Bran ne prese una. «Ma è di vetro.» Incuriosito, anche Rickon si avvicinò al tavolo.
«Vetro di drago» riconobbe Osha, sedendosi accanto a Luwin con le bende in mano.
«Ossidiana» corresse il maestro e allungò il braccio ferito. «Forgiata con i fuochi degli dei, molto in profondità nella terra. Migliaia di anni fa, era con queste che i Figli della foresta andavano a caccia. Non conoscevano i metalli. In luogo della maglia di ferro, indossavano lunghe tuniche di foglie intrecciate e attorno alle gambe si legavano corteccia, in modo da confondersi con il paesaggio del bosco. E al posto delle spade, portavano lame fatte di ossidiana.»
«Le portano anche adesso.» Osha sistemò soffici garze sulle lacerazioni e le fasciò strette usando lunghe bende di lino.
Bran esaminò da vicino le punte di freccia. Il vetro nero era liscio, lucente. E, ai suoi occhi, bellissimo. «Posso tenerne una?»
«Se vuoi.»
«Anch’io ne voglio una» disse Rickon. «Ne voglio quattro. Io sono quattro.»
«Sta’ attento, però.» Luwin gliele fece contare. «Sono ancora affilate.»
«Parlami dei Figli della foresta» disse Bran. Era importante che lui sapesse.
«Erano il popolo dell’Età dell’alba, la prima di tutte le età. Molto prima dei re e dei regni.» Maestro Luwin infilò un dito sotto la catena metallica, nel punto in cui lo stringeva di più. «In quei giorni, non esistevano castelli, né fortini, né città. Tra qui e il mare di Dorne, non esisteva neppure un mercato. E non esistevano nemmeno gli uomini: c’erano solamente i Figli della foresta nelle lande che ora noi chiamiamo i Sette Regni.
«Erano un popolo scuro e bello, di piccola statura, non più alti dei bambini di oggi perfino quando raggiungevano l’età adulta. Vivevano nelle profondità dei boschi, in caverne e rifugi di legno, in città segrete tra gli alberi. Esili erano i Figli della foresta, e veloci e aggraziati. Maschi e femmine cacciavano assieme, usando archi ricavati dal legno degli alberi-diga e trappole volanti. I loro dei erano gli dei degli alberi, dei torrenti, delle pietre, gli antichi dei i cui nomi sono segreti. I loro saggi erano chiamati “Veggenti verdi”, e scolpivano nei tronchi strani volti che vegliassero sui boschi. Quanto a lungo durò il dominio dei Figli della foresta, da dove provenivano, nessuno lo sa.
«Ma poi, dodicimila anni fa, vennero i Primi Uomini. Vennero da oriente, attraversando il Braccio Spezzato di Dorne prima che fosse spezzato. Vennero a cavallo, con spade di bronzo e grandi scudi di cuoio. Nessun cavallo era mai stato visto da questo lato del mare Stretto. I Figli della foresta ebbero tanta paura dei cavalli quanta i Primi Uomini ne ebbero dei volti scolpiti negli alberi, non può esserci dubbio alcuno su questo. I Primi Uomini costruirono fortini e fattorie, ma per fare questo abbatterono gli alberi e diedero fuoco ai volti nel legno. Inorriditi, i Figli della foresta scesero in guerra. Gli antichi canti dicono che i Veggenti verdi si servirono di oscure magie per sollevare le acque del mare e devastare la terra, spezzando il Braccio di Dorne. Solo che ormai era troppo tardi per chiudere quel passaggio. Le guerre continuarono finché la terra non fu tutta rossa di sangue. Ma furono i Figli della foresta a uscirne indeboliti: gli uomini erano più alti, più forti, e legno, pietra e ossidiana non potevano reggere la sfida con il bronzo. Alla fine, però, i saggi di entrambe le razze prevalsero. I capi e gli eroi dei Primi Uomini s’incontrarono con i Veggenti verdi e i danzatori dei boschi. L’incontro ebbe luogo tra gli alberi-diga che crescevano su un’isoletta al centro di un grande lago chiamato “Occhio degli Dei”.
«Fu là che sottoscrissero il Patto. Ai Primi Uomini vennero date le coste, gli altipiani e le praterie, le montagne e le paludi, ma le foreste sarebbero rimaste dominio dei Figli e nessun albero-diga, in nessun luogo del reame, sarebbe mai più stato abbattuto. Gli dei stessi furono testimoni dell’accordo, e a ogni albero di quell’isola venne dato un volto. E dopo, venne creato il sacro ordine degli Uomini verdi per vegliare sull’isola dei Volti.
«Il Patto diede inizio a un’amicizia tra gli uomini e i Figli della foresta che durò per quattromila anni. Con il passare del tempo, i Primi Uomini arrivarono a voltare le spalle agli dei che avevano portato con sé dall’Est e a onorare a loro volta le segrete divinità dei boschi. Il Patto pose fine all’Età dell’alba e diede inizio all’Età degli eroi.»
Il pugno di Bran si serrò attorno alla piccola punta di freccia. «Tu però hai detto che adesso i Figli della foresta sono tutti scomparsi.»
«Qui, ancora qui sono» disse Osha tagliando con i denti l’estremità dell’ultima benda. «Le cose sono diverse, a nord della Barriera. È la che sono andati i Figli della foresta, e i giganti, e le altre antiche razze.»
«Donna, tu dovresti essere o morta o in catene.» Maestro Luwin sospirò. «Gli Stark ti hanno trattata con molta più gentilezza di quanta tu non meriti. Non è cosa buona ripagare tale generosità riempiendo la testa dei nostri ragazzi con simili sciocchezze.»
«Dimmi che ne è stato dei Figli» insisté Bran. «Voglio sapere.»
«Anch’io» fece eco Rickon.
«Va bene, va bene» mugugnò Luwin. «Il Patto venne rispettato finché continuarono a esistere i regni dei Primi Uomini. Durò per tutta l’Età degli eroi, per tutta la Lunga Notte e fino alla nascita dei Sette Regni. Ma poi, molti secoli più tardi, venne il tempo in cui altri popoli attraversarono il mare Stretto.
«Per primi arrivarono gli Andali, una razza di guerrieri alti, dai capelli biondi. Vennero portando acciaio e fuoco, e avevano la stella a sette punte simbolo dei nuovi dei dipinta sul petto. Le guerre durarono centinaia di anni, ma alla fine i sei regni del Sud caddero tutti. Solo qui, dove i re del Nord respinsero una dopo l’altra ogni armata andala che cercò di superare l’Incollatura, resistette il dominio dei Primi Uomini. Gli Andali abbatterono le foreste di alberi-diga, bruciarono i volti nel legno, massacrarono i Figli della foresta dovunque li trovarono e proclamarono il trionfo dei Sette Nuovi Dei sugli antichi. Così, i Figli della foresta fuggirono verso nord…»
Estate lanciò un ululato.
Maestro Luwin sussultò, interrompendo di colpo la narrazione. Cagnaccio balzò in piedi e il suo ululato andò ad aggiungersi a quello del fratello. Bran sentì la morsa della paura attanagliargli il cuore.
«Sta arrivando» sussurrò, con la certezza della disperazione. Lo sapeva fin dalla notte precedente, quando il corvo l’aveva guidato nelle cripte a dire addio. Lo sapeva, ma aveva rifiutato di credere. Aveva voluto che fosse maestro Luwin ad avere ragione. “Il corvo con tre occhi” pensò.
Improvvisi come erano iniziati, gli ululati cessarono. Estate attraversò la stanza, raggiunse Cagnaccio e si mise a leccare la zona di pelo tutta impiastricciata di sangue sul collo del fratello. Dalla finestra venne un battito d’ali.
Un corvo atterrò sul davanzale di pietra grigia, aprì il becco, lanciò un rauco, aspro verso sfinito.
Rickon cominciò a piangere. Una a una, le punte di freccia gli sfuggirono di mano, rimbalzando al suolo. Bran lo attirò a sé, lo tenne stretto.
Maestro Luwin osservò l’uccello messaggero come se fosse uno scorpione alato. Si alzò, lento come un sonnambulo, e si accostò alla finestra, emettendo un fischio. Dal davanzale, il corvo gli saltò sull’avambraccio bendato. C’era sangue secco sulle sue remiganti. «Un falco» mormorò. «O forse un gufo. Povera bestia… È un miracolo che sia riuscito ad arrivare.» Prese il messaggio legato alla zampa del corvo.
Bran tremava nell’osservare le dita dell’anziano sapiente che srotolavano la pergamena. «Cosa dice?» bisbigliò, stringendo Rickon ancora più forte.
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