Jeanne Kalogridis - Il Signore dei Vampiri

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Il Signore dei Vampiri
Diari della famiglia Dracula
Il patto con il Vampiro
I figli del Vampiro
Dracula
In questo libro conclusivo della sensualissima trilogia
, Jeanne Kalogridis fonde brillantemente la sua appassionante storia della famiglia Tsepesh con quella narrata da Stoker, rivelando i retroscena del grande classico.

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Fu John che parlò per primo. Chinò il viso, incuriosito; potevo vedere che aveva cominciato a crederle (un buon segno, poiché sto cominciando a pensare che presto diventerà più capace di me nel leggere persone e aure).

«Dimmi… cosa sta facendo adesso Harker?», le chiese.

I muscoli nel viso di lei si rilassarono leggermente e i suoi occhi scuri assunsero un’espressione distante… per un istante, non di più. Si mosse e disse con aria pratica:

«Sta masticando una salsiccia, sebbene sia troppo addolorato per gustarla. Cosa è successo a sua moglie?». E, quando lo seppe, si portò una mano guantata alle labbra.

«Oh! Mi dispiace…».

Ci fu nuovamente un’interruzione piena di tensione nella conversazione; questa volta, Zsuzsanna ricominciò alzandosi.

«Questo è tutto ciò che sono venuta a dirvi: questo, e il fatto che dobbiamo tutti cercare di trovare la prima chiave prima che lo facciano Elisabeth o Vlad. Noi vi forniremo aiuto e informazioni, ogniqualvolta potremo».

Il resto di noi si alzò, come fanno i gentiluomini.

«Adesso vi devo dire un’ultima cosa», dissi, con molta solennità, «poiché non voglio inganni, né segreti tra di noi. Io sono costretto a distruggere Vlad… e tutti i Vampiri. Se tu mi aiuterai, Zsuzsanna, fallo con la consapevolezza che, se riusciremo, non permetterò a te o a mio padre di vivere».

Lei prese la mano di Arkady, e uno sguardo di complicità passò tra di loro.

«Lo so. Ora sono preparata a questo».

Arkady ci guardò nuovamente e disse:

«Questa mattina saremo a Carfax… se Elisabeth lo permetterà».

«Anche noi», dissi. «Apparentemente andremo per bloccare l’accesso alle casse di Vlad, ma John e io cercheremo il manoscritto e la chiave. Gli altri non sanno niente di nessuna delle due cose; pensammo che sarebbe stato più sicuro, dato che sospettavamo che Harker fosse in qualche modo… vampiricamente collegato».

Arkady annuì.

«Allora non ci faremo vedere, e non ti interromperemo tranne che nel caso di un’emergenza».

Così i due visitatori si voltarono per andarsene: Zsuzsanna dapprima esitando, poiché penso che volesse abbracciarmi o dirmi qualcos’altro per convincermi del suo sincero dispiacere. Io non volevo saperne, poiché il dolore profondo che aveva inflitto a me e alla mia famiglia non poteva essere cancellato da una semplice confessione. Così mi voltai e lei sospirò con riluttanza, poi cominciò ad andarsene.

Ma, quando John mise la mano sulla porta per aprirgliela, io gridai:

«Perché?».

I due uomini si voltarono verso di me con la fronte aggrottata in segno di perplessità, incerti per il significato e l’obiettivo della mia domanda, ma Zsuzsanna comprese.

«Perché?», chiesi ancora. «Voglio tutta la verità».

Lei mi guardò al di sopra delle spalle e sulle sue labbra apparve un sorriso amaro.

«Perché mi sono annoiata, Abraham. In mezzo secolo di Morte Vivente, ho raggiunto le vette di piacere e gli abissi della depravazione; ho avuto ricchezze illimitate, bellezza illimitata, illimitato potere sugli uomini. Ho raccolto intorno a me tutte le cose squisite del mondo: gioielli, vestiti, creature. Ma la bellezza che cercavo non poteva mascherare la bruttura di quello che ero diventata, né nascondere il fatto che la mia esistenza era diventata uno stanco tentativo di reiterare piacere dopo piacere per l’eternità. Né poteva conquistarmi un momento di onesto affetto da parte di un’altra persona». E qui prese di nuovo la mano di suo fratello, la strinse, e lui le sorrise con gli occhi radiosi. Guardandolo, Zsuzsanna, disse piano:

«Senza la morte o la compassione, la vita non ha significato, e così io sono ritornata all’unica persona che mi ama veramente. Per amor suo, sacrificherei tutto. Che altro mi era rimasto? Diventare come Vlad ed Elisabeth: annoiati predatori che comprano la loro continua immortalità giocando con delle pedine umane?». Mi guardò con gli occhi che lampeggiavano. «Chiedi a tuo padre, Bram… chiedi a Kasha come Vlad giocò con lui, intrappolandolo lentamente in una ragnatela in cui lui non poteva fare altro se non essere complice dei più crudeli assassini! Era l’unico modo in cui Vlad continuava a mantenere eccitanti i secoli: ogni venti anni, un figlio primogenito, un’altra graduale conquista, eccitante solo perché la sua non vita dipendeva da essa».

La voce di lei risuonava della passione e del fuoco che avevo visto venti anni prima nella Vampira: ora so che apparteneva alla stessa donna.

«Ma io non diventerò come lui! Non temo la morte al punto da non pensare alla sofferenza che infliggo! Ne ho inflitta comunque abbastanza e, se posso fare, almeno in parte, ammenda, la farò».

Così lei e Arkady se ne andarono per precederci alla nostra destinazione. John e io ritornammo dagli altri, e con Jonathan, Quincey e Arthur — e parecchie delle ostie consacrate — andammo a Carfax. Intanto si erano fatte le sette e mezzo del mattino e, sebbene la luce facesse sembrare la vecchia casa un po’ meno tetra della notte precedente, ne accentuava più che mai il lugubre grado di sporcizia. Certamente la cappella sembrava meno paurosa; deboli lame di luce solare entravano attraverso le finestre coperte di polvere che guardavano verso est, chiazzando la parete dove, un tempo, era stata appesa una croce.

Subito tirai fuori la chiave inglese e il cacciavite e, con quelle in mano, cominciai ad aprire il coperchio della prima delle pesanti casse. Gli altri mi aiutarono sollevando il coperchio e mettendo all’interno un pezzo di ostia. Così procedemmo una dopo l’altra, trattando ogni cassa allo stesso modo: era un lavoro pesante e, ad un certo punto, diedi il cacciavite a John e gli chiesi di continuare, poiché la mia schiena era stanca di stare curva e desideravo stiracchiarla. Era la verità, anche se in parte volevo anche andare un po’ in giro di nascosto in cerca della prima chiave.

Comunque, prima di cominciare, mi portai vicino alla parete e mi allungai alla luce del sole, poiché la giornata era gelata e la vecchia casa fredda come quella tomba che era: così un po’ di calore era il benvenuto. Mentre stavo lì, con una mano premuta sulla parete sudicia per tenermi in equilibrio, un lampo di un blu scurissimo mi apparve davanti agli occhi. Battei le palpebre e, quando guardai ancora, vidi Zsuzsanna.

Invisibile e silenziosa, sperai, poiché la sua agitazione era eccezionale; si stava quasi torcendo le mani, mentre gridava:

«Guarda là! La parete! Lui l’ha presa!».

Lei indicò, e io seguii la direzione con lo sguardo. Sulla sinistra, leggermente sopra la mia testa, una lama di luce si rifletteva sul muro… proprio al centro della croce ora scomparsa. In quel punto la polvere e le ragnatele erano state tolte per scoprire un buco nel legno marcio, dove era stata messa una scatoletta di legno. Il coperchio della scatola era stato aperto, in modo che, se uno si trovava perpendicolare alla parete, un esame attento avrebbe mostrato il coperchio che ne usciva.

Casualmente allungai il braccio e ne tastai l’interno con le dita: solo vuoto e legno lucidato. Ogni sforzo di liberare la scatola fu inutile.

«Come sai che è stato Vlad», bisbigliai, voltando il viso verso la parete, «e non Elisabeth?».

Lei diede un’occhiata ad Harker che, insieme a Quincey, stava sollevando il pesante coperchio della terza cassa, così che Arthur avrebbe potuto metterci un altro pezzo dell’ostia sacra.

«Non può essere stata lei. Non so dove si trovi, ma è ancora frustrata, e ora anche arrabbiata. Penso che abbia fatto questa scoperta stamattina… il che significa che Vlad deve aver trovato la chiave la notte scorsa».

«E ha letto la terza riga?», chiesi cupamente.

«Non lo so. Mi devo affrettare: Arkady se n’è andato per tentare di seguirlo, e io lo devo raggiungere!».

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