«Ma io non sono un uomo, Babbano» disse la voce fredda, a stento percettibile sopra il crepitio delle fiamme. «Sono molto, molto più di un uomo. Comunque… perché no? Ti guarderò in faccia… Codaliscia, volta la mia poltrona».
Il servitore mugolò.
«Mi hai sentito, Codaliscia».
Lentamente, storcendo la faccia, come uno che avrebbe preferito fare qualunque cosa piuttosto che avvicinarsi al suo padrone e al tappeto dove si trovava il serpente, l’ometto avanzò e prese a voltare la poltrona. Il serpente sollevò la brutta testa triangolare e sibilò lievemente mentre le gambe della poltrona s’impigliavano nel tappeto.
Ed ecco che la poltrona fu di fronte a lui, e Frank vide che cosa vi era seduto. Il bastone da passeggio cadde a terra con un tonfo. Frank apri la bocca e urlò. Urlò cosi forte che non udi mai le parole che la cosa nella poltrona pronunciò levando una bacchetta. Ci fu un lampo di luce verde, un rumore improvviso, e Frank Bryce si afflosciò. Era morto prima ancora di toccare il pavimento.
A trecento chilometri di distanza, il ragazzo chiamato Harry Potter si svegliò di soprassalto.
Harry giaceva sulla schiena, il respiro affannoso, come se avesse corso. Si era svegliato da un sogno molto vivido con il viso nascosto tra le mani. La vecchia cicatrice a forma di saetta sulla sua fronte scottava sotto le dita come se qualcuno gli avesse appena premuto un filo incandescente sulla pelle.
Si alzò a sedere, una mano ancora sulla fronte, l’altra tesa nel buio a cercare gli occhiali sul comodino. Li inforcò e mise lentamente a fuoco la stanza, illuminata dal debole, nebuloso chiarore che filtrava dalla strada attraverso le tende.
Harry sfiorò di nuovo la cicatrice con le dita. Faceva ancora male. Accese la lampada, scivolò fuori dal letto, attraversò la stanza, aprì l’armadio e si guardò nello specchio all’interno dello sportello. Un ragazzo smilzo di quattordici anni ricambiò il suo sguardo, i verdi occhi brillanti perplessi sotto i capelli neri spettinati. Esaminò più da vicino la cicatrice a forma di saetta del suo riflesso. Sembrava normale, ma bruciava ancora.
Harry cercò di ricordare che cosa stava sognando quando si era svegliato. Sembrava così reale… c’erano due persone che conosceva, e una che non conosceva… si concentrò intensamente, accigliato, sforzandosi di ricordare…
L’immagine di una stanza nell’oscurità affiorò nella sua mente… c’era un serpente su un tappeto… un ometto di nome Peter, detto Codaliscia… e una voce fredda, acuta… la voce di Voldemort. Il solo pensiero fece sentire Harry come se un cubetto di ghiaccio gli fosse scivolato nello stomaco…
Chiuse gli occhi con forza e cercò di ricordare l’aspetto di Voldemort, ma fu impossibile… tutto quello che Harry sapeva era che nel momento in cui la poltrona di Voldemort era stata girata, e lui, Harry, aveva visto che cosa vi era seduto, uno spasmo di terrore lo aveva svegliato… o era stato il dolore della cicatrice?
E chi era il vecchio? Perché di sicuro c’era un vecchio, Harry lo aveva visto cadere a terra. Ma tutto stava diventando confuso… Harry si copri il viso per non vedere la camera, cercando di restare aggrappato all’immagine di quella stanza appena illuminata, ma era come voler trattenere l’acqua con le mani; e più cercava di fermarli, più i dettagli scivolavano via… Voldemort e Codaliscia stavano parlando di qualcuno che avevano ucciso, anche se Harry non riusciva a ricordarsi il nome… e progettavano di uccidere qualcun altro… lui…
Harry sollevò il viso dalle mani, aprì gli occhi e si guardò intorno come se si aspettasse di vedere qualcosa d’insolito. A dire il vero c’era una quantità straordinaria di cose insolite in quella stanza: un grosso baule di legno, spalancato ai piedi del letto, mostrava un calderone, un manico di scopa, abiti neri e svariati libri d’incantesimi. Rotoli di pergamena ingombravano quella parte della sua scrivania che non era occupata dalla grande gabbia vuota in cui di solito era appollaiata Edvige, la sua civetta candida. Sul pavimento accanto al letto c’era un libro aperto; lo stava leggendo prima di addormentarsi la sera prima. Le figure del libro si muovevano: uomini in abiti arancioni sfrecciavano avanti e indietro cavalcando scope e lanciandosi una palla rossa.
Harry si avvicinò al libro, lo raccolse e guardò uno dei maghi segnare un goal spettacolare lanciando la palla attraverso un cerchio all’altezza di quindici metri. Poi chiuse il volume con un colpo secco. Nemmeno il Quidditch — secondo Harry, lo sport più bello del mondo — riusciva a distrarlo in quel momento. Posò sul comodino I Magnifici Sette, si avvicinò alla finestra e tirò le tende per osservare la strada di sotto.
Privet Drive aveva esattamente l’aspetto di una qualunque rispettabile strada suburbana nelle prime ore di un sabato mattina. Tutte le tende erano tirate. Per quanto Harry poteva vedere nell’oscurità, non si vedeva anima viva, neppure un gatto.
Eppure… eppure… Harry, irrequieto, tornò verso il letto e vi si sedette, toccandosi di nuovo la cicatrice. Non era il dolore a preoccuparlo; male fisico e ferite non erano una novità per lui. Una volta aveva perso le ossa del braccio destro, e gli erano ricresciute tutte, dolorosamente, in una notte. Poco tempo dopo lo stesso braccio era stato dilaniato da una zanna velenosa lunga trenta centimetri. Solo l’anno prima Harry aveva fatto un volo di quindici metri da un manico di scopa volante. Era abituato agli incidenti più bizzarri: erano inevitabili, se frequentavi la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts e avevi il dono di attirarti un sacco di guai.
No, la cosa che turbava Harry era che l’ultima volta la cicatrice gli aveva fatto male perché Voldemort era vicino… ma Voldemort non poteva essere lì in quel momento… l’idea di Voldemort appostato in Privet Drive era assurda, impossibile…
Harry ascoltò spasmodicamente il silenzio attorno a lui, quasi aspettandosi di sentire lo scricchiolio di una scala, o il fruscio di un mantello… E all’improvviso sussultò, colto alla sprovvista da un fragoroso grugnito di suo cugino Dudley che dormiva nella stanza accanto.
Harry decise di darsi una calmata. Si stava comportando da stupido: non c’era nessuno in casa con lui a parte zio Vernon, zia Petunia e Dudley, che dormivano della grossa, immersi in sogni tranquilli e indolori.
Addormentati: era così che Harry preferiva i Dursley; da svegli non erano per lui di alcuna utilità. Zio Vernon, zia Petunia e Dudley erano i soli parenti di Harry al mondo. Erano Babbani (ovvero non-maghi) che odiavano e disprezzavano la magia in qualunque forma, e questo significava che Harry era benvenuto nella loro casa quasi quanto una torma di insetti infestanti. Avevano raccontato a tutti che, negli ultimi tre anni, Harry era stato assente non perché frequentava Hogwarts, bensì il Centro di Massima Sicurezza San Bruto per Ragazzi Irrimediabilmente Criminali. Sapevano benissimo che, in quanto mago minorenne, Harry non aveva il permesso di usare la magia al di fuori di Hogwarts, ma erano sempre pronti ad accusarlo di qualunque cosa andasse storta a casa loro. Harry non aveva mai potuto contare su di loro, o rivelare alcunché della sua vita nel mondo dei maghi. La sola idea di parlargli della cicatrice che gli faceva male e delle sue preoccupazioni per Voldemort era ridicola.
Eppure era soprattutto a causa di Voldemort che Harry era andato a vivere con i Dursley. Se non fosse stato per Voldemort, Harry non avrebbe avuto la cicatrice a forma di saetta sulla fronte. Se non fosse stato per Voldemort, Harry avrebbe avuto ancora i suoi genitori…
Harry aveva un anno la notte in cui Voldemort — il più potente Mago Oscuro del secolo, un mago che in undici anni aveva toccato le vette del potere — andò a casa sua e uccise suo padre e sua madre. Poi Voldemort puntò la bacchetta su Harry; scagliò l’anatema che aveva stroncato molti maghi e molte streghe adulti nel corso della sua inarrestabile scalata al potere… e, incredibilmente, non funzionò. Invece di uccidere il bambino, la maledizione rimbalzò contro Voldemort. Harry sopravvisse senza altro segno che la cicatrice a forma di saetta sulla fronte, e Voldemort fu ridotto a una cosa che a malapena poteva dirsi viva. Persi i poteri, la vita quasi estinta, Voldemort fuggì; la cappa di terrore sotto la quale la comunità segreta dei maghi e delle streghe era vissuta tanto a lungo si dissolse, i seguaci di Voldemort si dispersero, e Harry Potter diventò famoso.
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