George Martin - Il trono di spade

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Il trono di spade: краткое содержание, описание и аннотация

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In una terra fuori dal mondo, dove le estati e gli inverni possono durare intere generazioni, sta per esplodere un immane conflitto. Sul Trono di Spade, nel Sud caldo e opulento, siede Robert Baratheon. L’ha conquistato dopo una guerra sanguinosa, togliendolo all’ultimo, folle re della dinastia Targaryen, i signori dei draghi. Ma il suo potere è ora minacciato: all’estremo Nord la Barriera — una muraglia eretta per difendere il regno da animali primordiali e, soprattutto, dagli Estranei — sembra vacillare. Si dice che gli Estranei siano scomparsi da secoli. Ma se è vero, chi sono quegli esseri con gli occhi così innaturalmente azzurri e gelidi, nascosti tra le ombre delle foreste, che rubano la vita o il sonno a chi ha la mala di incontrarli?

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«…non vuoi risvegliare il drago, vero?»

Il volto di ser Jorah era scavato dal lutto. «Tuo fratello Khaegar fu l’ultimo dei draghi» le disse. Ser Jorah si riscaldava mani traslucide sopra un braciere in cui giacevano le uova di drago, accese dal calore come carboni ardenti. Un momento era là, il momento dopo stava dissolvendosi, la carne priva di colore, più immateriale del vento. «L’ultimo dei draghi» sussurrò. E dopo svanì, disperso nel nulla. Lei sentì le tenebre dietro di sé, e la porta rossa sembrò più lontana che mai.

«…non vuoi risvegliare il drago, vero?»

Viserys era in piedi di fronte a lei, e urlava: «Il drago non implora, puttana! Tu non comandi il drago. Io sono il drago. E io sarò incoronato». Oro liquefatto, incandescente, colava lungo il suo volto come cera, scavava nella sua carne profonde scanalature. «Io sono il drago! E io sarò incoronato!» strillava e le sue dita schioccavano come serpenti, mordevano i suoi capezzoli, stringevano, torcevano, perfino mentre i suoi occhi esplodevano e gli scorrevano giù per le guance disseccate e annerite dal calore.

«…non vuoi risvegliare il drago…»

La porta rossa era così lontana, e alle sue spalle sentiva un respiro gelido. Se l’avesse raggiunta, la sua morte sarebbe stata qualcosa di peggio di una semplice morte, sarebbe stata un interminabile ululato nelle tenebre. Cominciò a correre.

«…non vuoi risvegliare il drago…»

Sentì il calore dentro di sé, un terribile incendio nel ventre. Suo figlio era alto, orgoglioso, aveva la pelle ramata di Drogo, i capelli argentei e oro di lei, occhi viola a mandorla. Suo figlio le sorrise e sollevò una mano per toccarla, ma quando aprì la bocca scaturirono fiamme. Anche il suo cuore, dentro il petto, era in fiamme. Poi anche lui svanì, come una fragile falena annientata da una candela, incenerita dal fuoco. Pianse per suo figlio, per la promessa perduta di dolci labbra sul seno, ma al contatto con la pelle, le lacrime si tramutarono in vapore.

«…vuoi risvegliare il drago…»

Spettri affollavano il corridoio. Indossavano le vesti dei re, tutte sbiadite, stracciate. In pugno stringevano spade dalle lame di fiamma pallida. Avevano capelli d’argento e d’oro e di platino e i loro occhi erano opale e ametista e tormalina e giada. «Più in fretta» urlavano gli spettri. «Più in fretta. Più in fretta.» Lei continuava a correre e la pietra si liquefaceva nel calore divorante del tocco dei suoi piedi. «Più in fretta!» gridavano in coro, e lei urlava, si gettava in avanti. Un grande coltello di dolore le affondò nella schiena, e sentì la pelle squarciarsi e al naso le giunse il lezzo del sangue che brucia e vide l’ombra di ali. Daenerys Targaryen spiccò il volo.

«…risvegliare il drago…»

La porta appariva in lontananza, di fronte a lei, la porta rossa, vicina, vicinissima. Attorno a lei, il corridoio era adesso indistinto, dietro di lei il gelo stava recedendo. La pietra era scomparsa e lei volò al disopra del mare dothraki, sempre più in alto, l’erba che s’increspava sotto di lei, e quando l’ombra delle sue ali ombreggiò la terra, tutto ciò che viveva, tutto ciò che respirava fuggì nel terrore. Sentì l’odore di casa, la vide, là, appena al di là di quella porta, distese verdi, e grandi case di pietra e braccia in grado di darle calore, là. Spalancò l’ultima porta.

«…il drago…»

E vide suo fratello Rhaegar, in sella a uno stallone nero come la sua armatura. Dietro la sottile feritoia del suo elmo, ardeva il fuoco. «L’ultimo dei draghi» disse la voce di ser Jorah, poco più di un sussurro. «L’ultimo. L’ultimo.» Daenerys sollevò la celata di lucido acciaio nero. Il volto dietro di essa era il suo stesso volto.

Ma dopo questo, per molto tempo, non ci furono altro che il dolore e l’incendio all’interno del suo ventre e gli incomprensibili sussurri delle stelle.

La sua bocca pareva piena di cenere.

«No. Vi prego, no…» gemette.

«Khaleesi?» Jhiqui si protese su di lei come una cerbiatta spaventata.

La tenda era avvolta dalle ombre, immobili, incombenti. Esili ceneri fluttuavano da un braciere e Daenerys le seguì con lo sguardo, osservandole disperdersi attraverso il foro per il fumo alla sommità della tenda. “Volare. Avevo le ali. Stavo volando.” Ma era stato solo un sogno. «Aiutami…» mormorò lottando per sollevarsi. «Portami…» La sua voce era dilaniata come una ferita, e non riuscì a pensare che cosa voleva. Da dove veniva tutto quel dolore? Era come se il suo corpo fosse stato fatto a pezzi e poi rimesso assieme usando i rottami. «Io voglio…»

«Sì, khaleesi.» E in un attimo, Jhiqui non c’era più, era schizzata fuori dalla tenda, gridando.

Daenerys aveva bisogno… di qualcosa… di qualcuno… ma cosa? Eppure era importante, lei lo sapeva. Era l’unica cosa al mondo che contasse. Rotolò sul fianco e riuscì ad appoggiarsi sul gomito, cercò di liberarsi delle coperte attorcigliate attorno alle gambe. Era difficile muoversi. Attorno a lei, il mondo vorticò. “Io devo…”

La trovarono sui tappeti, che strisciava verso le uova di drago. Ser Jorah Mormont la prese tra le braccia e mentre lei si opponeva debolmente la riportò fino al materasso per il riposo. Oltre la sua spalla, lei vide le sue tre ancelle. Vide Jhogo con i suoi baffetti esili e la faccia larga e piatta di Mirri Maz Duur. «Io devo» provò a dire loro. «Io devo…»

«…dormire, principessa» disse ser Jorah.

«No. Vi prego… Vi prego!»

«Sì.» La coprì con la seta, anche se lei ardeva di febbre. «Dormi e recupera le forze, khaleesi. Torna da noi.» E poi Mirri Maz Duur le fu accanto, le sollevò il capo, le portò una coppa alle labbra. Daenerys sentì il gusto del latte acido, e anche qualcos’altro, qualcosa di denso e amaro. Un caldo liquido le corse giù per il mento. In qualche modo, riuscì a inghiottire. Nella tenda, le ombre divennero più pesanti e il sonno la riprese. Questa volta non sognò. Fluttuò serena, in pace, su un nero oceano privo di confini.

Più tardi, forse dopo una notte, o un giorno, o un anno, si svegliò di nuovo. Era buio, nella tenda. I lembi di seta sbattevano come ali quando il vento della pianura si faceva più forte. Questa volta Dany non tentò neppure di sollevarsi. «Irri» chiamò. «Jhiqui, Doreah.» Furono da lei in un attimo, tutt’e tre. «Ho la gola secca… tanto secca.» Le portarono dell’acqua. Era calda, quasi stagnante, ma Daenerys bevve con avidità e mandò Jhiqui a prenderne dell’altra. Irri le passò una pezzuola umida sulla fronte. «Sono stata male…» La ragazza dothraki annuì. «Quanto?» La pezzuola era piacevole, ma l’espressione di Irri sembrava piena di tristezza e Dany ne fu spaventata. «Molto a lungo» bisbigliò l’ancella.

Jhiqui tornò con l’acqua. Con lei c’era Mirri Maz Duur, gli occhi pesanti di sonno. «Bevi» disse sollevando il capo di Dany e accostandole una coppa, e questa volta non si trattava di una pozione, bensì di semplice vino. Tanto, tanto dolce. Daenerys bevve, poi si abbandonò all’indietro, ascoltando il suono soffice, ritmico del proprio respiro. Si sentiva le membra pesanti, il torpore tornava a invaderla. «Portatemi…» mormorò con voce impastata, sonnolenta. «Portate… Voglio stringere…» «Sì?» chiese la maegi. «Che cos’è che vorresti, khaleesi?»

«Portami… uovo… di drago… ti prego.» Le sue palpebre erano diventate di piombo, troppo pesanti per riuscire a tenerle aperte.

Quando si svegliò per la terza volta, una lama dorata di luce solare penetrava nella tenda attraverso il foro superiore e le sue braccia erano strette attorno a un uovo di drago. Era quello dal colore pallido, le scaglie di una tonalità simile ad avorio con venature oro e bronzo. Poté sentire il calore che emanava dall’interno di esso. Sotto le lenzuola di seta, la sua pelle nuda era coperta da un sottile velo di traspirazione. “Rugiada di drago” pensò. Lentamente, le punte delle sue dita scivolarono sul guscio dell’uovo, seguendo le spirali dorate, e nel cuore della pietra, quasi rispondendo al suo tocco, qualcosa si animò, si agitò. Non ebbe paura. Ogni sua paura era andata, incenerita.

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