Se uno di loro fosse stato portato a migliaia di miglia nell’entroterra dall’alba, avrebbe potuto vedere, mentre la luce correva sulle pianure, una figura scheletrica che arrancava su per una piccola collina sulla via del mattino.
Raggiunse la cima proprio un istante prima dell’arrivo della luce, respirò e poi fece un giro su stessa, china, sorridendo.
Tra le braccia tese teneva una lunga lama.
La luce colpì… si divise… scivolò…
Non che il mago ci avrebbe fatto molto caso, preso com’era dal pensiero delle cinquemila miglia di cammino per tornare indietro.
La signorina Flitworth raggiunse ansimando la cima mentre il nuovo giorno arrivava. Bill Porta era assolutamente immobile, solo la lama si muoveva fra le sue dita mentre la rigirava controluce.
Finalmente sembrò soddisfatto.
Si voltò e menò qualche fendente di prova nell’aria.
La signorina Flitworth si piantò le mani sui fianchi. «Oh, dai» disse.
«Non si/ /niente con la/
/ può affilare / / luce».
Fece una pausa.
«Oh/ /buono».
/dio /
Giù nell’aia, Cyril tese il collo glabro per un altro round. Bill Porta sorrise, e tirò un fendente verso il suono.
«Schi/ /ccù!»
/ ccaru/
Poi abbassò la falce.
COSÌ È AFFILATA.
Il sorriso si spense, per quel che poteva.
La signorina Flitworth si voltò, seguendo lo sguardo di lui fino a incrociare una nebbia sui campi di grano.
Sembrava una veste grigio chiaro, vuota ma in qualche modo ancora sagomata su una forma umana, come un indumento appeso ad asciugare alla brezza.
«L’ho visto».
NON ERA LUI. ERANO LORO.
«Loro chi?»
SONO COME… (Bill Porta fece un gesto vago)… SERVI. OSSERVATORI. REVISORI. ISPETTORI.
La signorina Flitworth strinse gli occhi.
«Ispettori? Come quelli del Fisco?» disse.
IMMAGINO DI SÌ…
Lei si illuminò.
«Perché non l’hai detto?»
PREGO?
«Mio padre mi ha sempre fatto promettere di non aiutare mai quelli del Fisco. Anche solo a pensarci, diceva, gli veniva una testa così. Diceva che c’erano la morte e le tasse, ma le tasse erano peggio perché almeno la morte non veniva una volta l’anno. Dovevamo uscire dalla stanza quando attaccava con il Fisco. Creature cattive. Sempre a ficcanasare, a chiedere cosa avevi nascosto nella legnaia e dietro i pannelli segreti in cantina, e altre robe che non sono proprio affari di nessuno».
Tirò su col naso.
Bill Porta era colpito. La signorina Flitworth riusciva a dare alla parola ‘Fisco’ tutta la perentorietà della parola ‘feccia’.
«Avresti dovuto dirlo, che ti stavano alle costole» continuò lei. «Il Fisco non è molto popolare da queste parti, sai. Ai tempi di mio padre ogni volta che uno del Fisco veniva a ficcanasare qui da solo, gli legavano dei pesi alle caviglie e lo buttavano nello stagno».
MA LO STAGNO È PROFONDO SOLO UN PALMO, SIGNORINA FLITWORTH.
«Lo so, ma vedere loro che lo scoprivano era divertente. Avresti dovuto dirlo. Tutti qui pensavano che avessi a che fare con le tasse».
NO. LE TASSE NO.
«Bene, bene. Non sapevo ci fosse un Fisco anche Lassù».
SÌ. IN UN CERTO SENSO.
Lei si avvicinò.
«Lui quando verrà?»
STANOTTE. NON POSSO ESSERE PIÙ PRECISO. CI SONO DUE PERSONE CHE VIVONO CON LO STESSO SEGNATEMPO, E QUESTO RENDE LE COSE INCERTE.
«Non sapevo che si potesse dare a qualcuno un po’ di vita».
SUCCEDE CONTINUAMENTE.
«Sei sicuro che sia stanotte?»
SÌ.
«E quella lama funzionerà, vero?»
NON LO SO. HO UNA POSSIBILITÀ SU UN MILIONE.
«Oh». Lei parve riflettere. «Perciò hai il resto della giornata libero, giusto?»
SÌ, PERCHÉ?
«Allora puoi cominciare con il raccolto».
COSA?
«Così ti distrai. Oltretutto ti pago sei pence a settimana E sei pence sono sei pence».
Anche la casa della signora Torta era in Via Olmo. Windle bussò alla porta.
Dopo un po’ una voce attutita disse: «C’è qualcuno?»
«Bussi una volta per il sì» disse Schleppel.
Windle aprì la fessura per le lettere.
«Ehm… signora Torta?»
La porta si aprì.
La signora Torta non era come Windle se l’era aspettata. Era grossa, ma non nel senso di grassa. Aveva solo delle proporzioni leggermente maggiori del normale; il tipo di persona che attraversa la vita chinandosi appena, con l’aria di scusarsi se inavvertitamente incombe su qualcuno. E poi aveva capelli magnifici. Le incoronavano la testa e le scendevano sulle spalle come un mantello. Aveva anche orecchie leggermente appuntite e denti che, pur bianchi e piuttosto belli, splendevano in modo inquietante. Windle rimase sbalordito dalla velocità con cui i suoi sensi acuiti di zombie giunsero a una conclusione. Guardò in basso.
Lupine si era seduto di scatto, troppo eccitato anche solo per scodinzolare.
«Non credo che lei sia la signora Torta» disse Windle.
«Lei cerca la mamma» disse la ragazza alta. «Mamma! C’è un signore!»
Un borbottio lontano divenne un borbottio più vicino, e poi la signora Torta apparve a fianco della figlia come una piccola luna che emerge dall’ombra di un pianeta.
«Cosa vuole?» chiese.
Windle fece un passo indietro. A differenza della figlia, la signora Torta era piuttosto bassa, e quasi perfettamente sferica. E ancora a differenza della figlia, la cui postura era interamente dedicata al tentativo di sembrare piccola, si notava moltissimo. Ciò era ampiamente dovuto al suo cappello, che come Windle scoprì in seguito, indossava sempre con la dedizione di un mago. Era enorme, nero, e con delle cose sopra, come ali di uccello, ciliegie finte e spilloni; Carmen Miranda avrebbe potuto indossarlo al funerale di un continente. La signora Torta viaggiava sotto il cappello come un cesto sotto una mongolfiera. Gli altri si ritrovavano spesso a parlare con il suo cappello.
«Signora Torta?» chiese Windle, affascinato.
«Sono quaggiù» disse una voce in tono di rimprovero.
Windle abbassò lo sguardo.
«Sono proprio io» ribadì la signora Torta.
«Parlo con la signora Torta in persona?» chiese Windle.
«Sì, lo so» disse la signora.
«Mi chiamo Windle Poons».
«So anche questo».
«Vede, io sono un mago…»
«Va bene, ma pulitevi i piedi».
«Posso entrare?»
Windle Poons s’interruppe. Riascoltò le battute della conversazione nella sala di controllo della sua mente. Poi sorrise.
«Esatto» disse la signora Torta.
«Per caso lei è una veggente naturale?»
«Di solito circa dieci secondi, signor Poons».
Windle esitò.
«Deve fare la domanda» aggiunse in fretta la signora Torta. «Mi viene l’emicrania se la gente lo fa apposta a non farmi domande che ho già previsto e a cui ho già risposto».
«Quanto riesce a vedere nel futuro, signora Torta?»
Lei annuì.
«Va bene» disse, apparentemente rabbonita, e fece strada verso un minuscolo salotto. «Anche l’uomonero può entrare, se però lascia la porta fuori e va in cantina. Non mi va di averne in giro per casa».
«Ehi, è una vita che non vado in una cantina vera» disse Schleppel.
«Ci sono i ragni» disse la signora Torta.
«Uau!»
«E lei gradisce un tè» disse la signora Torta a Windle. Un’altra avrebbe detto ‘Magari gradisce un tè’ oppure ‘Le va una tazza di tè?’ Ma quella invece era un’affermazione.
«Sì, grazie» disse Windle. «Molto volentieri».
«Non dovrebbe» disse la signora Torta. «Quella roba le fa marcire i denti».
Windle elaborò.
«Due zollette, grazie» disse.
«Non è male».
«Ha una bella casa, signora Torta» disse Windle, con la mente che andava a mille. L’abitudine della signora Torta di rispondere alle domande mentre ancora ti si formavano nella testa metteva alla prova anche i cervelli più attivi.
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