«Stanca?»
Senza fiato, Irene negò con la testa.
«Non ti hanno mai detto che sei la persona più testarda di questo pianeta?»
Un mezzo sorriso affiorò sulle labbra della ragazza.
«Aspetta di conoscere mia madre.»
Prima che Ismael potesse replicare, lei lo prese per mano e lo tirò verso il bosco. Alle loro spalle, un abisso più giù, si intravedeva la laguna.
Se un giorno qualcuno gli avesse detto che si sarebbe arrampicato su quelle scogliere infernali non ci avrebbe creduto. Però, riguardo a Irene, era pronto a credere a qualunque cosa.
Simone si girò piano verso il buio. Poteva avvertire la presenza dell'intruso; poteva perfino sentire il sussurro del suo respiro lento. L'aura delle candele sfumava in un alone impenetrabile, oltre il quale la stanza si trasformava in un vasto palcoscenico privo di fondale. Simone scrutò la penombra che nascondeva il visitatore. Una insolita serenità la dominava e le forniva una lucidità di pensiero che la sorprendeva. I suoi sensi sembravano catturare ogni minuscolo dettaglio di ciò che la circondava con una precisione impressionante. La sua mente registrava ogni vibrazione dell'aria, ogni rumore, ogni riflesso.
In questo modo, trincerata in quello strano stato di calma, rimase in silenzio ad affrontare le tenebre, in attesa che il visitatore si facesse riconoscere.
«Non mi aspettavo di vederla qui» disse alla fine la voce dall'ombra, una voce debole, distante. «Ha paura?»
Simone scosse la testa.
«Bene. Non deve averne. Non deve avere paura.»
«Pensa di rimanere nascosto lì, Lazarus?»
Un lungo silenzio seguì la sua domanda. Il respiro di Lazarus si fece più udibile.
«Preferisco stare qui» rispose alla fine.
«Perché?»
Qualcosa brillò nella penombra. Un luccichio fugace, quasi impercettibile.
«Perché non si siede, madame Sauvelle?»
«Preferisco rimanere in piedi.»
«Come vuole.» L'uomo fece una nuova pausa. «Probabilmente si domanderà cos'è successo.»
«Fra l'altro» tagliò corto Simone, con la lama dell'indignazione che trapelava dal suo tono di voce.
«Forse la cosa più semplice è che mi faccia lei delle domande e che io cerchi di rispondere.»
Simone si lasciò sfuggire un sospiro di rabbia.
«La mia prima e ultima domanda è dov'è l'uscita» sbottò.
«Temo che questo non sia possibile. Non ancora.»
«Perché no?»
«Questa è un'altra delle sue domande?»
«Dove mi trovo?»
«A Cravenmoore.»
«Come ci sono arrivata e perché?»
«Qualcuno l'ha portata. .»
«Lei?»
«No.»
«Allora chi?»
«Qualcuno che lei non conosce. . ancora.»
«Dove sono i miei figli?»
«Non lo so.»
Simone avanzò verso il buio, con il viso rosso di rabbia.
«Maledetto bastardo!»
Si incamminò verso il luogo da cui proveniva la voce. A poco a poco i suoi occhi percepirono una sagoma su una poltrona. Lazarus. Ma c'era qualcosa di strano nel suo volto. Simone si fermò.
«È una maschera» disse Lazarus.
«Per quale motivo?» domandò lei, sentendo svanire vertiginosamente la serenità che aveva provato.
«Le maschere rivelano il vero volto delle persone. .»
Simone cercò di non perdere la calma. Arrendersi all'ira non l'avrebbe condotta a nulla.
«Dove sono i miei figli? Per favore. .»
«Gliel'ho già detto, madame Sauvelle. Non lo so.»
«Cosa mi farà?»
Lazarus allungò una mano, infilata in un guanto satinato. La superficie della maschera brillò di nuovo.
Era il riflesso che aveva notato prima.
«Non le farò del male, Simone. Non abbia paura. Deve fidarsi di me.»
«Una richiesta un po' fuori luogo, non le sembra?»
«Per il suo bene. Cerco di proteggerla.»
«Da chi?»
«Si sieda, per favore.»
«Cosa diavolo sta succedendo qui? Perché non me lo dice?»
Simone notò come la propria voce fosse diventata un filo fragile e infantile. Riconoscendo il bordo dell'isteria, strinse i pugni e respirò a fondo. Indietreggiò di qualche passo e si accomodò su una delle sedie che circondavano un tavolo vuoto.
«Grazie» mormorò Lazarus.
Lei si lasciò sfuggire una lacrima in silenzio.
«Prima di tutto, deve sapere che mi dispiace profondamente che si sia ritrovata coinvolta in tutto questo. Non avrei mai pensato che sarebbe arrivato questo momento. .» dichiarò l'inventore di giocattoli.
«Non è mai esistito un bambino chiamato Jean Neville, non è così?» chiese Simone. «Quel bambino era lei. La storia che mi ha raccontato. . era una mezza verità sulla sua stessa storia.»
«Vedo che ha letto la mia collezione di ritagli. Probabilmente questo l'ha spinta a farsi delle idee interessanti, ma sbagliate.»
«L'unica idea che mi sono fatta, signor Jann, è che lei è una persona malata e bisognosa di aiuto. Non so come sia riuscito a portarmi qui, ma le assicuro che appena ne uscirò la mia prima visita sarà alla polizia. Il rapimento è un delitto. .»
Le sue parole le suonarono tanto ridicole quanto fuori luogo.
«Allora devo intuire che ha intenzione di rinunciare al suo lavoro, madame Sauvelle?»
Quella strana punta di ironia suscitò un segnale di allarme nell'animo di Simone. Non le sembrava possibile che quel commento venisse dal Lazarus che conosceva. Anche se, a dire il vero, se qualcosa era chiaro era che non lo conosceva per nulla.
«Intuisca quello che vuole» replicò freddamente.
«Bene. In questo caso, prima che si rivolga alle autorità, per la qual cosa ha il mio consenso, mi permetta di completare le tessere della storia che senza dubbio lei ha già imbastito nella sua mente.»
Simone osservò la maschera, pallida e priva di qualsiasi espressione. Un volto di porcellana da cui scaturiva quella voce fredda e distante. Gli occhi erano due pozzi di oscurità.
«Come vedrà, stimata Simone, l'unica morale che si può trarre da questa storia, o da qualunque altra, è che nella vita reale, diversamente dalla finzione, nulla è ciò che sembra. .»
«Mi prometta una cosa, Lazarus» lo interruppe lei.
«Se posso. .»
«Mi prometta che, se ascolto la sua storia, mi lascerà andare via di qui con i miei figli. Io le giuro che non mi rivolgerò alle autorità. Prenderò soltanto la mia famiglia e lascerò questo paese per sempre. Non saprà mai più nulla di me» supplicò Simone.
La maschera rimase qualche secondo in silenzio.
«È questo che desidera?»
Lei annuì, trattenendo le lacrime.
«Mi delude, Simone. Credevo fossimo amici. Buoni amici.»
«Per favore. .»
La maschera serrò il pugno.
«D'accordo. Se quello che vuole è ritrovare i suoi figli, lo farà. A tempo debito. .»
«Ricorda sua madre, madame Sauvelle? Tutti i bambini hanno nel cuore un posto riservato alla donna che li ha messi al mondo. È come una luce che non si spegne mai. Una stella nel firmamento. Io ho passato la maggior parte della mia vita a cercare di cancellare quella luce. Di dimenticarla completamente. Ma non è facile. Non lo è. Spero che, prima di giudicarmi e condannarmi, voglia ascoltare bene la mia storia. Sarò breve. Le buone storie hanno bisogno di poche parole. .
«Venni al mondo la notte del 26 dicembre 1882, in una vecchia casa della strada più buia e tortuosa del quartiere di Les Gobelins, a Parigi. Un posto tenebroso e insalubre, certamente. Ha letto Victor Hugo, madame Sauvelle? Se sì, saprà di cosa sto parlando. Fu lì che mia madre, con l'aiuto della sua vicina Nicole, diede alla luce un bebé. Era un inverno così freddo che, a quanto pare, ci misi qualche minuto a prorompere nel pianto che ci si aspetta da ogni neonato. Tant'è vero che, per un attimo, mia madre fu convinta che fossi nato morto. Quando vide che così non era, la poverina lo interpretò come un miracolo e decise, divina ironia, di chiamarmi Lazarus.
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