George Martin - Il regno dei lupi

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Nel terzo capitolo della saga delle “Cronache del ghiaccio e del fuoco” una rossa cometa apparsa nel cielo dei Sette Regni sembra annunciare tremende sciagure. La lunga estate dell'abbondanza sta per finire, mentre quattro pretendenti, in aperta guerra gli uni contro gli altri, si contendono il Trono di Spade.

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Una colonna di cavalieri emerse dall’arcata del ponte levatoio in un rumore assordante di metallo e di zoccoli. D’istinto, Clegane si accostò al suo re, la mano sull’elsa della spada da combattimento. I visitatori erano stremati, coperti di polvere e di fango eppure, alla loro testa, sventolava lo stendardo dei Lannister, leone dorato in campo porpora. Alcuni indossavano i mantelli rossi e le cotte di maglia di ferro dei soldati Lannister, ma la maggior parte erano mercenari, rivestiti delle più diverse corazze e armati di affilate lame d’acciaio. E poi… erano seguiti da altri, individui talmente mostruosi che sembravano usciti da una delle storie della vecchia Nan, quei racconti paurosi che a Bran piacevano tanto. Erano guerrieri coperti di malridotte pelli di animali e di cuoio usurato, con lunghi capelli e barbe incolte. Alcuni di loro portavano fasciature incrostate di sangue sulle sopracciglia e sulle nocche delle mani. Ad altri mancavano occhi, naso, dita.

In mezzo a quella parata, sul dorso di un alto destriero fulvo su cui era stata posta una strana sella atta a sorreggerlo di fronte e sul retro, cavalcava il fratello nano della regina, Tyrion Lannister, il Folletto. Si era lasciato crescere la barba — un groviglio di rovi gialli e neri, duri come fili di ferro -, che celava parzialmente il suo volto rincagnato. Un mantello spettrale di pelliccia nera orlato di bianco gli scendeva lungo la schiena. Reggeva le redini con la sinistra, il braccio destro trattenuto al collo da una benda di seta bianca, ma per il resto rimaneva la medesima figura grottesca che Sansa ricordava dalla sua visita a Grande Inverno. Con le arcate sopracciliari troppo folte e gli occhi asimmetrici, era sempre l’individuo più brutto sul quale Sansa avesse mai posato lo sguardo.

Imperterrito, Tommen diede di speroni al suo pony e partì al galoppo lungo le corsie del torneo, gridando di giubilo. Uno dei selvaggi, un uomo enorme e dinoccolato, dalla faccia pressoché sepolta nei peli, prelevò il bambino di sella come se fosse stato un granello di polvere, nonostante il peso dell’armatura, e lo depositò a terra accanto allo zio. La risata incontenibile di Tommen riecheggiò tra le mura della Fortezza Rossa. Tyrion gli diede un’affettuosa pacca sulla placca dorsale e Sansa fu stupefatta nel vedere che i due erano della medesima statura. Anche Myrcella arrivò correndo. Il Folletto l’afferrò in vita e la fece vorticare nell’aria, lanciando striduli gridolini.

Dopo averla posata a terra, il nano la baciò in fronte e finalmente si avviò ondeggiando goffamente verso Joffrey. Due dei suoi uomini lo seguirono: uno era un mercenario dai capelli e gli occhi neri come il carbone che si muoveva come una pantera, l’altro era un giovane scarno con una cavità orbitale vuota. Tommen e Myrcella li seguirono.

Tyrion s’inginocchiò al cospetto del suo nuovo re: «Maestà».

«Tu» constatò Joffrey.

«Io» concordò il Folletto. «Per quanto un saluto un minimo più cordiale sarebbe più adatto ad accogliere uno vecchio zio.»

«Dicevano che eri morto» disse il Mastino.

Il piccolo uomo lanciò una lunga occhiata al gigante. Aveva un occhio verde e uno nero, ed entrambi avevano un’espressione gelida: «Parlavo con il re, non con il suo scagnozzo».

«Io sono contenta che tu non sia morto» dichiarò la principessa Myrcella.

«Condividiamo la tua gioia, piccola mia.» Tyrion si rivolse quindi a Sansa. «Mia lady, sono davvero dolente per la tua perdita. Invero, gli dei sono crudeli.»

Sansa rimase senza parole. Com’era possibile che fosse dispiaciuto per il suo lutto? La stava forse deridendo? Non erano gli dei a essere stati crudeli, era stato Joffrey.

«Sono dolente anche per la tua perdita, Joffrey» aggiunse il nano.

«Quale perdita?»

«Il tuo nobile padre. Un uomo grande, grosso e fiero, con una gran barba nera. Se ti sforzi un po’, chissà, magari potrebbe anche tornarti in mente.»

«Oh, lui. Sì, una cosa molto triste. L’ha ucciso un cinghiale.»

«Davvero? È questo ciò che dicono, maestà?»

Joffrey aggrottò la fronte. Sansa sentiva di dover dire qualcosa. Cos’è che septa Mordane, la sua istitutrice, le ripeteva sempre? Ah, sì: “La corazza di una lady è la cortesia”. Così Sansa indossò quella corazza e parlò: «Sono dispiaciuta che la lady mia madre ti abbia preso prigioniero, mio signore».

«Sono spiacenti in parecchi per quello» replicò Tyrion. «E ben presto, alcuni di loro saranno ancora più spiacenti… Tuttavia apprezzo le tue parole. Joffrey, dove posso trovare tua madre?»

«È con il mio Concilio» rispose il re. «Tuo fratello Jaime continua a perdere battaglie.» Scoccò a Sansa uno sguardo inferocito, come se fosse colpa sua. «È stato catturato dagli Stark e abbiamo perso Delta delle Acque, e adesso quello stupido fratello di Sansa si fa chiamare re.»

Il nano fece una smorfia che doveva essere un sorriso: «Di questi tempi, c’è un mucchio di gente stupida che si fa chiamare re».

Joffrey non seppe come rispondere alla battuta, e continuò ad avere un’espressione sospettosa e incerta. «Sì. Difatti. Sono lieto che tu non sia morto, zio. Mi hai portato un dono per il mio compleanno?»

«Uno bello grosso: il mio buonsenso.»

«Preferirei piuttosto avere la testa di Robb Stark» ribatté Joffrey con un’altra occhiata inferocita a Sansa. «Tommen, Myrcella, venite.»

Sandor Clegane si trattenne per un attimo: «Tieni a freno quella tua lingua, piccolo uomo» intimò. Dopo di che, seguì il suo re.

Sansa fu lasciata sola con il nano e i suoi mostri. Cercò di pensare a qualcosa d’altro da dire. «Ti sei fatto male al braccio» riuscì a tirare fuori alla fine.

«Durante la battaglia della Forca Verde del Tridente, uno dei tuoi uomini del Nord mi ha colpito con una mazza chiodata. Gli sono sfuggito lanciandomi da cavallo» studiando il volto di lei, il sogghigno del Folletto sembrò addolcirsi. «È il dolore per la morte di tuo padre a renderti triste?»

«Mio padre era un traditore.» Sansa non ebbe la minima esitazione. «Anche mio fratello e mia madre sono traditori.» L’aveva imparata bene, quella risposta di riflesso. «Io sono leale al mio amato Joffrey.»

«Nessun dubbio. Leale quanto una cerbiatta circondata da lupi.»

«Leoni» corresse Sansa in un sussurro, senza riflettere. Gettò un’occhiata nervosa all’intorno, ma non c’era nessuno abbastanza vicino da udirla.

Lannister allungò un braccio tozzo e le prese la mano, stringendogliela: «Io sono solo un leone molto piccolo, bambina mia, e ti prometto che non ti sbranerò». Fece un breve inchino. «E se ora vorrai perdonarmi, ho affari urgenti da sbrigare con la regina e il Concilio.»

Sansa lo guardò andarsene, il suo corpo troppo corto che ondeggiava da una parte all’altra a ogni passo, come una di quelle creature grottesche nei carri viaggianti dei guitti. “Parla in modo più gentile di Joffrey, ma anche la regina mi parlava in modo gentile. È pur sempre un Lannister, fratello della regina e zio di Joffrey. E non è amico mio.” Un tempo, Sansa aveva amato il principe Joffrey con tutto il cuore, così come aveva ammirato sua madre, la regina Cersei, e si era fidata di lei. Per il suo amore, per la sua fiducia, loro l’avevano ripagata con il capo mozzato di suo padre. No, Sansa non avrebbe commesso quell’errore una seconda volta.

TYRION

Drappeggiato nel candido mantello della Guardia reale, ser Mandon Moore sembrava un cadavere avvolto in un sudario. «Sua maestà la regina ha dato ordini precisi» disse. «Il Concilio è in sessione e non può essere disturbato.»

«Sarà un disturbo da poco, ser.» Tyrion fece scivolare una pergamena fuori dalla manica. «Sono latore di una lettera da parte di mio padre, lord Tywin Lannister, Primo Cavaliere del re. E questo è il suo sigillo.»

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