Il colore se ne andò dal viso di John e il suo volto divenne privo di espressione; la stranezza di tutto ciò, unita ai terribili fatti della notte precedente, lo lasciava completamente inebetito. Era arrivato a considerare ogni Vampiro come un nostro nemico mortale… e ora stavamo riflettendo sul fatto di accoglierne due in casa. Mi guardò però con la coda dell’occhio e, vedendo il mio cenno di assenso, spalancò la porta e disse:
«Prego, entrate».
Naturalmente, non potevano oltrepassare la soglia finché John non avesse tolto il crocifisso che vi era appeso sopra (il cane, forse, avrebbe potuto, ma stava al fianco di Zsuzsanna e non l’avrebbe lasciata). Quando furono passati, lui rimise immediatamente il talismano. Questo provocò in loro un certo disagio, ma ci assicurarono che ciò che dovevano dirci era abbastanza importante da meritare una temporanea scomodità.
Li condussi nell’ufficio di John, così che gli altri non avrebbero udito, e chiesi a tutti di sedersi. Lo fecero e, dopo uno sguardo di rassicurazione da parte di Arkady, Zsuzsanna disse, con voce tremante:
«Prima cosa e più importante di tutto, sappi che io mi pento onestamente di tutto il male che ho causato a te, a tua moglie, e al tuo primo figlio. Mi puoi perdonare?».
Annuii con solennità, poiché ero troppo addolorato per rispondere; infatti, il solo indicare un assenso fu un atto di volontà abbastanza difficoltoso, poiché i miei sentimenti erano quelli di odio e furia. Ma li ingoiai — una pillola abbastanza amara — e vidi il sollievo spandersi sul viso di lei.
«Grazie», sospirò, e poi si concentrò. «Ci sono molte cose che ti devo dire prima che continui nei tuoi sforzi contro Vlad. La prima…».
«Scusami», la interruppi, forse un po’ troppo aspramente, «ma tu devi, prima di continuare, rispondere a una mia domanda. Perché questo improvviso cambiamento di campo? Quando ti vidi l’ultima volta, avevi giurato di uccidermi».
Zsuzsanna rise: non era un suono completamente felice, ma fece sì che il cane ai suoi piedi alzasse lo sguardo verso la sua padrona. Lei si chinò in avanti per accarezzargli la testa con affetto distratto mentre rispondeva:
«Non è stato tanto improvviso quanto sembra. Ricorda, Bram, che io ho trascorso cinquant’anni con Vlad e, con il passare del tempo, sono arrivata a capire sempre più come mi abbia traviato. Lui non è quel giusto e incompreso eroe come, inizialmente, si era dipinto ai miei occhi; è una creatura fredda, malvagia, completamente incapace di qualsiasi gentilezza e impulso affettuoso. Com’era nella vita, così è nella morte vivente. E io sono arrivata a odiare lui», abbassò il viso, «e me stessa. Anch’io ero a Carfax, la notte scorsa… dove incontrai Kasha». Guardò con affetto Arkady. «Vidi il vostro incontro, e come entrambi piangeste Jan, Gerda e Mary». Nuovamente chinò la testa e batté rapidamente le palpebre per asciugare le lacrime. «Così compresi che ero stata io la fonte di quel dolore per tutti voi».
Feci un cenno al cane che si alzò e mi si avvicinò timidamente, con la testa in giù e la coda che scondinzolava con esitazione. Gli accarezzai la testa e le orecchie e guardai nel profondo dei suoi sensibili occhi scuri; era un cane comune, mortale, niente di più, e ciò mi fece migliore impressione del discorso che aveva fatto lei. I cani sono anime nobili, e istintivamente temono il male e il Vampiro; eppure quello era affezionato alla sua padrona, e lei a lui.
«Benissimo. Questo mi sarà sufficiente… per ora. Vai avanti».
Il cane si sistemò comodamente sui miei piedi, e fui costretto a continuare ad accarezzarlo o ad essere oggetto di continui colpetti che mi dava con il muso freddo e umido.
Il viso di lei si sollevò, e un lampo malizioso comparve nei suoi occhi quando vide che il cane giaceva ai miei piedi.
«Amico ti ama. Anche a me vuol bene teneramente, ma è sempre assai sollevato nel trovare un mortale gentile e caldo».
Poi quell’espressione birichina svanì, e divenne nuovamente triste mentre diceva:
«C’è un altro immortale che è coinvolto in questa vicenda: una donna, la contessa Elisabeth di Bathory che, durante la sua vita, torturò brutalmente fino a farle morire più di seicentocinquanta giovani donne e poi fece il bagno nel loro sangue. Ne hai sentito parlare?»
«Sì».
«È un Vampiro… ma nello stesso tempo non lo è, poiché non ha denti aguzzi e preferisce infliggere ferite alle sue vittime per mezzo di strumenti di tortura, prima di bere e fare il bagno nel loro sangue. È sempre stata una maga più potente di Vlad e una scienziata; il suo Patto con l’Oscuro Signore è privo delle trappole superstiziose che caratterizzano quello di Vlad. Si può muovere durante il giorno o la notte, dorme quando vuole nei letti normali e non teme i simboli religiosi, ma solo quelli caricati potentemente come talismani, come i tuoi». Indico con il capo la mia tasca, dove avevo riposto il crocifisso, poi tirò un profondo sospiro. «Io lo so, perché sono stata sua compagna per un po’ di tempo e posso dire senza riserve che, se dovessi scegliere tra Vlad ed Elisabeth, avrei più paura di Elisabeth».
Istintivamente, chiesi:
«È stata Elisabeth a rubare il manoscritto a Vlad la notte scorsa?»
«È stata lei», intervenne Arkady, prima che sua sorella potesse rispondere. «Quando lui era… molto distratto, mentre si nutriva ed eseguiva il rito del sangue con», la sua espressione si fece lievemente sorpresa, «qualcuno qui , non è così, Zsuzsa?».
Lei annuì, ma era troppo intenta nel suo discorso per reagire.
«Le abilità di Elisabeth stanno aumentando rapidamente; presto sarà forte come lo era Vlad, man mano che arriva a capire sempre più l’indovinello. Dobbiamo aver molta paura se trova la prima chiave, che porterà all’apparizione della quinta riga».
Nell’udire ciò, John sembrò uscire dal suo stordimento a sufficienza per parlare.
«Potrebbe averla già trovata», mormorò.
«No», disse Zsuzsanna, chinandosi verso di lui, e poi ritraendosi un po’, il che mi fece capire che John aveva seguito letteralmente le mie istruzioni e portava il crocifisso di Arminius sulla sua persona. «Non l’ha trovata. Lo so».
«Come?».
L’espressione di mio figlio era quella dello scienziato scettico, una caratteristica che io avevo incoraggiato.
«Jonathan Harker», rispose, e sia John che io ci chinammo immediatamente in avanti. «Quando lui si trovava al Castello Dracula, io lo morsi ed Elisabeth ne bevve il sangue, cosa che lo mise anche sotto il suo controllo. Uno dei suoi tracchi è che può guarire le ferite, così io non lasciai alcun segno su di lui. Lui è sia un agente mio che… suo. Questo adesso causa delle difficoltà, poiché noi possiamo, fino a un certo punto, sentire l’una i pensieri dell’altra. Poiché lei è la più potente, io oso leggerlo solo brevemente, in orari inconsueti. Questa è una delle cose di cui vi volevo avvertire; non dite ad Harker nulla che non vogliate che Elisabeth sappia!».
Si fermò, poi continuò.
«Mi dispiace che non mi sia venuto in mente di usare Harker, finché non ho cominciato a sospettare di Elisabeth e l’ho lasciata; è stato allora che scoprii che», abbassò lo sguardo, imbarazzata, «era gentile con me e fingeva di amarmi perché io potessi amarla; poiché i termini del suo Patto erano che lei avrebbe dovuto conquistare un’amante e tenere quell’amore costante per sei mesi… A quel punto, la sua vittima sarebbe diventata proprietà dell’Oscuro Signore. Credo di essere stata io l’incentivo per la sua venuta al Castello Dracula».
Uno strano silenzio cadde su tutti noi. Sia John che io arrossimmo e abbassammo lo sguardo; Arkady mise nuovamente un braccio protettivo e rassicurante sulle spalle della sorella.
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