioiellata, pronta a colpire.

Mi afferrò il polso, così forte che l’osso scricchiolò, e allora gridai per il dolore; nell’udire il mio gemito, il suo sorriso si allargò.

«Di noi due», disse, «direi che il tempo ha trattato me con più gentilezza: tu hai un aspetto meno bello, mia cara».

«Faccio un uso migliore del mio potere», risposi, poi gridai ancora mentre lei mi torceva la mano facendole fare un giro completo e apriva un dito per volta; sorridendo, mi prese la chiave.

Un improvviso chiarore risplendette dal suo ventre; vi lasciò cadere la chiave, poi tirò fuori dallo stesso luogo la bianca pergamena rilucente. Mentre la spiegava, sotto il testo dorato apparve un’altra riga di lettere lucenti:

Nella prigione in mezzo alle ossa giace la donna con il cuore d’oro: la seconda chiave.

«Le ossa!», domandò, scuotendomi il braccio con forza quasi divina. «Dov’è la prigione? Parla, mia cara! Tu conosci questo posto meglio di me!».

Ero impotente in sua presenza e provavo vergogna per la mia impotenza; quando affondò i suoi denti regolari nella mia spalla e lacerò stoffa e carne, non riuscii a trattenere un grido.

« Dio , pregai in silenzio, od Oscuro, non mi importa chi! Fai come vuoi… infliggimi i peggiori tormenti per tutta l’eternità, ma solo permettimi di fermarla…

«La prigione!», gridò ancora, poi rimase in silenzio; uno sguardo ispirato alleggerì la malvagità della sua espressione. «Sì… il posto con le ossa, dove tu mi conducesti a vedere Arkady… Portamici immediatamente!».

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