George Martin - Il regno dei lupi

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Il regno dei lupi: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel terzo capitolo della saga delle “Cronache del ghiaccio e del fuoco” una rossa cometa apparsa nel cielo dei Sette Regni sembra annunciare tremende sciagure. La lunga estate dell'abbondanza sta per finire, mentre quattro pretendenti, in aperta guerra gli uni contro gli altri, si contendono il Trono di Spade.

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«Tu dici? Ser Barristan Selmy era il lord comandante della Guardia reale di re Robert Baratheon» le rammentò Tyrion. «Lui e Jaime sono gli unici superstiti delle sette spade bianche di Aerys Targaryen. Di ser Barristan, il popolo parla con la medesima ammirazione con cui parla di Serwyn dallo Scudo a specchio e di Aemon il Cavaliere del drago. Che cosa credi che penseranno nel vedere Barristan il Valoroso cavalcare a fianco di Robb Stark o di Stannis Baratheon?»

Cersei distolse lo sguardo: «A questo non avevo pensato».

«Ci ha pensato però nostro padre. Ed è proprio la ragione per cui mi ha mandato qui, per porre fine a tutte queste idiozie e richiamare all’ordine tuo figlio.»

«Dubito molto che Joffrey sarà più malleabile con te di quanto lo sia con me.»

«Potrebbe diventarlo.»

«E perché dovrebbe?»

«Perché sa che tu non gli faresti mai del male.»

Gli occhi di Cersei si ridussero a due fessure. «Se credi che ti permetterò di fare del male a mio figlio, stai delirando di febbre.»

Tyrion sospirò. Non ci arrivava. In realtà, faceva spesso fatica a capire. «Con me, Joffrey è al sicuro tanto quanto lo è con te» la rassicurò. «Ma se il ragazzo sente di essere minacciato, sarà più incline ad ascoltare.» Le prese una mano. «Cersei, sono sempre tuo fratello, e tu hai bisogno di me, che tu lo voglia ammettere o no. E anche tuo figlio ha bisogno di me, soprattutto se vuole continuare a sperare di conservare quel brutto scranno di ferro.»

Sua sorella parve sconvolta dal fatto che lui avesse osato toccarla: «Sei sempre stato astuto, Tyrion».

«A mio modesto modo» sogghignò il Folletto.

«Forse vale la pena di tentare…» cedette Cersei. «Ma non commettere errori, Tyrion. Se io accetto la tua presenza, sarai il Primo Cavaliere del re di nome, ma il Primo Cavaliere della regina di fatto. Prima di agire, discuterai con me tutti i tuoi piani e le tue intenzioni. E non farai nulla senza il mio consenso. Siamo intesi?»

«Ma certo.»

«Sei d’accordo, quindi.»

«In tutto e per tutto» le mentì lui. «Sono ai tuoi comandi, sorella…» “Ma solo fino a quando mi farà comodo.” «Per cui, adesso che abbiamo un obiettivo comune, non dovrebbero più esistere segreti fra di noi. Hai detto che è stato Joffrey a far uccidere lord Eddard, che è stato Varys a liquidare ser Barristan e Ditocorto a farci gentile omaggio di lord Slynt. Chi ha assassinato Jon Arryn?»

Cersei strappò la mano da quelle di lui: «Perché dovrei saperlo?».

«L’inconsolabile vedova al Nido dell’Aquila è convinta che sia io il colpevole. E mi domando chi mai le avrà messo in testa una simile sgradevole idea.»

«Non lo so proprio. Quello stupido di Eddard Stark mi ha accusata della stessa cosa. Mi ha lasciato intendere che lord Arryn sospettava… ecco, che credeva…»

«Che tu ti facevi sbattere dal nostro caro fratellino Jaime?»

Lei lo schiaffeggiò.

«Credi che sia cieco come nostro padre?» Tyrion si massaggiò la guancia. «Non m’importa con chi giaci, per quanto… be’, diciamocelo: non trovo giusto che tu apra le gambe solo per un fratello e non per l’altro.»

Lei lo schiaffeggiò.

«Sii gentile con me, Cersei, sto solo scherzando. In tutta franchezza, preferirei andare con una bella puttana. Non sono mai riuscito a capire che cosa Jaime continui a vedere in te… A parte un’immagine riflessa di se stesso.»

Lei lo schiaffeggiò.

«Non rifarlo, sorellina.» Le guance di Tyrion erano rosse e infuocate, eppure lui continuava a sorridere. «Potrei davvero irritarmi.»

Questo la spinse ad abbassare la mano. «E se anche fosse?»

«Ho dei nuovi amici, qui fuori» le confidò. «E non credo proprio che ti piacerebbe fare la loro conoscenza. Parliamo di Robert: in che modo lo hai ucciso?»

«Ha fatto tutto da solo. Noi… gli abbiamo solo fornito un piccolo aiuto. Quando Lancel lo ha visto andare ad affrontare il cinghiale, gli ha dato del vino forte, il suo rosso amaro preferito. Però potenziato, tre volte più forte di quello che beveva di solito. Quanto lo amava, il vino, quel fetente imbecille. Poteva fermarsi, poteva smettere di riempirsi le viscere dopo il primo otre. Invece no, ha ordinato a Lancel di portargliene un secondo. Il cinghiale ha fatto il resto. Peccato che tu ti sia perso il banchetto, Tyrion. Mai mangiato un cinghiale più delizioso. L’hanno cucinato con funghi e mele. Aveva il sapore… del trionfo!»

«In verità, sorella cara, tu sei nata per essere vedova.» A Tyrion in fondo non dispiaceva Robert Baratheon, sciocco crapulone che era, più che altro per reazione al fatto che sua sorella lo odiava così tanto. «Quindi, se hai finito di prendermi a sberle, credo che toglierò il disturbo.» Contorse le gambette corte e scivolò goffamente giù dallo scranno.

«Non ti ho dato licenza di andare.» Cersei corrugò la fronte. «Voglio sapere che cosa intendi fare per liberare Jaime.»

«Te lo dirò quando lo saprò. I piani sono come i frutti: bisogna farli maturare. Per adesso, credo che farò una cavalcata nelle strade per farmi un’idea di questa città.»

Tyrion appoggiò una mano sulla testa di una delle sfingi di Valyria ai lati della porta. «Oh, un’ultima cosa. Cortesemente, sorellina, assicurati che a Sansa non venga fatto alcun male, intesi? Sarebbe quanto mai controproducente perderle entrambe, le ragazze Stark.»

Fuori della sala del Concilio, Tyrion si congedò da ser Mandon Moore con un rapido cenno del capo e si avviò per il lungo corridoio con volta ad arco. Bronn lo scortò a distanza ravvicinata. Di Timett figlio di Timett, nessuna traccia.

«Dov’è la nostra Mano rossa?» domandò Tyrion.

«Gli è venuta una gran voglia di esplorare. Quelli come lui non sono fatti per aspettare davanti a una porta.»

«Mi auguro che non uccida nessuno d’importante.»

I barbari che Tyrion aveva portato con sé dalle montagne della Luna avevano una sorta di loro brutale senso di lealtà, ma erano anche troppo orgogliosi e troppo litigiosi, sempre pronti a rispondere a insulti veri o presunti con l’acciaio.

«Va’ a cercarlo, Bronn» gli intimò il Folletto. «E già che ci sei, assicurati che il resto della truppa si sia acquartierato e rifocillato. Voglio che si sistemino nei baraccamenti sotto la Torre del Primo Cavaliere, ma non permettere che l’attendente metta i Corvi di Pietra vicino ai Fratelli della Luna. Digli anche che gli Uomini Bruciati devono avere un edificio tutto per loro.»

«E tu dove andrai?»

«Torno all’Incudine spezzata.»

«Ti serve una scorta?» Bronn fece un sogghigno insolente. «Gira voce che le strade siano pericolose.»

«Chiamerò il comandante delle guardie di mia sorella, e gli rammenterò che io sono un Lannister tanto quanto lo è lei. Il prode ufficiale deve tenere ben presente che ha giurato fedeltà a Castel Granito, non a Cersei o a Joffrey.»

Tyrion uscì a cavallo dalla Fortezza Rossa un’ora più tardi, con al seguito una dozzina di guardie dei Lannister in mantelli porpora ed elmi con criniera di leone. Nel superare il ponte levatoio, il suo sguardo incontrò le teste mozzate infilate sulle picche lungo le mura, orridi simulacri decomposti e anneriti dal catrame, ormai pressoché irriconoscibili.

«Comandante Vylarr!» gridò. «Voglio che quelle teste domani siano sparite. Datele alle Sorelle del silenzio perché le ricompongano.»

Riuscire ad accoppiarle con i corpi corrispondenti sarebbe stato un lavoro d’inferno, immaginò Tyrion, eppure andava fatto. Perfino nel mezzo di una guerra, certe forme di decenza dovevano essere rispettate.

Vylarr ebbe un attimo d’esitazione. «Sua maestà il re ci ha detto di lasciare le teste sulle mura fino a quando anche le tre ultime picche non saranno state riempite.»

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