«Naturalmente» disse all’improvviso Ron mentre attraversavano i prati, «può anche darsi che arriviamo fino alla foresta e scopriamo che non c’è niente da seguire. Può darsi che quei ragni andassero da tutt’altra parte. Lo so che parevano avviati in quella direzione, ma sai com’è…»
Lasciò la frase in sospeso con una nota di speranza.
Raggiunsero la casetta di Hagrid, cui le finestre spente davano un’aria triste e sconsolata. Harry aprì la porta e Thor, al vederli, gli balzò incontro pazzo di gioia. Temendo che con i suoi latrati potesse svegliare tutto il castello, i ragazzi gli tirarono alcune caramelle mou che gli incollarono i denti.
Harry lasciò sul tavolo il Mantello dell’Invisibilità. Non ne avrebbero avuto bisogno nel buio pesto della foresta.
«Vieni, Thor, andiamo a fare una passeggiata» disse poi battendogli su una zampa, e il cane li seguì felice fuori di casa, precipitandosi veloce come una freccia fino al limitare della foresta, dove fece pipì contro un grosso sicomoro.
Harry estrasse la bacchetta magica, pronunciò la parola: « Lumos! » e in punta si accese una flebile luce, sufficiente a illuminare il sentiero e le tracce dei ragni.
«Buona idea!» esclamò Ron. «Anch’io accenderei la mia, ma lo sai… probabilmente scoppierebbe o chissà cos’altro…»
Harry gli batté sulla spalla, indicando l’erba. Due ragni solitari stavano scappando a gran velocità dal cono di luce della bacchetta per rifugiarsi all’ombra degli alberi.
«E va bene» sospirò Ron ormai rassegnato al peggio. «Sono pronto. Andiamo».
Così, con Thor che gli saltellava intorno annusando radici e foglie, si addentrarono nella selva. Alla tenue luce della bacchetta di Harry, seguirono la fila ininterrotta dei ragni che si spostavano lungo il sentiero. Camminarono per circa venti minuti, senza parlare, ma tendendo spasmodicamente l’orecchio ai rumori che non fossero lo scricchiolio di un ramo o il fruscio delle foglie. Poi, quando gli alberi si fecero talmente fitti da impedire la vista del cielo stellato, e l’unica luce a brillare in quel mare di tenebre fu la bacchetta di Harry, videro i ragni abbandonare il sentiero.
Harry si fermò cercando di individuare in quale direzione andassero, ma fuori del piccolo fascio di luce della sua bacchetta era buio pesto. Non si era mai addentrato così tanto nella foresta. Nella sua mente era vivissimo il ricordo dell’ultima volta che c’era stato, e di Hagrid che lo ammoniva a non abbandonare il sentiero. Ora, invece, Hagrid era lontano centinaia di chilometri, probabilmente chiuso in una cella di Azkaban, e per giunta gli aveva detto di seguire i ragni.
Poi, sentendosi sfiorare la mano da qualcosa di umido, fece un balzo all’indietro pestando un piede di Ron: ma si trattava semplicemente del naso di Thor.
«Cosa facciamo?» chiese a Ron, nei cui occhi si rifletteva la luce della bacchetta.
«Ormai siamo arrivati fin qua…» disse Ron.
Seguirono quindi l’ombra dei ragni che si dirigevano rapidi nel folto degli alberi. Ora non potevano procedere spediti: radici e tronchi, appena visibili nel buio, rallentavano il loro cammino. Harry sentiva sulla mano l’alito caldo di Thor. Più di una volta dovettero fermarsi e accovacciarsi per ritrovare i ragni alla luce della bacchetta.
Gli parve di aver camminato almeno una mezz’ora, con gli abiti che si impigliavano sui rami più bassi e sui rovi. Poi gli sembrò che il terreno degradasse in un pendio, anche se gli alberi rimanevano fitti.
D’un tratto Thor emise un lungo, sonoro latrato che li fece trasalire di paura.
«Cosa c’è?» chiese Ron ad alta voce, scrutando il buio e stringendo con forza il gomito di Harry.
«C’è qualcosa che si muove da quella parte» disse Harry in un soffio. «Ascolta… Pare qualcosa di molto grosso».
Tesero le orecchie. Alla loro destra, a una certa distanza, la ‘grossa cosa’ si apriva un varco attraverso gli alberi, spezzando rametti al passaggio.
«Oh no!» esclamò Ron. «Oh no, oh no, oh…»
«Stai zitto!» gli intimò Harry disperato. «Ti sentirà».
«Sentire me, dici?» esclamò Ron con la voce in falsetto dalla paura. «Ma ha già sentito Thor!»
Il buio era così denso che se lo sentivano premere sugli occhi mentre se ne stavano li, terrorizzati, in attesa. Si udi uno strano rimbombo, poi silenzio.
«Cosa credi che stia facendo?» chiese Harry.
«Probabilmente si prepara a colpire» disse Ron.
Aspettarono, tremanti, senza osare muoversi.
«Pensi che se ne sia andato?» sussurrò Harry.
«Non lo so».
Poi, da destra, furono investiti da un improvviso fascio di luce così intenso, dopo tutto quel buio, che entrambi alzarono le braccia per ripararsi gli occhi. Thor guaì e cercò mettersi a correre, ma rimase impigliato in un groviglio di spine e ricominciò a guaire ancora più forte.
«Harry!» gridò Ron con la voce rotta dal sollievo. «Harry, è la nostra automobile!»
« Cosa? »
«Vieni a vedere!»
Harry lo seguì brancolando verso la luce, impigliandosi e incespicando, e un attimo dopo sbucarono in una radura.
L’automobile del signor Weasley era là, in uno spiazzo contornato da grossi alberi, sotto una volta di rami frondosi, vuota e con i fari accesi. Quando Ron fece per avvicinarsi, a bocca aperta per lo stupore, cominciò ad avanzare lentamente verso di lui, esattamente come un grosso cane color turchese che corra incontro al padrone.
«È rimasta qui tutto il tempo!» esclamò Ron deliziato, girandole intorno. «Guardala! La foresta l’ha resa un po’ selvatica…»
Infatti le ali della macchina erano scorticate e coperte di fango. A quanto pareva, se n’era andata in giro da sola per la foresta. Thor non si mostrava affatto entusiasta; si teneva vicino a Harry, che lo sentiva tremare. Con il respiro via via meno affannoso Harry ripose la bacchetta magica fra le pieghe del mantello.
«E noi che pensavamo ci volesse aggredire!» esclamò Ron chinandosi sul veicolo e dandogli dei colpetti affettuosi. «Mi ero chiesto dove fosse andata a finire!»
Harry perlustrò il terreno illuminato in cerca delle tracce dei ragni, ma quelli, alla luce dei fari, erano scappati tutti.
«Li abbiamo persi» disse. «Dài, muoviti, andiamo a cercarli».
Ron non parlò. Non si mosse. I suoi occhi fissavano un punto a circa tre metri dal suolo, proprio dietro Harry. Era livido di terrore.
Harry non ebbe neanche il tempo di voltarsi. Si udì un forte schiocco, e tutt’a un tratto il ragazzo sentì qualcosa di lungo e peloso ghermirlo alla vita e sollevarlo da terra, lasciandolo penzolare a testa in giù. Terrorizzato, cercò di divincolarsi ma, dopo un altro schiocco, vide anche i piedi di Ron staccarsi da terra, udì Thor guaire e ululare e un attimo dopo fu trascinato nel folto degli alberi.
Con la testa ciondoloni, Harry vide la cosa che lo aveva ghermito camminare su otto zampe lunghissime e pelose: le due anteriori lo tenevano stretto sotto un paio di chele nere e lucenti. Dietro di sé avvertiva la presenza di un’altra creatura simile, che doveva certamente trasportare Ron. Si stavano inoltrando sempre più nel folto della foresta. Harry sentiva Thor che lottava per liberarsi da un terzo mostro, abbaiando forte. Anche se avesse voluto, non avrebbe potuto gridare; gli sembrava che la sua voce fosse rimasta con l’automobile, nella radura.
Non seppe mai per quanto tempo rimase tra le grinfie della creatura; si accorse solo che d’un tratto l’oscurità si era diradata e ora poteva vedere che il terreno coperto di foglie pullulava di ragni. Sbirciando di lato, si rese conto che avevano raggiunto il ciglio di una grande cavità, una cavità dove gli alberi erano stati abbattuti, e dove le stelle illuminavano la scena più orrenda che lui avesse mai visto.
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