Terry Pratchett - La luce fantastica
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- Название:La luce fantastica
- Автор:
- Издательство:Mondadori
- Жанр:
- Год:1991
- Город:Milano
- ISBN:88-04-35085-7
- Рейтинг книги:5 / 5. Голосов: 1
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— No. — Duefiori puntò le dita dei piedi in una fessura tra due lastre di pietra e cercò di restare immobile con la pura forza della volontà.
— Mi costruirò una casa nel paese più piatto che riesco a trovare, avrà solo il pianterreno e non porterò nemmeno dei sandali con le suole spesse…
La prima torcia comparve all’ultimo tornante della spirale e Duefiori si ritrovò a guardare la faccia sorridente di Cohen. Dietro a lui, ancora saltellante goffamente su per gli scalini, distinse la sagoma rassicurante del Bagaglio.
— Tutto bene? — chiese Cohen. — Posso fare niente? Scuotivento tirò un gran sospiro.
Duefiori riconobbe i segni. L’amico stava per dire una frase come "Sì, sento un prurito dietro il collo, potresti darci una grattatina, mentre passi?" oppure "No, ci godo a stare appeso sopra un baratro". E decise che in nessun modo avrebbe potuto tollerarlo. Si affrettò a prevenirlo.
— Spingi Scuotivento di nuovo sulla scala — ordinò.
Scuotivento, in procinto di fare la sua battuta, si sgonfiò.
Cohen lo afferrò per la vita e lo depositò sui gradini senza tante cerimonie.
— Sul pavimento laggiù c’è un bel macello — annunciò in tono discorsivo. — Chi era?
— Aveva — Scuotivento deglutì — aveva… sai… tentacoli e roba del genere?
— No. Solo i resti normali — rispose Cohen. — Un po’ spiaccicati, naturalmente.
Scuotivento guardò Duefiori, che scosse la testa.
— È solo un mago che si è lasciato prendere la mano — disse.
Scuotivento, con passo incerto e le braccia doloranti, si lasciò aiutare a risalire in cima alla torre.
— Come sei arrivato qui? — aggiunse.
Cohen additò il Bagaglio che si era avvicinato a Duefiori trotterellando e aveva spalancato il coperchio, come un cane che sa di essersi comportato male e spera di evitarsi la giusta punizione con un rapido sfoggio di affettuosità.
— Un po’ sobbalzante ma veloce — disse con ammirazione il vecchio eroe, rivolto a Duefiori. — Nessuno ci prova a fermarlo, te lo dico io.
Scuotivento guardò il cielo. Era pieno di lune, enormi dischi bucherellati di crateri, divenuti ormai dieci volte più grandi del piccolo satellite del Disco. Li fissò senza grande interesse. Si sentiva esausto e teso ben oltre il punto di rottura, fragile come un vecchio elastico.
Notò che Duefiori stava cercando di mettere a punto la sua scatola a immagini.
Cohen invece osservava i sette maghi.
— Un posto curioso per metterci delle statue — osservò. — Nessuno può vederle. Bada bene, non posso dire che siano un granché. Un’opera assai scadente.
Barcollando, Scuotivento andò vicino a Wert e gli batté con precauzione sul petto. Il mago era di solida pietra.
"A questo punto, voglio soltanto andarmene a casa" pensò.
"Aspetta un momento, sono a casa. Più o meno. Così ho soltanto bisogno di un buon sonno e forse domattina tutto andrà meglio."
Lo sguardo gli cadde sull’Octavo, delineato da minuscole scintille di ottarino. "Oh sì" pensò.
Lo raccolse e ne sfogliò distrattamente le pagine. Erano coperte da una scrittura complessa e ondeggiante che cambiava e si riformava sotto i suoi occhi. Come indecisa su ciò che avrebbe dovuto essere. Un momento erano caratteri ordinati e pratici, e subito dopo una serie di geroglifici angolosi. Quindi le misteriose lettere a spirale della lingua kythiana. E ancora gli ideogrammi di una scrittura antica, una scrittura malvagia e dimenticata, consistente esclusivamente di creature serpentine in movenze complicate intese a farsi reciprocamente del male…
L’ultima pagina era vuota. Scuotivento sospirò e guardò nella profondità della sua mente. L’Incantesimo gli restituì lo sguardo.
Scuotivento aveva sognato il momento in cui finalmente avrebbe espulso l’Incantesimo e, ripreso possesso della propria testa, avrebbe appreso tutti quei sortilegi minori che, fino allora, avevano avuto troppa paura per rimanere nella sua mente. In certo modo, quel momento lo aveva immaginato molto più eccitante.
Invece, completamente esausto e senza nessuna voglia di mettersi a discutere, fissò freddamente l’Incantesimo e metaforicamente fece un gesto significativo col pollice sopra la spalla.
"Tu. Fuori."
Per un momento sembrò che l’Incantesimo volesse protestare, ma saggiamente ci ripensò.
Scuotivento provò un formicolio, un lampo azzurro dietro gli occhi e un senso improvviso di vuoto.
Quando abbassò lo sguardo sulla pagina, era piena di parole. Ancora geroglifici. Lui ne fu contento. Non solo gli ideogrammi serpentini non erano profferibili, ma probabilmente anche impronunciabili e gli rammentavano cose che gli sarebbe stato assai difficile dimenticare.
Fissò il libro senza vederlo mentre Duefiori si muoveva inosservato e Cohen tentava invano di sfilare gli anelli dalle dita dei maghi pietrificati.
Doveva fare qualcosa, si ricordò Scuotivento, ma che cosa?
Aprì il libro alla prima pagina e cominciò a leggere, muovendo le labbra e seguendo col dito ogni lettera. Mentre la pronunciava, ogni parola appariva senza suono nell’aria accanto a lui, a colori vivaci che si perdevano nel vento della notte.
Girò la pagina.
Altre persone stavano arrivando su per la scala, adepti della stella, cittadini, perfino alcuni componenti della guardia personale del Patrizio. Due di quelli della stella tentarono senza troppa convinzione di avvicinarsi a Scuotivento, il quale era adesso circondato da un turbine di lettere di tutti i colori dell’arcobaleno e non prestò loro alcuna attenzione. Ma Cohen, sguainata la spada, li guardò con aria indifferente e quelli ci ripensarono.
Dalla figura china di Scuotivento il silenzio si propagava come le increspature dell’acqua in una pozzanghera. Si riversò giù dalla torre, si disperse tra la folla in basso, aleggiò sopra le mura, scivolò attraverso le tenebre della città e si richiuse sulle terre più in là.
La massa della stella incombeva silente sul Disco. Nel cielo intorno ad essa le nuove stelle ruotavano adagio e senza rumore.
L’unico suono era il mormorio rauco di Scuotivento mentre voltava pagina su pagina.
— Non è eccitante? — esclamò Duefiori. Cohen, che si stava arrotolando una sigaretta con i resti catramosi delle sue antenate, lo guardò senza comprendere, con la mano a mezz’aria.
— Che cosa non è eccitante? — domandò.
— Tutta questa magia.
— Sono solo luci — ribatté l’altro in tono critico. — Non ha nemmeno tirato fuori delle colombe dalle maniche.
— Si, ma non riesci a sentire l’occulta potenzialità?
Cohen estrasse dalle profondità della sua borsa di tabacco un grosso fiammifero giallo, guardò per un momento Wert e glielo accese risoluto sul naso fossilizzato.
— Ascolta — disse a Duefiori, cercando di essere il più cortese possibile. — Cosa ti aspetti? Io sono stato in giro a lungo, ho assistito a tutta questa faccenda della magia. E posso assicurarti che se continui ad andartene a spasso a bocca spalancata, qualcuno ti darà un bel pugno sulla mascella. Comunque, i maghi muoiono come chiunque altro quando li infilzi…
Scuotivento chiuse il libro rumorosamente. Si rialzò e si guardò intorno.
Che accadde allora?
Nulla.
Alla gente ci volle un po’ di tempo per rendersene conto. Ognuno istintivamente si era abbassato, aspettandosi l’esplosione di una luce bianca o di una palla di fuoco scintillante. Oppure, nel caso di Cohen le cui aspettative erano assai modeste, qualche piccione bianco, possibilmente un coniglio un po’ malconcio.
Non fu nemmeno un nulla interessante. È vero, a volte le cose non accadono, però, in maniera assai impressionante. Ma, in fatto di non-avvenimenti, quello lì non era all’altezza.
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