Jeanne Kalogridis - Il Signore dei Vampiri

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Il Signore dei Vampiri
Diari della famiglia Dracula
Il patto con il Vampiro
I figli del Vampiro
Dracula
In questo libro conclusivo della sensualissima trilogia
, Jeanne Kalogridis fonde brillantemente la sua appassionante storia della famiglia Tsepesh con quella narrata da Stoker, rivelando i retroscena del grande classico.

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«Salve John. Sospettavo che saresti venuto».

Non potei fare a meno di essere un po’ freddo con lui, poiché mi sentivo, come minimo, molto imbarazzato e, al peggio, molto tradito.

«E sospettate anche cosa sto per chiedervi?», dissi.

Sospirò ancora. Mentre l’aria gli usciva dai polmoni, tutto il suo buonumore, tutta la sua forza, tutto il suo coraggio, sembrarono andarsene con essa, finché compresi, con mio sconforto e sgomento, che stavo fissando un uomo fragile, dal cuore spezzato, con le occhiaie sotto gli occhi miopi.

«Non lo sospetto, lo so. E la risposta è: sì, John».

«Io sono vostro figlio», dissi, con il tono pacato per l’incredulità, mentre pensavo: Allora si sbaglia; ha dimenticato tutto ciò che ha gridato a Vlad e pensa che sono venuto a chiedergli qualche altra cosa.

«Tu sei mio figlio», disse, con una tale tranquilla convinzione, una tale tenerezza, un tono di scusa talmente sentito, che gli credetti immediatamente. Emozioni conflittuali mi assalirono: dubbio, rabbia, amore, sollievo. Sembrava tutto orribilmente, orribilmente sbagliato; ma sembrava anche orribilmente giusto.

Di fronte al mio turbamento, la sua espressione si fece preoccupata.

«Lo sapevi, John, che eri stato adottato?», mi chiese.

«Sì», risposi, con la voce tesa al punto di sforzarla; con mio imbarazzo, ero sul punto di piangere. «Sì, ma non è questo. Voglio sapere perché…».

E, a quel punto, la mia voce si spezzò veramente; non riuscii a dire altro.

«Perché sono stato tuo amico e maestro per tutti questi anni e non te l’ho detto».

Annuii ciecamente, ricacciando indietro le lacrime, mentre lui mi faceva cenno di sedere.

Mi sedetti sul pavimento freddo e lui cominciò a raccontarmi una storia che era cominciata molto tempo fa, quando un Principe chiamato Vlad, che, molto più tardi, sarebbe stato conosciuto come l’Impalatore (Tsepesh) o il figlio del Drago (Dracula), stipulò un Patto con l’Oscuro Signore. Ogni generazione della sua famiglia gli avrebbe offerto l’anima del figlio primogenito, maschio, che fosse sopravvissuto, in cambio di una continua immortalità. Ma, prima che quell’anima fosse offerta, il suo proprietario doveva risultare corrotto di propria volontà. Se invece l’agnello sacrificale fosse morto da uomo buono, onesto, allora Vlad avrebbe perso la sua immortalità, e sarebbe morto.

«Mio padre, Arkady, era il primogenito della sua generazione; lui morì incorrotto ma, preso dalla disperazione, Vlad lo morse per intrappolare la sua anima tra cielo e terra. Poi Arkady fu distrutto… e Vlad divenne debole e vecchio ma, per qualche ragione, non morì».

Io lo fissavo come colpito da un fulmine rivelatore; sapevo che il professore aveva avuto un solo fratello che era morto da molto tempo.

«Allora voi…».

«Io sono l’erede di Dracula», disse amaramente. «E il primogenito maschio sopravvissuto della mia generazione. Hai sentito, penso, Arminius che parlava del manoscritto».

Annuii, nuovamente ammutolito.

Distolse lo sguardo.

«Soltanto a causa sua Vlad ha osato minacciarmi. John», disse poi, volgendosi verso di me all’improvviso e afferrandomi le braccia per la disperazione, «ti giuro su ogni cosa buona che non sarei mai venuto qui se avessi saputo degli accresciuti poteri di Vlad. Lui era debole, perdente; io ero molto più potente di lui, e credevo che la mia missione fosse finita molti mesi fa. Non ti avrei mai messo in pericolo in questo modo…».

Gli feci capire la mia accettazione stringendo a mia volta le sue braccia, ma la mia mente era andata avanti e stava lottando per comprendere il mio passato e il mio stesso destino.

«Io… io sono il vostro figlio primogenito, non è così? Avevate un bambino che morì…».

Lui fissava il pavimento e, per la prima volta da quando lo conosco, parlò con una voce impastata di lacrime. «Un bambino che io uccisi», disse, e lo spasimo di un dolore che gli attraversò il viso fu così intenso e violento che io distolsi lo sguardo. «Il mio Jan. Il mio piccolo Jan…».

A quel punto scoppiò in singhiozzi talmente forti e strazianti che non potei fare altro che fissare in basso e guardare sgorgare le mie stesse lacrime.

Dopo un po’, ci riprendemmo entrambi, e lui continuò con voce rauca:

«Zsuzsanna — la nipote di Vlad e la sua compagna Vampira — lo morse, trasformandolo in un piccolo mostro. Non avevo altra scelta che liberarlo».

«Quindi, quando aveste un altro figlio, lo mandaste via», dissi. «Lontano, e non diceste a nessuno dov’era».

«Per proteggerlo, ma vedi, John», e aprì le mani disperato, «vedi quello che è stato di tutti i miei sforzi per risparmiarti il dolore che ho conosciuto. Come dicono i buddisti, il tuo karma è quello di soffrire per mano di Vlad; senza che il Vampiro sapesse della tua esistenza, ha scovato e ucciso la donna che amavi».

«Ma il vostro… amico, Arminius, vi aiuterà».

«Sì». Annuì cupamente. «È qui per dare il suo aiuto e ci aiuterà, penso, ad assicurarci che Miss Lucy sia libera dalla maledizione, ma lui verrà quando vorrà, e io non so dire quando ci aiuterà ancora».

«Ma non preoccupiamoci ancora, finché il lavoro di domani non sarà fatto». Mi alzai in piedi e lo aiutai ad alzarsi. In quel momento non provai altro per lui che compassione e gratitudine, poiché vedevo che terribile fardello aveva portato per tutta la sua vita e che portava ancora; non volevo altro, in quel momento, che renderglielo più leggero. Lo abbracciai e dissi: «Sapete, credo, di avere sempre guardato a voi come a un padre, e ora il mio affetto per voi è doppiamente giustificato. Comprendo che tutto ciò che avete fatto, lo avete fatto per amore».

Si sentiva troppo soffocato per parlare, e così ricambiò l’abbraccio stringendomi. Ci lasciammo in silenzio, con le lacrime agli occhi e un dolore ancora più profondo nei nostri cuori.

Per lungo tempo, mentre giacevo nel letto, il sonno non venne e, nel mezzo del mio inquieto rivoltarmi, mi venne l’agrodolce pensiero: Mio Dio! Quella povera pazza è mia madre!

Stamattina, quando mi sono svegliato con la luce del sole, ero un uomo diverso; più turbato, sì, ma anche più deciso a sbarazzarmi del mondo malvagio che è la mia eredità. Andremo alla tomba di Lucy a mezzogiorno e così il mio primo sforzo sta per cominciare.

Il diario di Abraham Van Helsing

29 settembre, notte. È fatto, grazie a Dio; la cara Miss Lucy è in pace. John aveva ragione a farmi permettere che i tre uomini che amavano tanto Miss Lucy fossero presenti, e Arthur tirò il colpo che l’ha liberata. L’ha fatto con una decisione e un coraggio — nonostante il sangue che sgorgava e le grida della malvagia creatura nella bara — che ci ha reso tutti fieri e mi ha dato speranza per la futura battaglia. Vedo che stanno meglio per avermi aiutato, e di sicuro sono meritevoli. Il nostro coraggioso gruppetto si sta espandendo; prima che John mi portasse alla stazione, ha ricevuto un telegramma da Madam Mina nel quale diceva che sarebbe arrivata tra breve per soggiornare nel manicomio e che suo marito sarebbe arrivato il giorno seguente.

Mi auguro solo che Arminms non ci abbandoni ancora.

Sto scrivendo sul treno. Ho detto agli altri che ero diretto ad Amsterdam e, per una volta, è vero. Nonostante l’assistenza di Arminius, io so che il compito più pericoloso deve ancora venire; così vado a trascorrere alcune ore al capezzale di mamma, per timore che lei mi sopravviva.

Capitolo quindicesimo

Il diario di Abraham Van Helsing

Primo ottobre. Sono ritornato da Amsterdam ieri, nel tardo pomeriggio, e ho trovato entrambi gli Harker con Arthur e Quincey, che si erano stabiliti in casa. Non ha molto senso continuare a dire che io sto all’albergo, così ho dichiarato che anch’io stavo per venire a soggiornare qui (ma, quando dormo, Jonathan e gli altri mi troveranno difficilmente).

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