Pieno di risentimento, Bran guardò i ragazzi che sudavano nel cortile. «Se avessi ancora le gambe, li batterei tutti quanti.» Non avrebbe mai dimenticato l’ultima volta che aveva stretto in pugno una spada, quando il re era venuto a Grande Inverno. Era solo una spada di legno, ma lui aveva spedito il principe Tommen nella polvere cento volte. «Ser Rodrik dovrebbe insegnarmi a usare un bastone da combattimento. Se ne avessi uno bello lungo, Hodor potrebbe essere le mie gambe. E lui e io, assieme, potremmo diventare un cavaliere.»
«Mi sembra poco probabile.» Maestro Luwin corrugò la fronte. «Quando un uomo combatte, Bran, le sue braccia, le sue gambe e la sua mente devono essere un’unica cosa.»
«Ti batti come un’oca!» tuonò la voce di ser Rodrik dal cortile sotto di loro. «Lui ti dà una beccata e tu gliene dai una più forte. Para! Blocca il colpo! Il combattimento tra oche non serve a nulla. Se quelle fossero spade vere, il primo fendente ti staccherebbe un braccio!» Uno degli altri ragazzi rise e il vecchio cavaliere lo folgorò con un’occhiata. «Tu ridi. Ma bene! Proprio tu che ti batti come un porcospino…»
«Un tempo c’era un cavaliere cieco» si ostinò Bran, mentre ser Rodrik continuava a strigliare le reclute. «È stata la vecchia Nan a parlarmi di lui. Aveva un lungo palo con lame a entrambe le estremità. Lo faceva roteare tra le mani e tagliava due avversari alla volta.»
«Symeon Occhi di stelle» disse Luwin annotando un numero su un libro. «Quando perse la vista, si collocò nelle orbite vuote due zaffiri a forma di stelle. O almeno, così dicono i cantori. Bran, è soltanto una favola, come quelle su Florian il Giullare. Storie dell’Età degli eroi.» Il Maestro sbuffò. «Farai meglio a lasciarli perdere, quei sogni, o finiranno con lo spezzarti il cuore.»
Sogni. Quella parola gli fece tornare in mente qualcosa. «Ho sognato di nuovo il corvo, ieri notte. Il corvo con tre occhi. È volato nella mia camera da letto e mi ha detto di seguirlo. Così sono andato con lui. Siamo scesi nelle cripte. C’era il lord mio padre, là sotto. Abbiamo parlato. Lui era triste.»
«E come mai?» Maestro Luwin continuava a osservare attraverso il suo tubo.
«Qualcosa che aveva a che fare con Jon, credo.» Il sogno era stato profondamente inquietante, molto più di tanti altri sogni con il corvo. «Hodor non vuole scendere nelle cripte.»
Il maestro non gli stava dando molto retta, questo a Bran non sfuggì. Tolse l’occhio dal tubo, ammiccando. «Hodor non fa cosa?…»
«Non scende nelle cripte. Quando mi sono svegliato, gli ho detto di portarmi giù per vedere se mio padre fosse veramente là. Sulle prime, non ha capito quello che dicevo, ma sono comunque riuscito a portarcelo dicendogli va’ qui, va’ lì. Solo che, quando siamo stati sulla soglia delle cripte, non ha più voluto continuare. È rimasto fermo sul gradino più alto e ha detto: “Hodor”, come se avesse paura del buio. Io però avevo una torcia. Mi ha fatto così arrabbiare che per poco non gli ho dato una sberla dietro la testa, di quelle che gli dà sempre la vecchia Nan.» Vide il maestro accigliarsi e aggiunse in fretta: «Però non l’ho fatto».
«Bene. Hodor è un uomo, non un animale da soma.»
«Nel sogno, volavo giù assieme al corvo» continuò a spiegare Bran. «Da sveglio, però, non posso farlo.»
«Per quale ragione vorresti scendere nelle cripte?»
«Te l’ho detto. Per cercare mio padre.»
Maestro Luwin tormentò la catena del suo ordine, un gesto che faceva spesso quando si sentiva a disagio. «Bran, caro figliolo, un giorno lord Eddard sarà veramente là sotto, seduto su un trono di pietra, accanto a suo padre, e al padre di suo padre, e a tutti gli altri Stark del passato fino ai re dell’Inverno… Ma questo, con l’aiuto degli dei, non avverrà per molti e molti anni ancora. Tuo padre è ad Approdo del Re, prigioniero della regina. Non è nelle cripte che lo troverai.»
«Ma la notte scorsa c’era. Io gli ho parlato.»
«Ragazzo testardo» sospirò il maestro, spingendo da parte il libro. «Vuoi davvero andare a vedere?»
«Non posso. Hodor non vuole andare, e gli scalini sono troppo stretti e tortuosi per Danzatrice.»
«Credo che saremo in grado di risolvere il problema.»
Al posto di Hodor chiamarono Osha, la donna dei bruti. Era alta, forte, non si lamentava mai ed era pronta ad andare dovunque le venisse comandato. «Ho vissuto tutta la mia vita a nord della Barriera» disse sollevando Bran tra le braccia dure come fili metallici. «Un buco nel terreno, miei lord, non mi fa alcuna paura.»
«Estate, vieni» chiamò Bran. Il meta-lupo abbandonò l’osso e tenne dietro a Osha, che trasportò Bran attraverso il cortile e quindi giù per la scala a spirale che scendeva fino al gelido sepolcro nel sottosuolo. Maestro Luwin li precedeva con una torcia. Bran non se la prese, non troppo almeno, che Osha lo tenesse fra le braccia e non sulle spalle. Da quando era arrivata a Grande Inverno, la donna aveva servito con fedeltà e onestà. Per questo ser Rodrik aveva ordinato che le venissero tolte le catene. Continuava, però, ad avere anelli di ferro alle caviglie, segno che di lei ancora non ci si fidava del tutto. Gli anelli, comunque, non le furono di alcun intralcio nel discendere a passi sicuri i tortuosi gradini di pietra.
Bran non riusciva a ricordare quando era stato nelle cripte l’ultima volta. Prima, di sicuro. Quando era piccolo, ci andava a giocare con Robb, Jon e le sue sorelle.
Quanto avrebbe voluto che fossero lì con lui in quel momento: le cripte non gli sarebbero parse così buie e paurose. Estate scivolò nell’oscurità piena di echi, poi si fermò, alzò la testa e annusò l’aria gelida, ristagnante. Scoprì le zanne e arretrò, gli occhi che parevano d’oro nel chiarore della torcia del maestro. Perfino Osha, dura come vecchi chiodi, parve a disagio. «Gente cupa, a vedere le loro facce.» Il suo sguardo percorse la lunga teoria di Stark fatti di granito sui loro troni di pietra.
«Erano i re dell’Inverno» bisbigliò Bran. Per una qualche ragione, non gli sembrava corretto parlare a voce alta in quel luogo
«L’inverno non ha re» sorrise Osha. «Se l’avessi visto lo sapresti anche tu, ragazzino dell’estate.»
«Furono re del Nord per migliaia di anni» disse maestro Luwin sollevando la torcia e illuminando i volti di pietra. Alcuni erano coperti da folte barbe, uomini irsuti, fieri come i lupi accucciati ai loro piedi. Altri erano privi di peli e avevano fattezze angolose e taglienti quanto le lunghe spade di ferro che tenevano sulle ginocchia. «Uomini duri per epoche dure. Andiamo.» Avanzò verso le profondità del sepolcro, superando la processione di pilastri di pietra e di figure scolpite che pareva non avere fine. Dal fulcro ardente della torcia, una scia di fuoco lo seguì nel movimento.
Era cavernosa, quella cripta, e più estesa di Grande Inverno. Una volta Jon aveva detto a Bran che più in basso c’erano anche altri livelli, sepolcri ancora più profondi e tenebrosi, nei quali erano sepolti i re più antichi. Ritrovarsi senza luce là sotto sarebbe stato molto sgradevole. Osha, con Bran tra le braccia, seguì la torcia, ma Estate rifiutò di muoversi dalla base degli scalini.
«Ricordi la storia della tua nobile Casa, Bran?» disse maestro Luwin mentre camminavano. «Di’ a Osha chi furono e anche, se lo ricordi, quali imprese compirono.»
Bran osservò i volti di pietra e i racconti gli tornarono alla mente. Il maestro gli aveva parlato della storia, ma erano state le leggende della vecchia Nan a rendere viva la storia. «Quello è Jon Stark. Quando i predoni del mare sbarcarono a est, lui li respinse e costruì il castello al Porto Bianco. Suo figlio era Rickard, non il padre di mio padre, un altro Rickard. Lui conquistò l’Incollatura dal re delle Paludi e sposò sua figlia. Theon Stark è quello tanto magro, con i capelli lunghi e senza barba. Lo chiamavano il “Lupo affamato” perché era sempre a fare la guerra. Quello lì invece, quello con la faccia sognante, è Brandon il Navigatore, che amava tanto il mare. La sua tomba è vuota. Salpò verso occidente per cercare di attraversare il mare del Tramonto, ma non fece mai ritorno. Suo figlio, che bruciò tutte le navi del padre in segno di dolore, è Brandon l’Incendiario. Lì c’è Rodrik Stark, che vinse l’isola degli Orsi a un incontro di lotta e la diede poi ai Mormont. E quello è Torrhen Stark, il Re in ginocchio, che si arrese ad Aegon il Conquistatore. Fu l’ultimo re del Nord e il primo lord di Grande Inverno. Oh, guarda là, quello è Cregan Stark. Una volta duellò con il principe Aemon e si dice che mai il Cavaliere del drago abbia incontrato uno spadaccino più temibile di lui.» Avevano quasi raggiunto la fine del sepolcro e Bran sentì la tristezza farsi strada in lui. «Quello è mio nonno, lord Rickard, che venne decapitato dal folle re Aerys. Nelle tombe accanto alla sua riposano sua figlia Lyanna e suo figlio Brandon, non io, un altro Brandon, il fratello di mio padre. Non dovrebbero avere statue, quelle sono soltanto per i lord e i re, ma mio padre li amava talmente da volere che anche loro le avessero.»
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