Jeanne Kalogridis - Il Signore dei Vampiri

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Il Signore dei Vampiri
Diari della famiglia Dracula
Il patto con il Vampiro
I figli del Vampiro
Dracula
In questo libro conclusivo della sensualissima trilogia
, Jeanne Kalogridis fonde brillantemente la sua appassionante storia della famiglia Tsepesh con quella narrata da Stoker, rivelando i retroscena del grande classico.

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«Arkady», bisbigliai e mi allontanai per guardarlo meglio. «Papà… Come può essere? Vent’anni fa ti lasciai cadavere nel Castello Dracula, con un palo che ti trapassava il cuore».

Si batté il petto ora intero e sorrise.

«Non lo capisco nemmeno io ma, in qualche modo, sono stato resuscitato… da chi, non lo so. Forse è stato possibile perché non sono stato decapitato». Il suo sorriso svanì e mi guardò intensamente. «Ne parlerei ancora, ma abbiamo poco tempo prima che il sole sorga, Bram. E c’è qualcosa che deve essere trovato, e rapidamente, altrimenti Vlad diventerà così potente che nessuno, nemmeno il Diavolo stesso, sarà in grado di fermarlo».

«Sì, lo so… il manoscritto».

Lui ne fu piuttosto sorpreso. «Chi te ne ha parlalo?», mi chiese.

«Arminius».

Un’ombra di sorriso apparve sul suo viso.

«Sono contento che ti aiuti lui ancora». E di nuovo, seriamente: «Vlad non ha ancora trovato la prima chiave: di questo ne sono sicuro. Se lo farà, acquisterà ancora più potere di quello che ha adesso. È qui, da qualche parte; io la cerco quando mi è possibile, ma non sono alla sua altezza di questi tempi. Probabilmente adesso arrivo a stento al tuo livello».

Sorrisi, mentre scuotevo la testa.

«Ora tornerò ad essere invisibile e parteciperò alla tua ricerca. Ma dobbiamo lavorare rapidamente, poiché non è rimasto molto tempo prima che lui ritorni». Quindi si allontanò da me e cominciò a scomparire… ma prima che la sua scomparsa fosse completa, si fermò, e con un’espressione malinconica chiese:

«Mary è ancora viva?».

Io non sono un uomo facile alle lacrime ma, di recente, ne ho versate molte. E, a quella domanda, i miei occhi si riempirono ancora.

«È al sicuro, ad Amsterdam».

Alla mia reazione, la sua espressione divenne di preoccupazione e di angoscia.

«Ma non sta bene?», chiese ancora.

«Sta morendo».

«Ah!», mormorò con un lamento, ritornando ad essere pienamente visibile, e si voltò. «Se non fosse per Vlad, la vedrei un’ultima volta…». Si raccolse ancora in sé, e poi chiese: «E il tuo bambino, Jan… so che è difficile, ma lo hai…».

«L’ho ucciso», risposi amaramente. «E, sì: Gerda da allora è impazzita».

«Riposa», disse Arkady e mi circondò con un braccio gelido.

«Riposa dolcemente e in pace, per merito tuo. Presto Gerda sarà liberata dal suo dolore; verrà il momento. Devi credere…».

Quindi mise il suo viso contro il mio collo e pianse lacrime freddissime. John sarebbe stato preso dal terrore, lo so, al vedermi permettere a un Vampiro una tale vicinanza alle mie vene, ma con Arkady non avevo paura. La mia unica preoccupazione era di non arrendermi al dolore: non lì, davanti agli altri, non lì, quando c’era del lavoro da fare.

Presto si raddrizzò e disse, sospirando:

«Sempre dolore con noi Tsepesh! Sempre dolore… Volevo tanto risparmiarti il dolore che Vlad può infliggere…».

«Proprio come io volevo risparmiare lui », dissi, indicando John, che era entrato nel nostro campo visivo. Stava lavorando volgendoci la schiena ma, anche così, Arkady lo studiò con triste affetto.

«Un altro figlio», disse meravigliandosi; non era proprio una domanda.

«Tuo nipote», confermai.

Lui mi guardò nuovamente.

«Allora dobbiamo trovare un modo per risparmiarlo, Bram. La tua vita e la mia sono distrutte, come le vite di coloro che amiamo… È abbastanza».

E, mentre ancora lo guardavo, assunse un aspetto evanescente; prima che fosse completamente svanito, bisbigliai:

«Vieni da me ancora. Al manicomio, nella proprietà qui vicino…».

Mentre mi ricomponevo e ritornavo dagli altri, udii la sua voce bisbigliarmi nell’orecchio: Li ho lasciati con una piccola distrazione…

In effetti, lo aveva fatto. Mi trovai immerso fino alle caviglie nella polvere e nei topi; in effetti, le casse, il pavimento e le pareti, erano coperti di nere creature striscianti, e i loro minuscoli occhi riflettevano il chiarore delle nostre piccole lampade con una lugubre fosforescenza. Quasi immediatamente, Arthur soffiò nel fischietto; presto apparvero tre terrier e, dopo qualche riluttanza (senza dubbio sentivano la presenza di Arkady), divennero più coraggiosi e scacciarono quell’ammasso brulicante.

Nel frattempo, la luce del sole si stava avvicinando e sembrava che noi avessimo fatto tutto il possibile per il momento. Ce ne andammo, sollevati per il fatto che nessuno di noi fosse ferito, ma molto preoccupati per le casse mancanti. Bisogna aver paura di ogni ritardo ma, almeno, Harker è in cerca delle altre casse.

3 ottobre. Il peggiore tra tutti i giorni da quando abbiamo perduto la povera Lucy.

Fino alla notte scorsa, tutto stava andando bene, e io osavo sperare. Sono contento di aver permesso ad Harker di entrare a far parte del nostro gruppo, poiché è stato una inestimabile fonte di informazioni riguardo a dove Vlad ha trasportato le casse.

Sembra che, il “conte”, abbia acquistato altre proprietà a est e a sud di Londra: a New Town, dove Whitechapel Road diventa Mile End, e a Jamaica Lane, Bermondsey. Ha anche acquistato una casa proprio nel cuore della città, a Piccadilly. Oggi andremo là e cercheremo documenti riguardo ad altre proprietà, e le loro chiavi. E forse, se il Destino lo vuole, ci imbatteremo in una “chiave” molto diversa.

Prima di ieri, Jonathan aveva completato la sua ricerca, e noi eravamo in possesso degli indirizzi necessari; Arthur e Quincey trascorsero il giorno per trovare dei cavalli in modo che ci potessimo spostare rapidamente di luogo in luogo. Domani , mi dissi, il Vampiro sarà nostro ! Ero nuovamente pieno di ottimismo ma, ahimè!, nel mio sciocco desiderio di proteggere Madam Mina dal male e dalla conoscenza del male, ho trascorso poco tempo con lei… e così non ho visto l’ovvio.

Nelle ore che precedono l’alba, John è venuto di corsa nella mia cella, così sconvolto che sono immediatamente uscito dal mio rifugio per vedere cosa l’aveva tanto spaventato.

«Professore!», gridava, senza alcuna preoccupazione che qualcuno potesse sentire e sapere in quale luogo della casa mi trovavo. «Renfield sta morendo…».

Con la borsa in mano, mi precipitai con lui per vedere se potevo essere d’aiuto come medico. La porta che conduceva alla cella di Renfield era spalancata, e l’inserviente era rannicchiato dietro di lui con un’espressione di angoscia e di impotenza.

Il primo sguardo provò che John non aveva assolutamente esagerato la situazione, poiché il pover’uomo giaceva sul fianco, con il viso rivolto verso l’alto e la testa e le spalle circondate da uno scuro alone di sangue che si andava allargando. L’esame rivelò la schiena rotta e il cranio fratturato, con pezzi di osso spinti all’interno del cervello; sarebbe morto subito se non si fosse fatto qualcosa per allentale la pressione del sangue che si accumulava nel cervello.

Istintivamente, alzai lo sguardo da dove ero inginocchiato accanto all’uomo morente, e diedi uno sguardo alla finestra con le grate, dove solo di recente John aveva messo una delle croci di Arminius.

Sparita! Con voce chiara ne chiesi conto all’assistente:

«Il crocifisso sopra la finestra: dov’è?».

Dovette pensare che fossi folle o spietato, o entrambe le cose, per fare una domanda tanto apparentemente irrilevante, mentre il povero Renfield soffriva accanto alle mie ginocchia. Imbarazzato, il corpulento giovanotto lo porse a John, dicendo:

«L’ho tolto perché questa sera stava diventando pazzo cercando di saltare e di tirarlo giù; temevo che si facesse male, così sono entrato e l’ho tolto. Ha cercato di togliermelo e ha supplicato per averlo ma, dato che era tagliente…».

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