«Sono sicuro che non era a Privet Drive» disse Harry. «Ma l’ho sognato… lui e Peter — sapete, Codaliscia. Adesso non ricordo tutto, ma progettavano di uccidere… qualcuno».
Aveva esitato per un istante, sul punto di dire “me”, ma non se la sentì di spaventare Hermione più di quanto non lo fosse già.
«Era solo un sogno» disse Ron in tono rassicurante. «Solo un incubo».
«Sì, ma lo era davvero?» disse Harry, voltandosi per guardare dalla finestra il cielo sempre più chiaro. «È strano, no…? Mi fa male la cicatrice, e tre giorni dopo i Mangiamorte sono in marcia, e il marchio di Voldemort è di nuovo su in cielo».
«Non — pronunciare — il — suo — nome!» sibilò Ron a denti stretti.
«E vi ricordate che cosa ha detto la professoressa Cooman?» riprese Harry, ignorando Ron. «Alla fine dell’anno scorso?»
La professoressa Cooman era la loro insegnante di Divinazione a Hogwarts.
Lo sguardo terrorizzato di Hermione scomparve e lei emise uno sbuffo sprezzante. «Oh, Harry, non vorrai mica dare retta a quella vecchia impostora?»
«Voi non c’eravate» disse Harry. «Voi non l’avete sentita. Quella volta è stato diverso. Ve l’ho detto, è andata in trance — per davvero. E ha detto che il Signore Oscuro sarebbe risorto… più grande e terribile che mai… e ci sarebbe riuscito perché il suo servo stava per tornare da lui… e quella notte Codaliscia è fuggito».
Calò il silenzio. Ron giocherellava con aria assente con un buco nel copriletto dei Magnifici Sette.
«Perché hai chiesto se era arrivata Edvige, Harry?» gli domandò Hermione. «Stai aspettando una lettera?»
«Ho scritto a Sirius della cicatrice» disse Harry stringendosi nelle spalle. «Sto aspettando la sua risposta».
«Bella pensata!» disse Ron, mentre la sua espressione si rischiarava. «Scommetto che Sirius saprà cosa fare!»
«Speravo che mi avrebbe risposto subito» aggiunse Harry.
«Ma non sappiamo dove si trova… potrebbe essere in Africa, o qualcosa del genere, no?» disse Hermione con molto buonsenso. «Edvige non riuscirà a coprire una distanza del genere in pochi giorni».
«Sì, lo so» disse Harry, ma una morsa gli serrava lo stomaco mentre scrutava fuori dalla finestra il cielo del tutto privo di Edvige.
«Vieni a fare una partita a Quidditch nell’orto, Harry» disse Ron. «Andiamo… tre contro tre, giocano anche Bill, Charlie, Fred e George… puoi provare la Finta Wronsky…»
«Ron» disse Hermione con un tono di voce del tipo non-credo-che-tu-sia-molto-sensibile, «Harry non ha voglia di giocare a Quidditch adesso… è preoccupato, e stanco… abbiamo tutti bisogno di andare a dormire…»
«Sì, mi va di giocare a Quidditch» disse Harry all’improvviso. «Aspetta, vado a prendere la Firebolt».
Hermione uscì dalla stanza, borbottando qualcosa che suonava molto come «Maschi».
* * *
Né il signor Weasley né Percy furono molto a casa la settimana seguente. Entrambi uscivano ogni mattina prima che il resto della famiglia si alzasse, e tornavano ogni sera parecchio dopo l’ora di cena.
«È un gran trambusto» disse loro Percy con solennità la domenica sera prima del previsto ritorno a Hogwarts. «Non ho fatto altro che spegnere incendi tutta la settimana. La gente continua a mandare Strillettere e naturalmente se non apri immediatamente una Strillettera quella esplode. Bruciature su tutta la mia scrivania e la mia penna d’aquila più bella ridotta in cenere».
«Perché tutti spediscono Strillettere?» chiese Ginny, che stava aggiustando la sua copia di Mille Erbe e Funghi Magici con il Magiscotch sul tappeto davanti al camino in salotto.
«Protestano per il servizio di sicurezza alla Coppa del Mondo» disse Percy. «Vogliono il risarcimento dei danni per i loro averi che sono stati distrutti. Mundungus Fletcher ha inoltrato un reclamo per una tenda di dodici stanze e idromassaggio, ma io ce l’ho in pugno. So per certo che ha dormito sotto un mantello tenuto su con dei rami».
La signora Weasley gettò un’occhiata alla pendola del nonno nell’angolo. A Harry piaceva quell’orologio. Era del tutto inutile se uno voleva sapere che ora era, ma per altri versi forniva molte informazioni. Aveva nove lancette d’oro, e ognuna portava scritto il nome di un Weasley. Non c’erano cifre sul quadrante, ma i posti dove poteva trovarsi ciascun membro della famiglia. C’erano “casa”, “scuola” e “lavoro”, ma anche “perduto”, “ospedale”, “prigione” e, al posto del dodici, “pericolo mortale”.
Otto delle lancette al momento indicavano la posizione “casa”, ma quella del signor Weasley, che era la più lunga, era ancora puntata su “lavoro”. La signora Weasley sospirò.
«È dai giorni di Voi-Sapete-Chi che vostro padre non andava più in ufficio nei fine settimana» disse. «Lo stanno facendo lavorare troppo. Gli si rovina la cena se non torna a casa presto».
«Be’, papà sente di dover rimediare al suo errore alla partita, vero?» disse Percy. «A dire il vero, è stato un po’ avventato fare una dichiarazione ufficiale senza prima intendersi con il suo Capodipartimento…»
«Non osare dar la colpa a tuo padre per ciò che ha scritto quella disgraziata di una Skeeter!» esclamò la signora Weasley, infiammandosi all’istante.
«Se papà non avesse detto niente, la vecchia Rita avrebbe scritto che era scandaloso che nessuno del Ministero avesse commentato l’accaduto» disse Bill, che stava giocando a scacchi con Ron. «Rita Skeeter non mette mai nessuno in buona luce. Vi ricordate? Una volta ha intervistato tutti gli Spezzaincantesimi della Gringott, e mi ha chiamato “un fricchettone coi capelli lunghi”».
«Be’, un po’ lunghi sono, caro» disse la signora Weasley dolcemente. «Se solo me li lasciassi…»
« No, mamma».
La pioggia frustava la finestra del salotto. Hermione era immersa nella lettura del Manuale di Incantesimi, volume quarto: la signora Weasley ne aveva comprata una copia per lei, una per Ron e una per Harry a Diagon Alley. Charlie stava rammendando un passamontagna ignifugo. Harry lustrava la sua Firebolt, con il Kit di Manutenzione per Manici di Scopa che Hermione gli aveva regalato per il suo tredicesimo compleanno aperto ai suoi piedi. Fred e George sedevano in un angolo lontano, la penna in mano, e si scambiavano sussurri, le teste chine su un rotolo di pergamena.
«Che cosa state facendo voi due?» disse la signora Weasley in tono severo, lo sguardo sui gemelli.
«I compiti» rispose Fred vagamente.
«Non essere ridicolo, siete ancora in vacanza» disse la signora Weasley.
«Sì, siamo rimasti un po’ indietro» disse George.
«Non starete per caso preparando un nuovo modulo di ordinazione, vero?» chiese la signora Weasley, in tono scaltro. «Non starete pensando di ricominciare con i Tiri Vispi, per caso?»
«Dai, mamma» disse Fred guardandola con aria addolorata. «Se l’Espresso di Hogwarts deragliasse domani, e io e George morissimo, come ti sentiresti sapendo che l’ultima cosa che ti abbiamo sentito dire era un’accusa infondata?»
Tutti risero, perfino la signora Weasley.
«Oh, sta arrivando papà!» disse lei all’improvviso, guardando di nuovo l’orologio.
La lancetta del signor Weasley era di colpo scattata da “lavoro” a “viaggio”; un secondo dopo si fermò vibrando su “casa” con le altre, e tutti sentirono la sua voce dalla cucina.
«Vengo, Arthur!» gridò la signora Weasley uscendo in fretta dalla stanza.
Dopo pochi istanti, il signor Weasley entrò nel salotto caldo, con la cena su un vassoio. Sembrava completamente sfinito.
«Be’, adesso sì che siamo nei guai» disse alla signora Weasley sedendosi in una poltrona vicino al fuoco e giocherellando con scarso entusiasmo con il suo cavolfiore un po’ rattrappito. «È tutta la settimana che Rita Skeeter va in giro a ficcare il naso in cerca di altri pasticci del Ministero di cui scrivere. E ora ha scoperto che la povera Bertha è sparita, così questa storia sarà in prima pagina domani sul Profeta. Io l’avevo detto a Bagman che doveva mandare qualcuno a cercarla un secolo fa».
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