«La fanciulla è bella» disse Osha.
«Robert era il suo promesso sposo, ma il principe Rhaegar gliela portò via e la stuprò» spiegò Bran. «Per riaverla indietro, Robert scese in guerra. Uccise Rhaegar nella battaglia del Tridente con la sua mazza, ma Lyanna morì, e lui non la riebbe mai indietro.»
«Una storia triste» ammise Osha. «Però quei buchi vuoti sono ancora più tristi.»
«La tomba di lord Eddard, quando verrà il suo tempo» disse maestro Luwin. «È qui che in sogno hai visto tuo padre, Bran?»
«Sì.» Il ricordo lo fece rabbrividire. Girò lo sguardo sulla cripta piena di tenebre e i capelli gli si rizzarono sulla nuca. Aveva udito un rumore? C’era qualcuno lì?
«Come vedi, ragazzo, lord Eddard non è qui.» Maestro Luwin, torcia in mano, si accostò al sepolcro vuoto. «Né sarà qui per molto tempo. I sogni sono solamente sogni, piccolo mio.» Il vecchio sapiente allungò una mano nelle tenebre all’interno del sepolcro, quasi la stesse infilando tra le fauci di un mostro. «Vedi? E proprio vuo…»
Le tenebre gli saltarono addosso ringhiando.
Bran vide due occhi simili a fiamme verdi, vide zanne lampeggiare al chiarore della torcia, vide peli neri come il sepolcro dal quale scaturivano. Maestro Luwin urlò e sollevò le mani per difendersi. La torcia gli sfuggì, rimbalzò contro il volto di pietra di Brandon Stark e cadde ai piedi della statua, le fiamme che salivano a contorcersi lungo le gambe. Nella luce balenante della torcia caduta al suolo, videro maestro Luwin lottare con il meta-lupo e colpirlo disperatamente sul muso con una mano mentre le fauci erano serrate sull’altro braccio.
«Estate!» urlò Bran.
Ed Estate venne sfrecciando dall’oscurità alle loro spalle, ombra fulminea che si gettò addosso a Cagnaccio, scaraventandolo indietro. I due meta-lupi si avventarono uno contro l’altro in una massa informe di pelliccia grigia e nera che azzannava e mordeva. Maestro Luwin, il braccio dilaniato e sanguinante, lottò per rimettersi in piedi. Osha sistemò Bran sul lupo di pietra di lord Rickard e corse ad aiutarlo. Nel chiarore della torcia, le ombre dei lupi alte venti piedi lottavano sulle pareti, sul soffitto del sepolcro.
«Cagnaccio…» La voce esile venne dal buio. Bran sollevò gli occhi e vide suo fratello Rickon sull’imboccatura della tomba del loro padre. Un ultimo schiocco di mandibole a meno di un palmo dal muso di Estate, e Cagnaccio interruppe l’assalto e balzò a fianco di Rickon, che ammonì Luwin: «Tu lascia stare mio padre. Lascialo stare…».
«Rickon» disse piano Bran. «Nostro padre non è qui.»
«Sì che c’è. L’ho visto.» Le lacrime scintillavano sul viso di Rickon. «Ieri notte l’ho visto.»
«In sogno?…»
«Lasciatelo stare» annuì Rickon. «Lasciatelo stare. Lui adesso torna a casa, come ha promesso. Lui torna a casa.»
Bran non aveva mai visto maestro Luwin tanto incerto. Sangue gocciolava lungo il suo braccio, dove le zanne di Cagnaccio avevano squarciato la stoffa e la carne che essa ricopriva. «Osha, la torcia» disse il maestro a denti stretti, combattendo il dolore. Lei la raccolse da terra appena prima che si spegnesse. Le fiamme avevano lasciato sinuosi tentacoli bruciati lungo le gambe della statua di Brandon Stark. «Quella… quella belva» disse Luwin «avrebbe dovuto essere nei canili, alla catena.»
«L’ho sciolto io.» Rickon accarezzò il muso insanguinato di Cagnaccio. «Non gli piacciono le catene» concluse leccandosi le dita.
«Rickon» intervenne Bran. «Ti piacerebbe tornare su con me?»
«No. Mi piace restare qui.»
«Ma c’è buio, qui. E freddo.»
«Non ho paura. Devo aspettare nostro padre.»
«Restiamo ad aspettarlo assieme» continuò Bran. «Tu, io e i nostri lupi.» Entrambi i meta-lupi stavano leccandosi le ferite, di colpo tranquilli.
«Bran» disse maestro Luwin con fermezza «io so che le tue intenzioni sono buone, tuttavia Cagnaccio è troppo selvaggio per essere lasciato libero. Sono il terzo uomo che ha azzannato. Tu concedigli di girare per il castello, ed è solo questione di tempo perché uccida qualcuno. È una dura realtà, lo so, ma il lupo dev’essere tenuto alla catena, altrimenti dovrà essere…» La sua voce si affievolì.
“… ucciso” pensò Bran. «Non è fatto per le catene» disse invece. «Aspetteremo nella tua torre, tutti quanti.»
«Impossibile» replicò maestro Luwin.
Osha sogghignò. «Se ricordo bene, a dare gli ordini è il giovane lord.» Consegnò la torcia a Luwin e tornò a prendere Bran tra le braccia. «Alla torre del maestro, dunque.»
«Rickon, tu vieni?»
Il piccolo annuì. «Solo se viene anche Cagnaccio» disse correndo dietro a Osha e Bran.
Maestro Luwin non ebbe altra scelta che seguirli, tenendo d’occhio i due lupi.
Nella torretta di maestro Luwin era ammucchiata talmente tanta roba che Bran si domandò come facesse il maestro a trovare quello che cercava. Tavoli e sedie erano ingombri di traballanti pile di libri, file di vasi occupavano gli scaffali, mozziconi di candela e chiazze di cera indurita costellavano i mobili, il tubo di bronzo con le lenti, di Myr era sistemato su un treppiede accanto alla porta della balconata, mappe stellari erano appese alle pareti, dovunque c’erano penne, pergamene e calamai. Gli escrementi dei corvi messaggeri appollaiati fra le travature del tetto punteggiavano ogni cosa. Il loro gracchiare stridente accompagnò Osha la quale, seguendo le succinte istruzioni di Luwin, si occupò della ferita al braccio. «Pura follia» disse l’anziano, grigio sapiente mentre Osha spargeva un unguento che bruciava sulle lacerazioni. «Concordo che sia insolito che entrambi voi ragazzi abbiate fatto il medesimo sogno, eppure, se vi soffermate a pensarci, è più che naturale. Avete nostalgia di vostro padre, e sapete che è prigioniero. La paura può far ardere la mente di un uomo e generare pensieri bizzarri. Rickon è troppo giovane per comprendere…»
«Ho quattro anni.» Rickon stava guardando nel tubo di Myr i doccioni della Prima Fortezza. I meta-lupi erano accucciati ai lati opposti della stanza a rosicchiare ossa e leccarsi le ferite.
«…troppo giovane, dicevo, e… aaaah!… come brucia. No, non fermarti, dell’altro. Per cui, Rickon è troppo giovane, ma tu Bran, tu hai abbastanza anni da sapere che i sogni sono soltanto sogni.»
«Certi lo sono, e certi no» disse Osha versando pallido latte-di-fuoco sulla ferita. Luwin gemette. «I Figli della foresta ne sanno molto, dei sogni.»
Lacrime di sofferenza scorrevano lungo i lineamenti scavati del maestro, eppure lui scosse ostinatamente il capo. «I Figli della foresta… sono anche loro un sogno. Sono morti, adesso. Andati, svaniti. Basta, basta così. Ora le bende. Pezzuole sotto, avvolgimenti sopra. E che siano strette. Sanguinerò ancora.»
«La vecchia Nan dice che i Figli della foresta capivano il canto degli alberi» disse Bran. «Potevano volare come uccelli e nuotare come pesci e parlare con gli animali. Dice che la loro musica era così bella che solo a udirla piangevi come un bambino.»
«E tutto questo potevano farlo per mezzo della magia» disse maestro Luwin, preso dalla sua sofferenza. «Vorrei davvero che fossero qui con noi, in questo momento. Forse uno dei loro incantesimi potrebbe farmi dolere il braccio un po’ meno. E potrebbero parlare con Cagnaccio, dirgli di non azzannare più nessuno.» Con la coda dell’occhio, rivolse al grande lupo nero uno sguardo ostile. «Una lezione, Bran: l’uomo che si affida agli incantesimi, duella con una spada di vetro. Come accadde ai Figli della foresta. Vieni, ti mostro qualcosa.» Si alzò di scatto e andò a prendere un vasetto verde. «Da’ un’occhiata…» Tolse il tappo e scosse fuori dal contenitore una manciata di piccole punte di freccia nere, luccicanti.
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