Con gentilezza, Osha gli mise una mano sul capo. «Tu lo sai già cosa dice, piccolo.»
Lo sguardo vacuo di maestro Luwin si posò su entrambi. Un piccolo uomo tutto grigio, con una manica sporca di sangue e con lacrime scintillanti nei luminosi occhi grigi. «Miei lord…» disse ai due fratelli, con voce fioca e strozzata. «Noi… ecco, dovremo trovare uno scultore che ricordi bene… il suo volto…»
Sansa si abbandonò all’abbraccio delle tenebre in quella stanza nel cuore di pietra del fortino di Mageor.
Tirò le tende attorno al letto, si addormentò, si svegliò in lacrime, si addormentò di nuovo. Quando non riusciva dormire, giaceva sotto le coperte, tremando per la pena, per la sofferenza. Servi andavano e venivano, portandole il pranzo, la cena, ma alla sola vista del cibo la assaliva la nausea. I piatti si accumularono sul tavolo sotto la finestra, intatti, e andarono a male. Alla fine, i servi li portarono via.
A volte, il suo sonno era di piombo, senza sogni, e si svegliava ancora più stremata di quando aveva chiuso gli occhi. Eppure, rimanevano quelli i periodi buoni. Perché quando sognava, era suo padre che sognava. Sia che dormisse sia che fosse sveglia, continuava a vederlo. Le due guardie con i mantelli dorati che lo gettano in avanti, ser Ilyn Payne che sale i gradini di pietra e sfodera Ghiaccio dal fodero sulla schiena, e poi il momento… il momento in cui… lei avrebbe voluto distogliere lo sguardo… avrebbe voluto, le gambe le erano diventate molli, era caduta in ginocchio, ma per una qualche ragione, non era stata in grado di voltare il capo, e tutta quella folla che grida, che urla, e il suo principe che le sorride, le sorride, lei si sente al sicuro, ma solo per un attimo, poi Joffrey pronuncia quelle parole, e le gambe di suo padre… era questo che ricordava, le sue gambe, il modo in cui avevano sussultato quando ser Ilyn… quando la lama…
“Forse anch’io sto per morire.” Quel pensiero non le sembrava tanto terribile. Se si fosse gettata dalla finestra, avrebbe posto fine a tutto il suo dolore e dopo, negli anni a venire, i menestrelli avrebbero parlato della sua disperazione. Il suo corpo sarebbe rimasto sulle pietre, spezzato e innocente, un’infamante vergogna per coloro che l’avevano tradita. Sansa era arrivata ad attraversare la stanza e spalancare le imposte… ma poi il coraggio l’aveva abbandonata ed era di nuovo corsa a gettarsi sul letto, singhiozzando.
Nel portarle i pasti, le serve avevano cercato di parlarle. Lei non aveva risposto. Era venuto il gran maestro Pycelle, con una scatola piena di bottigliette e di ampolle, a chiederle se stava male. Le aveva toccato la fronte e l’aveva fatta svestire. Mentre la serva che le faceva il letto la teneva ferma, il vecchio le aveva messo le mani dappertutto. Prima di andarsene, le aveva dato una pozione di acqua al miele ed erbe, dicendole di berne un sorso ogni sera. Sansa l’aveva bevuta tutta d’un fiato e aveva nuovamente dormito.
Fece sogni di passi sulle scale della torre, un sinistro raschiare di cuoio contro la pietra mentre qualcuno saliva verso la sua stanza, un gradino dopo l’altro. Lei poteva solo accucciarsi a terra vicino alla porta e ascoltare, tremando, i passi che continuavano ad avvicinarsi. Era ser Ilyn Payne, lei lo sapeva, che stringendo Ghiaccio in pugno veniva a prendere la sua testa. Non aveva un posto in cui fuggire, nascondersi. Non poteva chiudersi dentro. I passi si erano fermati, ma lui era là fuori, lei lo sapeva, in silenzio, in attesa, occhi morti nella faccia butterata. E lei era nuda, indifesa. Cercava di coprirsi con le mani e intanto la porta veniva aperta e la punta della spada si apriva la strada…
Si era svegliata mormorando: «Vi prego, vi supplico… sarò buona… sì, tanto buona… Non fatelo, vi supplico…». Non c’era nessuno ad ascoltarla.
Alla fine, qualcuno venne per davvero, ma Sansa non udì i passi. Fu Joffrey ad aprire la porta, non ser Ilyn ma il ragazzo che era stato il suo principe. Era raggomitolata a letto, le cortine tirate. Non sapeva se era giorno o notte. La prima cosa che udì fu la porta che veniva spalancata con violenza. Poi le cortine vennero aperte. Si schermò gli occhi di fronte alla luce improvvisa e li vide in piedi, accanto al letto.
«Ti voglio a corte con me, questo pomeriggio» comandò Joffrey. «Fatti il bagno e vestiti come si confà alla mia promessa sposa.»
Sandor Clegane, in farsetto marrone privo di decorazioni e cappa verde, era al suo fianco. Nella luce del mattino, la sua faccia ustionata appariva orribile. Sulla soglia, nei lunghi mantelli di satin bianco, c’erano due cavalieri della Guardia reale.
Sansa si tirò le coperte fino al mento. «No… Te ne prego… Lasciami stare…»
«Se non ti alzerai e non ti vestirai di tua volontà, ci penserà il mio Mastino a farlo.»
«Ti supplico, mio principe…»
«Sono re, adesso. Mastino, tirala fuori dal letto.»
Sandor Clegane l’afferrò per la vita e la sollevò dal materasso, e lei lottò debolmente, inutilmente. La coperta scivolò a terra. Sotto, a coprire la propria nudità, non portava altro che una sottile camicia da notte. «Fa’ come ti viene ordinato, piccola» disse Clegane. «Vestiti.» La spinse verso il guardaroba, quasi con gentilezza.
Sansa indietreggiò da loro. «Ho fatto quanto mi ha chiesto la regina, ho scritto le lettere, ho scritto tutto quello che lei mi ha detto. Tu hai promesso di essere clemente. Ti prego, lasciami andare a casa. Non commetterò alcun tradimento. Sarò buona, te lo giuro. Io non ho il sangue dei traditori. Non ce l’ho. La sola cosa che voglio è andare a casa…» Ricordandosi delle buone maniere, abbassò il capo. «Se ti compiace» concluse con voce esile.
«Non mi compiace» rispose Joffrey. «Mia madre insiste che devo sposarti. Per cui tu rimarrai qui, e obbedirai.»
«Io non voglio sposarti!» pianse Sansa. «Tu hai tagliato la testa di mio padre!»
«Era un traditore. E poi non ho mai promesso di risparmiarlo, soltanto di essere clemente, e così ho fatto. Se non fosse stato tuo padre, l’avrei fatto squartare o scuoiare vivo. Invece ha avuto una morte rapida, pulita.»
Sansa lo fissò, e lo vide per la prima volta. Indossava un farsetto trapuntato color porpora ricamato con leoni e una cappa intessuta d’oro dal collo alto che incorniciava la sua faccia. Si chiese come avesse potuto trovarlo attraente. Le sue labbra erano molli e rosse come quei vermi che si trovano nel fango dopo un acquazzone e i suoi occhi erano vacui e crudeli.
«Io ti odio» sussurrò.
I lineamenti di re Joffrey s’indurirono. «Mia madre dice che non è bene che un re colpisca sua moglie. Ser Meryn.»
Il cavaliere le fu addosso prima che lei se ne rendesse conto. Sansa alzò le mani, cercando di proteggersi, ma lui gliele tirò via e le sferrò un pugno di rovescio dietro l’orecchio, con la mano guantata di seta bianca. Sansa non ebbe la percezione di cadere, ma si trovò in ginocchio. La testa le fischiava. Ser Meryn Trant torreggiava su di lei, e c’era sangue sulle nocche di seta del suo guanto,
«Ubbidirai, o dovrò farti punire di nuovo?»
Sansa non ci sentiva da un orecchio. Se lo tastò. I polpastrelli delle sue dita erano rossi, bagnati. «Io… farò… come tu comandi, mio signore.»
«Maestà» la corresse Joffrey. «Ti vedrò più tardi, a corte.» Si girò e se ne andò.
Ser Meryn e ser Arys lo seguirono come due ombre. Sandor Clegane rimase, ma solo il tempo necessario per afferrarla e rimetterla rudemente in piedi. «Risparmiati altro dolore, ragazzina. Dagli quello che vuole.»
«E che cosa vuole? Ti prego… dimmelo.»
«Vuole che tu sorrida, che odori di buono, che tu sia la sua innamorata» disse il Mastino con la sua voce roca. «Vuole sentirti recitare tutte quelle cose carine che ti ha insegnato la tua septa. Vuole che tu lo ami e lo tema.»
Читать дальше