«Sono io!»
Lui si rilassò, o quanto meno passò a un diverso livello di tensione.
«Che diavolo stai facendo?»
Lui guardò la lama come se la vedesse per la prima volta.
HO PENSATO DI AFFILARE LA FALCE, SIGNORINA FLITWORTH.
«All’una del mattino?»
Lui la guardò con occhi vuoti.
È PUR SEMPRE SMUSSATA ANCHE ALL’UNA DEL MATTINO, SIGNORINA FLITWORTH.
E tornò a martellarla sull’incudine.
E NON RIESCO AD ARROTARLA COME SI DEVE!
«Credo che il calore ti abbia dato alla testa» disse lei, e gli prese il braccio.
«Oltretutto, a me sembra già…» cominciò, poi si interruppe. Le sue dita passarono sull’osso del braccio. Si ritrassero un istante, poi si chiusero di nuovo.
Bill Porta rabbrividì.
La signorina Flitworth non esitò a lungo. In settantacinque anni aveva affrontato guerre, carestie, innumerevoli animali malati, un paio di epidemie e migliaia di minuscole tragedie quotidiane. Uno scheletro depresso non rientrava nemmeno nella sua top ten del peggio.
«Allora sei davvero tu» disse.
SIGNORINA FLITWORTH, IO…
«Ho sempre saputo che saresti arrivato, un giorno».
CREDO CHE FORSE…
«Sai, ho passato la maggior parte della mia vita ad aspettare un cavaliere su un bianco destriero». La signorina Flitworth sorrise. «Bella figura da scema, eh?»
Bill Porta sedette sull’incudine.
«È venuto il farmacista» disse lei. «Ha detto che non poteva fare nulla. Ha detto che la bambina sta bene, ma non siamo riusciti a svegliarla. E sai, ci è voluta una vita a farle aprire la mano. La teneva così stretta».
HO DETTO CHE NON SI DOVEVA PORTARE VIA NULLA!
«Sì, lo so. Infatti gliel’abbiamo lasciata tenere».
BENE.
«Che cos’era?»
IL MIO TEMPO.
«Prego?»
IL MIO TEMPO. IL TEMPO DELLA MIA VITA.
«Assomiglia a un segnatempo per uova molto costose».
Bill Porta parve sorpreso.
IN UN CERTO SENSO, SÌ. LE HO DATO UN PO’ DEL MIO TEMPO.
«E com’è che tu hai bisogno di tempo?»
OGNI COSA VIVENTE HA BISOGNO DI TEMPO. E QUANDO FINISCE, SI MUORE. QUANDO QUEL TEMPO FINIRÀ, LEI MORIRÀ. E ANCHE IO, TRA POCHE ORE.
«Ma tu non puoi…»
INVECE SÌ. È DIFFICILE DA SPIEGARE.
«Fatti in là».
COSA?
«Spostati. Mi voglio sedere».
Bill Porta fece spazio sull’incudine, e lei si sedette.
«Perciò tu morirai» disse.
SÌ.
«E non ti va».
NO.
«Perché no?»
Lui la guardò come se fosse matta.
PERCHÉ DOPO NON CI SARÀ NIENTE. PERCHÉ NON ESISTERÒ.
«Anche per gli umani è così?»
NON CREDO. PER VOI È DIVERSO. È TUTTO ORGANIZZATO MOLTO MEGLIO.
Rimasero entrambi a guardare il fuoco che moriva nella fucina.
«Allora perché stavi affilando la falce?»
HO PENSATO CHE FORSE POTEVO… RESISTERE…
«Ha mai funzionato? Con te, intendo».
DI SOLITO NO. A VOLTE LA GENTE MI SFIDA A QUALCHE GIOCO, PER LA LORO VITA.
«E vincono?»
NO. L’ANNO SCORSO UNO HA PRESO TRE STRADE CON TUTTI GLI ALBERGHI.
«Eh? Che razza di gioco è?»
NON RICORDO. ‘POSSESSO ESCLUSIVO’, CREDO. IO ERO IL FUNGO.
«Un momento» disse la signorina Flitworth. «Se tu sei tu, chi verrà per te?»
MORTE. IERI SERA QUALCUNO HA PASSATO QUESTO SOTTO LA PORTA.
Morte aprì la mano e mostrò un pezzetto di carta sporco, su cui la signorina Flitworth lesse, con qualche difficoltà, la parola ‘OooooEEEeeOOOoooEEeeeOOOoooEEeee’.
HO RICEVUTO LA NOTA DELLA BANSHEE, ANCHE SE SCRITTA MALE.
La signorina Flitworth lo guardò con la testa inclinata di lato.
«Ma… correggimi se sbaglio…»
LA NUOVA MORTE.
Bill Porta riprese la falce.
SARÀ TERRIBILE.
Rigirò la lama fra le mani. La luce blu scintillò sul taglio.
IO SARÒ IL PRIMO.
La signorina Flitworth guardò la luce, affascinata.
«Quanto terribile, esattamente?»
QUANTO RIESCE A IMMAGINARE?
«Ah».
ESATTAMENTE. COSÌ TERRIBILE.
La lama roteò.
«E anche per la bambina» disse la signorina Flitworth.
SÌ.
«Non credo di doverti favori, signor Porta. Non credo che ci sia qualcuno al mondo che ti deve un favore».
DIREI CHE HA RAGIONE.
«Bada bene, anche la vita ha due o tre cosette di cui rispondere. Quello che è giusto è giusto».
NON SAPREI DIRE.
La signorina Flitworth gli dette un’altra lunga occhiata di valutazione.
«C’è un’ottima mola nell’angolo» disse.
L’HO USATA.
«E c’è una pietra da cote nell’armadio».
HO USATO ANCHE QUELLA.
Lei credette di sentire un suono, simile a un gemito dell’aria, quando la lama si mosse.
«E non è ancora abbastanza affilata?»
Bill Porta sospirò.
POTREBBE NON ESSERLO MAI.
«Dai, amico. Non ha senso rinunciare» disse la signorina Flitworth. «Finché c’è vita… eh?»
FINCHÉ C’È VITA EH COSA?
«C’è speranza?»
C’È?
«Certo che c’è».
Bill Porta passò il dito ossuto lungo il taglio.
SPERANZA?
«Hai qualche altra idea?»
Bill scosse la testa. Aveva provato diverse emozioni, ma questa era nuova.
POTREBBE PRENDERMI L’AFFILATOIO?
Era passata un’ora.
La signorina Flitworth rovistava nella borsa degli stracci.
«E adesso?»
COSA ABBIAMO USATO FINORA?
«Vediamo… tela di sacco, cotonina, lino… che ne dici del raso? Eccone un pezzo».
Bill Porta prese la pezza e la passò delicatamente sulla lama.
La signorina Flitworth pescò in fondo al sacco e tirò fuori un campione di stoffa bianca.
SÌ?
«Seta» disse lei piano. «La miglior seta bianca. Roba autentica. Mai indossata».
Rimase a guardarla.
Dopo un po’ lui gliela tolse con garbo dalle mani.
GRAZIE.
«Bene» disse lei, riscuotendosi. «Abbiamo finito».
Quando lui roteò la lama, quella fece un rumore tipo whommmm. Il fuoco nella fucina era quasi spento, ma la lama splendeva di luce tagliente.
«Affilata sulla seta» disse la signorina Flitworth. «Chi ci crederebbe?»
EPPURE È ANCORA POCO AFFILATA.
Bill Porta si guardò intorno nell’officina buia, poi sfrecciò in un angolo.
«Cos’hai trovato?»
RAGNATELE.
Ci fu un lungo gemito acuto, come di formiche torturate.
«Funziona?»
ANCORA NON VA.
Vide Bill Porta uscire a grandi passi dall’officina, e gli corse dietro. Lui si fermò in mezzo all’aia, tenendo la falce con la lama contro la brezza leggera dell’alba.
Vibrò.
«Quanto si può affilare una lama, per la miseria?»
MOLTO PIÙ DI COSÌ.
Nel pollaio, Cyril il gallo si svegliò e guardò con occhi velati le parole traditrici scritte col gesso sulla lavagna. Respirò a fondo.
«Cuccuruccù!»
Bill Porta guardò l’orlo dell’orizzonte e poi, con occhio indagatore, la piccola collina dietro la casa.
Si lanciò in avanti, con le gambe che facevano clac sul terreno.
La luce del nuovo giorno inondò il mondo. La luce di Mondo Disco è vecchia, lenta e pesante; dilagò nel paesaggio come una carica di cavalleria. Di tanto in tanto una valle la rallentava per un momento; qua e là una catena montuosa la arginava finché non straripava dalla cima.
Attraversò il mare, invase la spiaggia e accelerò sulla pianura, guidata dal guinzaglio del sole.
Sul favoloso continente nascosto di Xxxx, da qualche parte vicino all’orlo, c’è una colonia perduta di maghi che porta tappi di sughero sulle punte dei cappelli e vive esclusivamente di gamberi. Là, la luce è ancora fresca e forte quando arriva dallo spazio, e i maghi scivolano come surfisti sull’interfaccia ribollente tra notte e giorno.
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