Fermò un poliziotto di passaggio, ma non osò fare parola del binano nove e tre quarti. L’agente non aveva mai sentito parlare di Hogwarts e quando si rese conto che Harry non era in grado di dirgli neanche in che regione si trovasse, cominciò a infastidirsi, come se Harry facesse apposta a fare lo stupido. Disperato, Harry chiese del treno in partenza alle undici, ma la guardia disse che non ce n’erano. Finì che la guardia si allontanò imprecando contro i perditempo. A quel punto, Harry lottava per non cadere nel panico. Se il grosso orologio che sovrastava il cartellone degli arrivi funzionava, aveva ancora solo dieci minuti per prendere il treno per Hogwarts, e non aveva la più pallida idea di come fare. Era lì, nel bel mezzo della stazione ferroviaria, con un baule che a stento riusciva a sollevare, le tasche piene di soldi dei maghi e una grossa civetta.
Hagrid doveva aver dimenticato di dirgli qualcosa di essenziale, come quando, per esempio, per entrare in Diagon Alley era stato necessario battere sul terzo mattone a sinistra. Si chiese se non fosse il caso di tirare fuori la bacchetta magica e cominciare a colpire la macchinetta dei biglietti tra i binari nove e dieci.
In quel momento, proprio dietro di lui, passò un gruppetto di persone, e lui colse un brandello della loro conversazione.
«…pieno zeppo di Babbani, figurarsi…»
Harry si voltò di scatto. A parlare era stata una signora grassottella, che si rivolgeva a quattro ragazzi dai capelli rosso fiamma. Ciascuno spingeva un baule come quello di Harry… e aveva anche una civetta.
Col cuore che gli martellava in petto, Harry li seguì, sempre spingendo il suo carrello. Quando si fermarono lui fece altrettanto, abbastanza vicino per sentire quel che dicevano.
«Allora, binario numero?» chiese la donna, che era la madre dei ragazzi.
«Nove e tre quarti!» disse con vocina stridula una ragazzina, anch’essa con i capelli rossi, che dava la mano alla madre. «Mamma, posso andare anch’io…»
«Tu sei troppo piccola, Ginny. Sta’ zitta, adesso. Va bene, Percy, vai avanti tu».
Quello che sembrava il maggiore, si avviò verso i binari nove e dieci. Harry stette a guardare, bene attento a non battere ciglio per non perdere nessun particolare… ma proprio nel momento in cui il ragazzo aveva raggiunto lo spartitraffico tra i due binari, un folto gruppo di turisti gli passò davanti togliendogli la visuale, e quando l’ultimo zaino si fu tolto di mezzo, il ragazzo dai capelli rossi era sparito.
«Fred, ora tocca a te», disse la donna grassottella.
«Ma io non sono Fred, sono George» disse il ragazzo. «Parola mia, donna! E dici di essere nostra madre? Non lo vedi che sono George?»
«Scusami, George caro».
«Te l’ho fatta! Io sono Fred» disse il ragazzo, e si avviò. Il suo gemello gli gridò di sbrigarsi, e lui dovette affrettarsi a seguire, perché un attimo dopo era sparito… ma come aveva fatto?
E ora il terzo fratello si affrettava verso il tornello … eccolo, era quasi arrivato… e poi, d’un tratto, non c’era più.
Nessun altro doveva passare.
Harry si rivolse alla donna: «Mi scusi».
«Salve, ragazzo» gli disse lei. «È la prima volta che vai a Hogwarts? Anche Ron è nuovo».
«Sì» disse Harry. «Il fatto è… il fatto è che non so come…»
«Come raggiungere il binario?» chiese la donna gentilmente, e Harry annuì.
«Non ti preoccupare» disse lei. «Devi soltanto camminare dritto in direzione della barriera tra i binari nove e dieci. Non ti fermare e non aver paura di andarci a sbattere contro: questo è molto importante. Se sei nervoso, meglio andare a passo di corsa. E adesso vai, prima di Ron».
«Ehm… Va bene» disse Harry.
Girò il carrello e guardò la barriera. Aveva un aspetto molto resistente.
Cominciò a camminare in quella direzione. La gente lo urtava, dirigendosi verso i binari nove e dieci. Harry affrettò il passo. Stava per andare dritto dritto a sbattere contro il tornello, e allora sarebbero stati guai… Chinandosi in avanti sul carrello, spiccò una corsa… la barriera si avvicinava sempre di più… ecco, non sarebbe più riuscito a fermarsi… aveva perso il controllo del carrello… era a un passo … chiuse gli occhi, pronto all’urto…
Ma l’urto non venne… lui continuò a correre… aprì gli occhi.
Una locomotiva a vapore scarlatta era ferma lungo un binario gremito di gente. Un cartello alla testa del treno diceva Espresso per Hogwarts, ore 11. Harry si guardò indietro e, là dove prima c’era il tornello, vide un arco in ferro battuto, con su scritto Binario Nove e Tre Quarti. Ce l’aveva fatta.
Una nube di fumo proveniente dalla locomotiva si alzava in grossi anelli sopra la testa della folla rumorosa, mentre gatti di ogni colore si aggiravano qua e là tra le gambe della gente. Gufi e civette si chiamavano l’un l’altro col loro verso cupo, quasi di malumore, sovrastando il cicaleccio e il rumore dei pesanti bauli che venivano trascinati.
Le prime due carrozze erano già gremite di studenti, alcuni si sporgevano dai finestrini a parlare con i familiari, altri si litigavano un posto. Harry spinse il suo carrello lungo il binario in cerca di un posto libero. Passò accanto a un ragazzo dalla faccia tonda che stava dicendo: «Nonna, ho perso di nuovo il mio rospo».
«Oh, Neville!» udì sospirare l’anziana signora.
Un ragazzo con i capelli ricci ricci era circondato da una piccola folla.
«Dài, Lee, un’occhiata soltanto!»
Il ragazzo sollevò il coperchio di una scatola che teneva tra le braccia e quando qualcosa, da dentro, allungò una zampa lunga e pelosa, quelli che gli stavano intorno cominciarono a gridare e a strepitare.
Harry si fece largo tra la folla finché non trovò uno scompartimento vuoto verso la coda del treno. Prima di tutto sistemò Edvige e poi cominciò a spingere e a tentare di sollevare il baule per caricarlo sul treno. Cercò di fargli superare i gradini, ma riuscì a malapena a sollevarne un’estremità, e due volte se lo fece cadere dolorosamente su un piede.
«Serve una mano?» Era uno dei due gemelli dai capelli rossi che Harry aveva seguito oltre la barriera dei tornelli.
«Sì, grazie» ansimò.
«Ehi, Fred! Vieni, c’è bisogno d’aiuto!»
Con il soccorso dei gemelli, il baule di Harry venne finalmente sistemato in un angolo dello scompartimento.
«Grazie» disse Harry allontanandosi dagli occhi i capelli madidi di sudore.
«E quella che cos’è?» chiese d’un tratto uno dei gemelli indicando la cicatrice che aveva sulla fronte.
«Perbacco…» esclamò l’altro gemello. «Non sarai mica per caso…?»
«È proprio lui » disse il primo gemello. «Non è vero?» chiese poi rivolto a Harry.
«Che cosa?» chiese Harry.
« Harry Potter » risposero in coro i gemelli.
«Oh, lui» disse Harry. «Ehm, voglio dire, sì, sono io».
I due ragazzi rimasero a guardarlo a bocca aperta e Harry si sentì arrossire. Poi, con suo gran sollievo, giunse una voce dalla porta del treno ancora aperta.
«Fred? George? Siete lì?»
«Veniamo, mamma».
Con un’ultima occhiata a Harry, i gemelli saltarono a terra.
Harry si sedette accanto al finestrino dove, seminascosto, poteva osservare la famiglia pel di carota sul binario e udire quel che dicevano. La madre aveva appena tirato fuori il fazzoletto.
«Ron, hai qualcosa sul naso».
Il più piccolo cercò di scansarsi, ma lei lo afferrò e cominciò a strofinargli la punta del naso.
«Mamma… piantala!» Ron si divincolò liberandosi dalle sue grinfie.
«Ah! Ronnie piccolino ha qualcosa sul nasino?» cantilenò uno dei gemelli.
«Chiudi il becco!» intimò Ron.
«Dov’è Percy?» chiese la madre.
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