MA VEDE, IO SO COSA CREDO. IO NON CREDO… NULLA.
«Siamo un po’ tetri stamattina, eh?» disse la signorina Flitworth. «La cosa migliore che puoi fare ora è finire quel porridge. Dicono che fa bene alle ossa».
Bill Porta guardò la scodella.
POSSO AVERNE ANCORA?
Bill Porta passò la mattina a spaccare legna. Era piacevolmente monotono.
Stancarsi. Questo era l’importante. Doveva aver dormito anche prima della notte scorsa, ma forse era così stanco che non aveva sognato. Ed era ben deciso a non sognare più. L’ascia saliva e scendeva sui ciocchi, precisa come un orologio.
No! Non come un orologio!
La signorina Flitworth aveva diverse pentole sul fuoco quando lui entrò in casa.
CHE BUON PROFUMO, disse volenterosamente Bill. Allungò la mano verso il coperchio sobbalzante. La signorina Flitworth si voltò.
«Non toccare! Quella non è roba per te. È per i topi».
I TOPI NON SI NUTRONO DA SOLI?
«Ci puoi scommettere. È per questo che gli diamo un piccolo extra prima del raccolto. Un paio di cucchiaiate di questo attorno ai buchi… e niente più topi».
A Bill Porta ci volle un po’ per fare due più due, ma quando gli riuscì fu come lo scontro fra due megaliti.
QUESTO È VELENO?
«Essenza di spikkle, mescolata con pappa d’avena. Non fallisce mai».
E MUOIONO?
«All’istante. Stesi a zampe in aria. Per noi pane e formaggio» aggiunse. «Non mi metto a cucinare due volte in un giorno, e stasera abbiamo pollo. A proposito di pollo, vieni un po’…»
Prese una mannaia dalla rastrelliera e uscì sull’aia. Cyril il gallo la guardò sospettoso dalla cima di un mucchio di letame. Il suo harem di galline grasse e alquanto vecchiotte, che razzolavano nella polvere, caracollò verso la signorina Flitworth con la corsa da mutande-con-l’elastico-rotto tipica delle galline. Lei si chinò e ne acchiappò rapidamente una.
Quella guardò Bill Porta con occhi lucenti e stupidi.
«Sai spiumare un pollo?» chiese la signorina Flitworth.
Bill guardò alternativamente lei e la gallina.
MA LI NUTRIAMO, disse impotente.
«Esatto. Poi loro danno da mangiare a noi. Questa sta qui da mesi. È così che funziona nel mondo dei polli. Il signor Flitworth gli tirava il collo ma io non ci ho mai preso la mano; la mannaia sporca e poi continuano a correre in giro per un po’, ma sono morti e lo sanno».
Bill Porta rifletté sulle proprie possibilità. Il pollo aveva fissato su di lui il suo occhio tondo. I polli sono assai più stupidi degli umani, e non hanno i sofisticati filtri mentali che impediscono loro di vedere ciò che hanno davanti. Il pollo sapeva dove si trovava e chi lo stava guardando.
Bill Porta guardò quella piccola e semplice vita e vide gli ultimi secondi che scorrevano via.
Non aveva mai ucciso. Aveva preso delle vite, ma solo quando erano alla fine. C’era una differenza tra il rubare e tenersi una cosa trovata.
LA MANNAIA NO, disse stancamente. MI DIA IL POLLO.
Voltò le spalle per un momento, poi rese alla signorina Flitworth il pollo inerte.
«Bel lavoro» disse lei, e tornò in cucina.
Bill Porta sentì lo sguardo accusatore di Cyril su di lui.
Aprì la mano. Una minuscola luce fluttuava sul palmo.
Ci soffiò delicatamente sopra, e quella svanì.
Dopo pranzo sistemarono il veleno per i topi. Si sentì un assassino.
Morirono un sacco di topi.
Nei cunicoli sotto la stalla (nei più profondi, scavati molto tempo prima da roditori ancestrali) qualcosa apparve nel buio.
Sembrò che avesse qualche difficoltà a decidere cosa essere.
Cominciò come un pezzo di formaggio dall’aria molto sospetta. Ma non funzionava.
Poi provò con qualcosa che somigliava molto a un piccolo terrier nervoso. Anche questa fu respinta.
Per un momento fu una trappola d’acciaio a scatto. Chiaramente fuori luogo.
Si guardò intorno in cerca di nuove idee e con sua grande sorpresa una arrivò subito, come se fosse stata sempre lì. Non tanto una forma quanto il ricordo di una forma.
La provò e scoprì che nonostante fosse del tutto inadatta allo scopo, con una certa, profonda soddisfazione era l’unica forma possibile.
Si mise al lavoro.
Quella sera gli uomini si esercitavano nel tiro con l’arco sui prati. Bill Porta si era accuratamente fabbricato una reputazione come peggior arciere della storia del tiro con l’arco; non era mai venuto in mente a nessuno che spedire le frecce tra i cappelli degli astanti richiedeva molta più abilità che scagliarle su un bersaglio decisamente grande a soli cinquanta metri di distanza.
Era incredibile quanti amici ti facevi facendo male le cose, ammesso che i tuoi errori fossero buffi.
Perciò poté sedersi sulla panca fuori dalla taverna, insieme agli anziani.
Nella casa accanto, le scintille uscivano dal camino dell’officina del fabbro del villaggio e salivano a spirale nella luce del tramonto. Da dietro le porte chiuse veniva un furioso martellare. Bill Porta si chiese come mai le porte fossero sempre chiuse. Di solito i fabbri lavoravano con la porta aperta, così che la loro bottega diventava la sala riunioni informale del paese. Questo invece era preso dal lavoro…
«Ciao, schelitro» .
Bill Porta si voltò.
La bambina piccola della casa lo guardava con gli occhi più penetranti che avesse mai visto.
«Tu sei uno schelitro, vero» disse. «Si vede dalle ossa».
TI SBAGLI, PICCOLA.
«Invece no. Le persone diventano schelitri quando muoiono. E dopo non se ne vanno in giro».
AH, AH, AH. MA SENTILA, LA BIMBA.
«Tu perché vai in giro, allora?»
Bill Porta guardò gli anziani. Erano presi dal gioco.
SENTI UN PO’, disse disperatamente, SE TE NE VAI TI DO MEZZO PENNY.
«Io ho una maschera da schelitro per fare dolcetto-o-scherzetto la sera di Soul Cake» disse lei. «È di carta. Poi ti danno i dolci».
Bill Porta ripeté l’errore fatto da milioni di altre persone con i bambini piccoli in circostanze vagamente simili. Si affidò alla ragione.
ASCOLTA disse, SE FOSSI DAVVERO UNO SCHELETRO, BIMBA, SONO SICURO CHE QUESTI SIGNORI AVREBBERO QUALCOSA DA DIRE.
Lei guardò gli anziani all’altro capo della panca.
«Tanto sono quasi schelitri anche loro» disse. «Secondo me non ne vogliono vedere un altro».
Lui cedette.
DEVO AMMETTERE CHE SU QUESTO HAI RAGIONE.
«Perché non ti rompi?»
NON LO SO. NON MI SONO MAI ROTTO.
«Io ho visto schelitri di uccelli e altre cose, e si rompono».
FORSE PERCHÉ SONO QUALCOSA CHE ERA, MENTRE QUESTO È CIÒ CHE IO SONO.
«Il farmacista che fa le medicine da Chambly ha uno schelitro appeso a un gancio con tutti i fili che tengono insieme le ossa» disse la bambina, con l’aria di impartire informazioni ottenute dopo una minuziosa ricerca.
IO NON HO FILI.
«C’è differenza tra gli schelitri vivi e quelli morti?»
SÌ.
«Allora quello che ha lui è uno di quelli morti?»
SÌ.
«Stava dentro qualcuno?»
SÌ.
«Bleah».
La bambina guardò il paesaggio per un po’, poi disse: «Io ho i calzini nuovi».
SÌ?
«Puoi guardarli se vuoi».
Tese un piede sudicio per farlo esaminare.
BENE, BENE. MA GUARDA UN PO’. CALZINI NUOVI.
«Mamma me li ha fatti coi ferri. Dalla pecora».
MA PENSA.
Altra ispezione dell’orizzonte.
«Lo sai» disse. «Lo sai… che è venerdì?»
SÌ.
«Ho trovato un cucchiaio».
Bill Porta si ritrovò ad aspettare con una certa curiosità. Non era pratico dì persone in cui la durata dell’attenzione era inferiore a tre secondi.
«Tu lavori dalla signorina Flitworth?»
SÌ.
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