Carlos Ruiz Zafón
LE LUCI DI SETTEMBRE
Traduzione di Bruno Arpaia
MONDADORI
Copyright © Carlos Ruiz Zafón 1995.
©2011 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano.
Titolo dell'opera originale: Las luces de septiembre.
I edizione maggio 2011.
ISBN 978-88-04-61023-6.
Nota dell'autore
Caro lettore,
Le luci di settembre è il mio terzo romanzo e fu pubblicato per la prima volta in Spagna nel 1996.
Quanti hanno già letto i miei ultimi romanzi, L'ombra del vento e Il gioco dell'angelo, forse non sanno che i primi quattro che ho scritto furono originariamente pubblicati nella narrativa per ragazzi.
Nonostante fossero destinati soprattutto a lettori giovani, la mia speranza era di coinvolgere persone di ogni età.
Nello scrivere quelle pagine ho cercato di creare il genere di narrativa che avrei apprezzato da ragazzo, ma che avrebbe continuato a interessarmi a ventitré anni, o a quaranta, o a ottantatré.
Per lungo tempo i diritti di questi libri sono stati "intrappolati" in una disputa legale, ma adesso tali romanzi possono finalmente raggiungere i lettori di tutto il mondo. Sin dalla prima pubblicazione questi lavori hanno trovato benevola accoglienza da parte di giovani e meno giovani. Mi piace credere che il racconto trascenda qualsiasi limite di età e spero che coloro che hanno apprezzato i miei romanzi per adulti saranno tentati di esplorare queste storie di magia, mistero e avventura. Infine, per tutti i nuovi lettori, mi auguro che anche questi vi siano graditi, adesso che siete in procinto di iniziare la vostra personale avventura nell'universo dei libri.
Buon viaggio,
Carlos Ruiz Zafón.
febbraio 2010.
LE LUCI DI SETTEMBRE
Cara Irene,
le luci di settembre mi hanno insegnato a ricordare i tuoi passi che svanivano nella marea. Sapevo già al ora che la zampata dell'inverno non avrebbe tardato a cancellare il miraggio dell'ultima estate che trascorremmo insieme a Baia Azzurra. Ti sorprenderà scoprire quanto poco tutto sia cambiato da al ora. La torre del faro si erge sempre come una sentinel a nella bruma, e la strada che costeggia la Spiaggia dell'Inglese è ormai solo un pal ido sentiero che si snoda verso il nul a tra la sabbia.
Le rovine di Cravenmoore si intravedono oltre gli alberi del bosco, silenziose e avvolte in un manto di oscurità. Nelle sempre meno frequenti occasioni in cui mi avventuro al largo sul a barca a vela, posso ancora scorgere i vetri incrinati dei finestroni dell'ala ovest che bril ano come fantasmagorici segnali nella nebbia. A volte, stregato dal a memoria di quei giorni in cui al cadere della sera solcavamo la baia di ritorno verso il porto, mi sembra di rivedere le luci che tremolano nell'oscurità. Ma so che ormai lassù non c'è nessuno. Nessuno. Ti chiederai cosa ne è stato della Casa del Capo. Ebbene, è sempre lì, isolata, a fronteggiare l'oceano infinito dal a sommità del capo. Lo scorso inverno un temporale ha demolito quel che restava del piccolo pontile sul a spiaggia.
Un facoltoso gioiel iere arrivato da qualche città senza nome era tentato di comprarla per una cifra irrisoria, ma i venti di ponente e l'impeto delle onde sul a scogliera si sono assunti il compito di dissuaderlo. Il salmastro ha fatto breccia nel legno bianco. Il viottolo segreto che conduceva al a laguna ora è una giungla impenetrabile, fitta di arbusti selvatici e di rami caduti.
Qualche pomeriggio, quando il lavoro al molo me lo consente, prendo la bicicletta e vado fino al capo per contemplare il crepuscolo dal a veranda sospesa sul a scogliera: soltanto io e uno stormo di gabbiani che sembrano essersi aggiudicati il ruolo di nuovi inquilini senza passare da qualche notaio. Da lì si può ancora vedere la luna che disegna una ghirlanda d'argento verso la Grotta dei Pipistrelli mentre sale sul 'orizzonte.
Ricordo che una volta ti ho parlato di questa grotta e ti ho raccontato la favolosa leggenda di un sinistro pirata corso la cui nave ne è stata inghiottita in una notte del 1746.
Ho mentito. Non c'è mai stato nessun contrabbandiere né bucaniere attaccabrighe che si sia avventurato nelle tenebre di quella grotta. In mia difesa posso dire che è stata l'unica bugia che hai sentito dal e mie labbra. Anche se, probabilmente, lo hai sospettato subito.
Stamattina, mentre liberavo le reti impigliate nella scogliera, è successo un'altra volta. Per un attimo ho creduto di scorgerti sul a veranda della Casa del Capo, mentre guardavi in silenzio verso l'orizzonte, come ti piaceva fare.
Quando i gabbiani si sono alzati in volo, ho visto che non c'era nessuno. Più oltre, cavalcando sul a nebbia, si ergeva Mont Saint-Michel, come un'isola fuggitiva arenata nella marea.
A volte penso che se ne sono andati tutti in qualche luogo lontano da Baia Azzurra e che io sono rimasto intrappolato nel tempo, sperando invano che la marea purpurea di settembre mi restituisca qualcosa di più dei ricordi. Non ci fare caso. Il mare ha questa capacità; restituisce tutto dopo un po' di tempo, specialmente i ricordi. Credo che, se conto questa, sono ormai cento le lettere che ti ho spedito al 'ultimo tuo indirizzo di Parigi che sono riuscito a procurarmi. A volte mi chiedo se ne hai ricevuta qualcuna, se ti ricordi ancora di me e di quel 'alba sul a Spiaggia dell'Inglese. Forse è così, o forse la vita ti ha portato lontano da qui, lontano da tutti i ricordi della guerra. La vita era molto più semplice al ora, ricordi?
Cosa dico? Certo che no. Comincio a pensare che sono soltanto io, povero stupido, a vivere ancora del ricordo di ciascuno di quei giorni del 1937, quando eri ancora qui, accanto a me..
1. Il cielo sopra Parigi
Parigi, 1936.
Quanti ricordano la notte in cui morì Armand Sauvelle giurano che un lampo purpureo attraversò la volta del cielo, tracciando una scia di cenere ardente che si perdeva all'orizzonte; un bagliore che sua figlia Irene non poté mai vedere, ma che avrebbe stregato i suoi sogni per molti anni.
Era una fredda mattina invernale, e i vetri della stanza numero quattordici dell'ospedale Saint-George erano ricoperti da una sottile pellicola di ghiaccio che disegnava spettrali acquerelli della città nelle tenebre dorate dell'alba.
La fiamma di Armand Sauvelle si spense in silenzio, quasi senza un sospiro. Sua moglie Simone e sua figlia Irene sollevarono lo sguardo quando i primi bagliori che incrinavano la linea della notte tracciarono aghi di luce lungo tutta la stanza. Dorian, il figlio minore, dormiva su una sedia. Un silenzio impressionante invase la sala. Non fu necessario scambiare nemmeno una parola per capire quello che era accaduto. Dopo sei mesi di sofferenza, il nero fantasma di una malattia, il cui nome Armand Sauvelle non era mai stato in grado di pronunciare, gli aveva strappato la vita. Tutto qui. Questo fu l'inizio dell'anno peggiore che la famiglia Sauvelle avrebbe ricordato.
Armand Sauvelle si portò nella tomba la sua magia e la sua risata contagiosa, ma i suoi numerosi debiti non lo accompagnarono nell'ultimo viaggio. Ben presto, una corte di creditori e ogni sorta di avvoltoi con finanziera e titolo onorifico presero l'abitudine di recarsi a casa Sauvelle, in boulevard Haussmann. Le fredde visite di cortesia si trasformarono in velate minacce. E queste, con il tempo, in pignoramenti. Scuole di prestigio e vestiti di impeccabile fattura furono sostituiti da lavori saltuari e da abiti più modesti per Irene e Dorian. Era l'inizio della vertiginosa discesa dei Sauvelle nel mondo reale.
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