Una pietra volò da chissà dove e colpì lord Eddard in fronte. Arya non riuscì a trattenere un grido. Solo la presa delle guardie poté impedire che lui cadesse a terra. Da una profonda ferita al capo, il sangue gli scorreva sul volto. Altre pietre volarono. Una colpì la guardia alla sinistra di suo padre. Un’altra rimbalzò sul pettorale dell’uomo con l’armatura nera e oro. Due cavalieri della Guardia reale si misero davanti a Joffrey e alla regina per ripararli dietro i loro scudi.
La mano di Arya scivolò sotto la cappa e trovò Ago. Le sue dita si chiusero attorno a essa e strinsero, strinsero con una forza quale mai lei aveva usato per stringere qualsiasi altra cosa. “Dei, vi prego, conservatelo sano e salvo” pregò. “Non permettete che facciano del male a mio padre.”
Il sommo septon s’inginocchiò di fronte a Joffrey e alla regina. «I peccati che noi commettiamo li pagheremo con la nostra sofferenza.» La sua voce era alta e vibrante, molto più forte di quella di lord Eddard. «Qui, in questo sacro luogo, quest’uomo ha confessato i suoi crimini al cospetto degli dei e degli uomini.» Le sfumature arcobalenanti danzarono di nuovo quando il prelato sollevò entrambe le mani in un gesto liturgico. «Gli dei sono giusti, ciò nondimeno Baelor il Benedetto c’insegnò che gli dei sanno anche essere misericordiosi. Che ne sarà di questo traditore, maestà?»
Mille voci stavano urlando, ma Arya non le udì. Il principe Joffrey… no, il re Joffrey… emerse da dietro gli scudi della Guardia reale. «Mia madre mi suggerisce di lasciare che lord Eddard prenda il nero. E lady Sansa implora la mia clemenza per suo padre…» Guardò Sansa dritto in faccia. Le sorrise. Per un momento, Arya credette che gli dei avessero dato ascolto alle sue preghiere, ma poi Joffrey tornò a voltarsi verso la folla e proseguì: «Entrambe hanno il cuore molle, come tutte le donne. Fino a quando io sarò re, mai il tradimento resterà impunito. Ser Ilyn, portami la sua testa!».
Dalla folla si levò un boato e Arya sentì la statua di Baelor ondeggiare quando centinaia di corpi si ammassarono contro di essa. Il sommo septon afferrò re Joffrey per la cappa e Varys accorse gesticolando. Perfino la regina si protese a dirgli qualcosa, ma Joffrey scosse il capo. La massa di lord e cavalieri si aprì per far passare lui, alto e scarno, uno scheletro in maglia di ferro, la giustizia del re. Debole come se provenisse da un’inconcepibile distanza, Arya udì il grido di sua sorella. Sansa era crollata in ginocchio e singhiozzava istericamente. Ser Ilyn Payne salì i gradini del pulpito.
Arya si contorse tra i piedi della statua di Baelor e si tuffò sulla folla, mulinando Ago. Arrivò addosso a un uomo che indossava un grembiule da macellaio e lo mandò a terra. Subito qualcuno la colpì alla schiena e per poco anche lei non finì al suolo. I corpi si chiusero attorno a lei, calpestando, schiacciando lo sventurato macellaio. Arya mulinò Ago alla cieca.
Sulla sommità del pulpito, ser Ilyn Payne fece un gesto secco e l’uomo con l’armatura nera e oro gridò un ordine. Le cappe dorate scaraventarono lord Eddard sul marmo, testa e torace oltre il parapetto.
«Tu! Vieni qui!» gridò qualcuno ad Arya, ma lei non si fermò, scaraventò gente da parte, si contorse tra altra gente, andò addosso a chiunque le si parasse di fronte. Una mano cercò di afferrarla per la gamba. Arya colpì e sferrò calci negli stinchi. Una donna le crollò davanti e Arya le si arrampicò sulla schiena, continuando a menare fendenti a destra e a sinistra. Ma non bastava, non bastava. Troppa gente da tutte le parti. Nel momento in cui riusciva ad aprirsi un varco, quel varco tornava a chiudersi. Qualcuno la urtò di lato. Poteva ancora udire le urla di Sansa.
Dal fodero che portava sulla schiena, ser Ilyn Payne estrasse una spada lunga a due mani. Sollevò la lama contro il sole e la luce parve danzare e contorcersi sul metallo, scintillò sul filo della lama, più affilato di qualsiasi rasoio. “Ghiaccio! Ha preso Ghiaccio!” pensò Arya. Le lacrime le inondarono il volto, accecandola.
Una mano apparve dal nulla e si serrò attorno al suo braccio come una tagliola per lupi in una stretta così formidabile da farle perdere la presa su Ago. Sarebbe caduta se la mano non l’avesse sollevata come se fosse stata una bambola di stracci. Un volto si fece vicinissimo al suo, lunghi capelli neri, barba arruffata, denti marci. «Non guardare!» le ordinò una voce rauca.
«Io… Io… Io…» singhiozzò Arya.
L’uomo nero la scosse così forte da farle battere i denti. «Bocca chiusa, occhi chiusi, ragazzino.» Da lontano, come dal fondo di un abisso, udì un… un suono… un suono simile a un grande sospiro, come se un milione di persone avessero sospirato tutte assieme. «Guarda me.» Dure come ferro, le dita del vecchio affondarono nel suo braccio. «Guarda me. Sì, così: me.» Il suo alito puzzava di vino scadente. «Ricordi, ragazzino?»
Fu il puzzo a farle ricordare. Arya aveva già visto quei capelli luridi, quella cappa nera tutta sporca e rattoppata che copriva spalle storte, quegli occhi neri, metallici. Era il guardiano della notte che aveva fatto visita a suo padre.
«Mi conosci, vero? Bravo, il ragazzino.» L’uomo in nero sputò a terra. «Qui loro hanno finito. Tu adesso vieni con me. E tieni la bocca chiusa.» Arya fece per dire qualcosa. L’uomo in nero la scosse di nuovo. «Chiusa, ho detto!»
La piazza cominciava a svuotarsi. La gente tornava alla propria vita. La vita di Arya Stark, invece, era svanita. Come in un incubo, Arya seguì… “Yoren, si chiama Yoren.” Non aveva memoria di come lui fosse riuscito a trovare Ago. Non finché non le ridiede la spada. «Spero che tu sappia come usarla, ragazzino.»
«Io non sono un…» L’uomo in nero la spinse in un androne, le infilò le dita sporche tra i capelli e glieli torse facendole piegare la testa all’indietro. «…un ragazzo sveglio. È questo che volevi dire?»
Nell’altra mano aveva un coltello.
Quando la lama si avvicinò al suo viso, Arya si gettò indietro, scalciò selvaggiamente, scosse la testa da una parte all’altra, ma lui la tenne per i capelli con tanta forza che sentì la pelle del cranio tendersi, e sulle labbra il sapore salato delle lacrime.
I più vecchi erano uomini fatti. Molti, avevano diciassette, diciotto anni. Uno aveva addirittura superato i venti. La maggior parte erano più giovani, sedici anni o anche meno.
Bran rimase a osservarli dalla balconata della torre di maestro Luwin. Li ascoltò borbottare e imprecare mentre si sfiancavano nel mulinare spade e mazze da addestramento. Il cortile di Grande Inverno riecheggiava dei colpi del legno che pestava contro altro legno, echi punteggiati fin troppo spesso da tonfi soffocati e da grida di dolore quando un colpo picchiava contro cuoio o muscoli. Ser Rodrik, la faccia arrossata sotto i baffoni bianchi, si muoveva tra i ragazzi, sbraitando a uno, a un altro, a tutti quanti. Mai Bran aveva visto un simile cipiglio sul volto dell’anziano cavaliere. «No!» continuava a dire. «Non così! Sbagli! Sbagli!»
«Non combattono molto bene» rilevò Bran in tono dubbioso. Grattò dietro le orecchie Estate, che stava divorando un pezzo di carne. Le ossa si schiantavano tra le sue zanne.
«Questo per certo» dovette convenire maestro Luwin con un sospiro.
L’anziano sapiente continuò a osservare attraverso il grosso tubo con le lenti di Myr, misurando la lunghezza delle ombre, studiando la posizione della cometa che appariva bassa nel cielo del mattino. «Con un po’ di tempo, ser Rodrik ne farà dei guerrieri. Ci servono uomini per sorvegliare le mura. Il lord tuo padre ha portato il fior fiore della sua Guardia ad Approdo del Re e tuo fratello ha preso non solo il resto, ma anche i giovani abili dei territori circostanti. Molti di loro non faranno ritorno e dobbiamo trovare qualcuno che ne prenda il posto.»
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