Terry Pratchett - La luce fantastica

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Il seguito diretto di «I colori di magia». La continuazione d’avventure di Scuotivento e Duefiori dopo la caduta dal Bordo del Disco. 

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Il sole del Disco si levò. La stella stava già scemando e non era più in grado di competere. La buona, fidata luce del Disco bagnava, simile a un mare d’oro, il paesaggio incantato.

O, come sostenevano generalmente gli osservatori più qualificati, simile a uno sciroppo dorato.

Un bel finale drammatico. Ma la vita non funziona così. C’erano altre cose destinate ad accadere.

C’era l’Octavo, per esempio.

Non appena fu toccato dalla luce del sole, il libro si richiuse e cominciò la sua discesa verso la torre. Molti dei presenti si resero allora conto che su di loro stava venendo giù l’unica cosa veramente magica di tutto il mondo-Disco.

Il sentimento di beatitudine e di fratellanza evaporò insieme con la rugiada mattutina. Scuotivento e Duefiori furono spinti da parte a gomitate dalla folla delle persone che si precipitavano in avanti, lottando e travolgendosi, le mani tese.

L’Octavo cadde in mezzo alla massa urlante. Vi fu uno scatto. Uno scatto deciso, il genere di scatto prodotto da un coperchio che non ha nessuna fretta di aprirsi.

Scuotivento lanciò un’occhiata a Duefiori, sbirciando tra le gambe della gente.

— Sai che cosa credo stia per accadere? — gli chiese con una smorfia divertita.

— Cosa?

— Credo che quando aprirai il Bagaglio, dentro ci sarà semplicemente la tua biancheria, ecco che cosa credo.

— Oh, povero me!

— Penso che l’Octavo sa come badare a se stesso. Quello è il posto migliore per lui, davvero.

— Suppongo di sì. Sai, qualche volta ho la sensazione che il Bagaglio sappia esattamente quello che fa.

— So che vuoi dire.

Strisciarono fuori dalla folla in tumulto, si rialzarono, si tolsero via la polvere e si diressero verso la scala. Nessuno prestò loro attenzione.

— Cosa stanno facendo? — domandò Duefiori, che si sforzava di guardare sopra le teste della calca.

— Pare che stiano cercando di forzare il coperchio — rispose il mago.

Si udì uno scatto e un urlo.

— Secondo me, il Bagaglio è molto compiaciuto dell’attenzione che riscuote — osservò Duefiori, mentre scendevano con precauzione giù per la scala a chiocciola.

— Sì, probabilmente gli fa bene uscire e incontrare gente. E adesso — concluse Scuotivento — credo che mi farebbe bene andare a ordinare un paio di bicchieri.

— Buona idea — approvò Duefiori. — Ne berrò un paio anch’io.

Duefiori si svegliò che era quasi mezzogiorno. Non ricordava perché si trovasse in un fienile o perché indossasse una giacca non sua. Ma si svegliò con un’idea ben precisa in mente.

Decise che era di vitale importanza parlarne a Scuotivento.

Cadde dalia paglia e atterrò sui Bagaglio.

— Oh, sei qui, tu? Spero ti vergognerai di te stesso — gli disse.

Il Bagaglio sembrò sconcertato.

— Comunque, voglio pettinarmi. Apri — ordinò l’ometto.

Il Bagaglio, compiacente, spalancò il coperchio. Duefiori frugò tra le borse e le scatole finché trovò un pettine e uno specchio e mise riparo ai danni della notte. Poi guardò severamente il Bagaglio.

— Immagino che non hai intenzione di dirmi cosa hai fatto con l’Octavo?

Per descrivere l’espressione del Bagaglio l’unico aggettivo sarebbe "legnoso".

— Benissimo. Vieni via, allora.

Duefiori uscì nella luce del sole, un po’ troppo vivida per i suoi gusti, e camminò senza meta per la strada. Ogni cosa aveva un aspetto fresco e nuovo, perfino gli odori, ma in giro c’era poca gente. Era stata una lunga notte.

Trovò Scuotivento ai piedi della Torre dell’Arte a dirigere una squadra di operai. Questi avevano innalzato sul tetto una specie di cavalletto e stavano calando a terra i maghi di pietra. Gli parve che fosse assistito da una scimmia, ma Duefiori non era di umore da sorprendersi di nulla.

— Potranno tornare com’erano? — chiese.

Scuotivento si voltò. — Cosa? Ah, sei tu. No, probabilmente no. A ogni modo, temo che abbiano fatto cadere il povero Wert. Sul selciato da centocinquanta metri.

— Potrai rimediare?

— Farci un bel giardino roccioso.

— Sei molto allegro. — Nella voce di Duefiori vibrò una nota di rimprovero. — Non sei andato a letto?

— Strano, non riuscivo a dormire — rispose Scuotivento. — Sono uscito a prendere una boccata d’aria e nessuno sembrava sapesse cosa fare. Così mi sono messo a radunare la gente — indicò il bibliotecario, che cercava di tenergli la mano — e ho cominciato a organizzare un po’ le cose. Bella giornata, vero? L’aria è come il vino.

— Scuotivento, ho deciso che…

— Sai, sto pensando che potrei iscrivermi di nuovo — rispose tutto allegro l’amico. — Credo che questa volta potrei veramente farcela. Mi sento in grado di padroneggiare la magia e laurearmi a pieni voti. Dicono che, se si ottiene il summa cum laude, dopo uno se la passa bene…

— Ottimo, perché…

— E poi, ora al vertice c’è molto spazio, dato che tutti i pezzi grossi serviranno da fermaporta, e…

— Io me ne torno a casa.

— …un ragazzo sveglio con un po’ di esperienza del mondo potrebbe… che cosa?

— Oook?

— Ho detto che torno a casa — ripeté Duefiori, che tentava cortesemente di scuotersi di dosso il bibliotecario, il quale cercava di togliergli i pidocchi.

— Quale casa? — Scuotivento era meravigliato.

— Casa, casa. Casa mia. Dove vivo — spiegò pazientemente l’ometto. — Al di là del mare. Sai. da dove sono venuto. Vorrebbe per piacere smetterla? — (rivolto al bibliotecario).

— Oh! — fece il mago.

— Oook? — fece il bibliotecario.

Dopo una pausa. Duefiori riprese: — Vedi, mi è venuto in mente la notte scorsa. Ho pensato, be’, il fatto è, tutto quel viaggiare e vedere le cose è bello. Ma ci si può anche divertire un sacco dall’ esserci stato. Sai, incollare tutte le immagini in un libro e ricordarsi le cose.

— Davvero?

— Oook?

— Oh, sì. L’importante del fatto di avere un sacco di cose da ricordare è che dopo si deve andare in qualche posto dove potersene ricordare, capisci? Non si è stati mai realmente da nessuna parte, finché non si è tornati a casa. È così che la intendo io.

Scuotivento si ripeté mentalmente la frase. Che non gli parve migliore nemmeno la seconda volta.

— Oh! — esclamò ancora. — Be’, giusto. Se è così che la vedi tu. Allora, quando parti?

— Oggi, penso. Ci dev’essere una nave che fa una parte del viaggio.

— Suppongo di sì. — Scuotivento era imbarazzato. Si guardò i piedi. Guardò il cielo. Si schiarì la gola.

— Ne abbiamo passate delle belle insieme, eh? — disse Duefiori, dandogli una gomitata nelle costole.

— Già — approvò l’amico e contorse la faccia in una specie di sorriso.

— Non sei inquieto, vero?

— Chi, io? No, perdinci. Ho cento e più cose da fare.

— Benissimo, allora. Ascolta, andiamo a fare colazione e dopo possiamo scendere al molo.

Scuotivento annuì con aria lugubre, si girò verso il suo assistente e tirò fuori una banana dalla tasca.

— Adesso che sai come si fa, prendi tu il comando — borbottò.

— Oook.

In realtà non c’era nemmeno una nave in partenza verso l’Impero Agateo. Ma il fatto era irrilevante perché Duefiori contò semplicemente qualche moneta d’oro nella mano del primo capitano di un veliero in procinto di salpare, finché l’uomo vide improvvisamente il vantaggio di cambiare i propri piani.

Scuotivento aspettò sul molo finché Duefiori non ebbe finito di pagare il capitano quaranta volte il valore della sua nave.

— Ecco sistemata la faccenda — annunciò l’ometto. — Mi sbarcherà alle Isole Scure e da lì troverò facilmente un’altra nave.

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