«Septa Mordane dice…» Sansa non riuscì a trovare la forza di guardarlo. Provava vergogna. «Dice che la maggior parte delle fanciulle di alto lignaggio raggiungono quel momento a dodici, tredici anni.»
Joffrey annuì. «Di qua.» La guidò dentro un corpo di guardia, fino alla base degli scalini che portavano sugli spalti.
Sansa si staccò di scatto da lui, tremando, perché d’un tratto aveva capito dove la stava portando. «No.» La sua voce era un rantolo terrorizzato. «Ti prego, no. Non costringermi. T’imploro…»
Joffrey strinse le labbra. «Voglio che tu veda la fine che fanno i traditori.»
«Non voglio.» Sansa scosse disperatamente il capo. «No! Non voglio!…»
«Forse preferisci che ti trascini ser Meryn. Non credo che ti piacerebbe. Meglio che tu obbedisca.» Joffrey allungò una mano e Sansa si ritirò da lui e finì contro il Mastino.
«Vacci, ragazzina» le disse Sandor Clegane spingendola verso il re. La sua bocca si contrasse sulla metà bruciata della sua faccia e Sansa poté quasi leggere nei suoi pensieri. “Ti farà arrivare lassù comunque, in un modo o nell’altro: dagli quello che vuole.”
Si costrinse a prendere la mano di re Joffrey. La salita fu un incubo, ogni passo un tormento, come se lei fosse sprofondata nella melma fino alle caviglie. E c’erano molti più scalini di quanti non avesse creduto. Mille scalini di pietra, e poi altri mille. E sugli spalti era in attesa l’orrore.
Dagli spalti del posto di guardia, l’intero mondo si estendeva sotto di loro. Sansa riconobbe il Grande Tempio di Baelor sulla collina di Visenya: era là che suo padre era morto. Dalla parte opposta, alla fine della strada delle Sorelle, c’erano le rovine annerite del fuoco della fossa del Drago. A occidente, la Porta degli dei nascondeva in parte il rigonfio sole rosso. Il mare era alle sue spalle. A sud c’erano il mercato del pesce e i moli del porto e la corrente vorticosa del fiume delle Rapide nere. E a nord…
Si girò verso nord e vide solo la città: strade, vicoli, colline, bassifondi, altre strade, altri vicoli, la pietra delle mura lontane. Eppure, oltre quelle mura, c’erano fattorie e campi e foreste e al di là, sempre più a nord a nord a nord, c’era Grande Inverno.
«Cosa guardi?» le chiese Joffrey. «È questo ciò che io voglio che tu veda, di qua.»
Un robusto parapetto di pietra delimitava il bordo esterno degli spalti. Arrivava fino al mento di Sansa. Ogni cinque piedi, c’erano merli per gli arcieri. Le teste mozzate erano tra i merli. Circondavano tutto il torrione, infilzate su picche di ferro, le facce rivolte verso la città. Sansa le aveva notate nell’attimo in cui aveva raggiunto il camminamento, ma il fiume e tutte quelle strade piene di gente e il tramonto erano uno spettacolo molto migliore.
“Puoi costringermi a guardare le teste” si disse. “Ma non puoi costringermi a vederle.”
«Questa apparteneva a tuo padre» le spiegò Joffrey. «Proprio questa. Mastino: girala e fagliela vedere bene.»
Sandor Clegane afferrò la testa per i capelli e la ruotò. Il cranio mozzato era stato immerso nel catrame per rallentare la putrefazione. Sansa guardò, perfettamente calma, senza vedere niente. Non sembrava affatto lord Eddard. Non sembrava neppure una cosa reale. «Per quanto ancora vuoi che guardi, maestà?»
Joffrey apparve deluso. «Vuoi vedere anche il resto?»
Ce n’erano tante altre, di teste.
«Se compiace a sua maestà.»
Joffrey si mosse lungo il camminamento, superando una dozzina di teste, fino a fermarsi accanto a due picche vuote. «Queste sono per i miei zii.» Parecchie teste si trovavano sulle mura da molto più tempo di quella di suo padre. A dispetto del catrame, ormai non erano più riconoscibili. Il re ne indicò una. «Questa è la tua septa.» Sansa non riuscì neppure a capire se si trattasse di una donna o di un uomo. La mandibola era completamente decomposta e le beccate degli uccelli avevano strappato via un orecchio e buona parte di una guancia.
Sansa si era domandata cosa fosse accaduto a septa Mordane, anche se forse aveva intuito. «Perché l’hai fatto?» chiese. «Apparteneva a un ordine ecclesiale…»
«Era una traditrice.» Joffrey era indispettito, per una qualche ragione, era lei a indispettirlo. «Non mi hai ancora detto cosa mi regalerai per il mio onomastico. Forse dovrei essere io a dare qualcosa a te. Ti compiace l’idea?»
«Se compiace a te, mio signore.»
Quando lui sorrideva la stava deridendo, era chiaro. «Anche tuo fratello Robb è un traditore, lo sai.» Girò la testa di septa Mordane. «Me lo ricordo bene, tuo fratello, a Grande Inverno. Il mio Mastino l’ha chiamato “il lord dalla spada di legno”. Non è così, Mastino?»
«L’ho chiamato a quel modo?» rispose Sandor Clegane. «Al momento, non riesco a ricordarlo.»
Joffrey fece una petulante scrollata di spalle e tornò a rivolgersi a Sansa: «Tuo fratello Robb ha sconfitto in battaglia mio zio Jaime. Mia madre dice che si è trattato di tradimento, d’inganno. Ha pianto quando ha ricevuto la notizia. Le donne sono tutte deboli, perfino mia madre, anche se finge di non esserlo. Dice che dobbiamo rimanere qui, ad Approdo del Re, nel caso che i miei altri zii ci attacchino, ma a me non importa. Dopo la festa del mio onomastico, radunerò un esercito e andrò a uccidere tuo fratello. Questo io darò a te, lady Sansa. La testa mozzata di tuo fratello Robb!».
Una sorta di follia la travolse e Sansa udì se stessa dire: «Forse invece sarà mio fratello a dare a me la tua».
Joffrey la guardò torvo. «Mai, mai farti gioco di me a quel modo! Una vera moglie non si fa gioco del suo signore. Ser Meryn, insegnale!»
Questa volta il cavaliere l’afferrò sotto la mascella per tenerle la testa ferma mentre la pestava. La picchiò forte due volte, sull’andata e sul ritorno. Le spaccò un labbro, il sangue le corse sul mento, andando a mescolarsi con il sale delle lacrime.
«Sono stanco di vederti piangere in continuazione» le disse Joffrey. «Sei molto più carina quando sorridi.»
Sansa si costrinse a sorridere, nel timore che ser Meryn la colpisse di nuovo se non l’avesse fatto. Ma non andava bene. Il re scosse la testa.
«Asciugati quel sangue. Sei in disordine.»
Il parapetto esterno le arrivava al mento, ma lungo il perimetro interno del camminamento non c’era niente. Un lungo salto fino al ponte coperto sottostante. Un salto di settanta, ottanta piedi. “Una spinta” pensò Sansa. Lui era lì, proprio lì, a prenderla in giro con quelle labbra simili a vermi. “Fallo! Buttalo giù!” si disse. “Fallo ora… ora!” Forse sarebbe andata giù con lui, ma non aveva importanza, nessuna importanza.
«Qui, piccola.» Sandor Clegane mise un ginocchio a terra di fronte a lei, tra lei e Joffrey. Con una delicatezza sorprendente da parte di un uomo così gigantesco, le asciugò il sangue che continuava a colarle dalla bocca lacerata.
Il momento era passato. Sansa abbassò lo sguardo. «Grazie» disse quando Clegane ebbe finito. Era una ragazza educata e non dimenticava mai le buone maniere.
I sogni della febbre furono pieni di ombre, pieni di ali.
«Tu non vuoi risvegliare il drago, vero?»
Camminava per un lungo corridoio sotto alte arcate di pietra. Non poteva, non doveva voltarsi indietro.
C’era una porta alla fine del corridoio, piccola nella distanza, ma anche da tanto lontano vide che era rossa. Camminò più in fretta, e i suoi piedi lasciavano sulla pietra impronte insanguinate.
«Tu non vuoi risvegliare il drago, vero?»
Vide la luminosità del mare dothraki, quella pianura vivente, piena dell’odore della terra e della morte. Il vento faceva oscillare l’erba, la faceva apparire simile a un oceano. Drogo la stringeva tra le forti braccia. La sua mano accarezzò il sesso di lei e la aprì facendo scaturire i fluidi del piacere che appartenevano solamente a lui. Dal più alto dei cieli, le stelle sorrisero, stelle, in pieno giorno. «Casa» sussurrò mentre Drogo la penetrava, la riempiva con il suo seme, ma d’un tratto le stelle svanirono e ali gigantesche si dispiegarono attraverso il cielo azzurro, e il mondo intero prese fuoco.
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