Margaret Weis - La sfida dei gemelli

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«Accompagnate subito Astinus qui da me, non appena arriverà, poi fate in modo che nessuno ci disturbi.»

«Astinus?» domandò Tanis, a bocca aperta. «Astinus, il Cronista?».

«Sì, mezzelfo.» Elistan sorrise di nuovo. «La morte ci impartisce un significato tutto speciale.

“Fanno la fila per vedermi, coloro che un tempo non avrebbero neppure girato lo sguardo dalla mia parte.” Non è così che dice la poesia del vecchio? Ecco, Mezzelfo, adesso l’aria è sgombra. Sì, lo so che sto morendo. Lo so da molto tempo. I miei mesi sono ridotti a settimane. Suvvia, Tanis, non è la prima volta che vedi morire degli uomini. Cos’è che mi dicesti, che il Maestro della Foresta ti aveva detto nel Bosco Scuro: “Non piangiamo la perdita di coloro che muoiono realizzando il loro destino.” La mia vita è stata realizzata, Tanis, più di quanto avrei mai potuto immaginare.» Elistan lanciò un’occhiata fuori della finestra, sui prati spaziosi, sui giardini spaziosi e, più lontana, sulla Torre Scura della Grande Stregoneria.

«È stato affidato a me il compito di ridare la speranza al mondo, Mezzelfo,» disse Elistan con voce sommessa. «Speranza e guarigione. Quale uomo può dire di più? Me ne vado sapendo che la chiesa è stata di nuovo saldamente ristabilita. Adesso ci sono chierici di ogni razza. Sì, perfino kender.»

Sorridendo, Elistan si passò una mano tra i bianchi capelli. «Ah,» sospirò, «che momento difficile è stato quello per la nostra fede, Tanis! Ancora oggi siamo incapaci di stabilire con precisione tutto quello che manca. Ma c’è gente dal cuore d’oro, di animo buono. Tutte le volte che sentivo di esser sul punto di perdere la pazienza, pensavo a Fizban, Paladine, come poi si è rivelato a noi, e a tutto l’affetto che manifestava per il tuo piccolo amico, Tasslehoff.»

Il volto di Tanis si oscurò nell’udire il nome del kender, e gli parve che Dalamar distogliesse lo sguardo per un istante dalle fiamme danzanti, dove lo teneva fisso. Ma Elistan non se ne accorse.

«Il mio unico rincrescimento è che non lascio nessuno realmente capace di prendere il mio posto dopo di me.» Elistan scosse la testa. «Garad è un brav’uomo. Troppo bravo. Vedo in lui prendere forma un altro Gran Sacerdote. Ma non capisce ancora che l’equilibrio va mantenuto, che siamo tutti necessari per formare questo mondo. Non è così, Dalamar?»

Con grande sorpresa di Tanis, l’elfo scuro annuì. Aveva buttato all’indietro il suo cappuccio ed era riuscito a bere un po’ del vino rosso che i chierici gli avevano portato. Il colorito era ritornato sul suo volto, e le mani non gli tremavano più. «Sei saggio, Elistan,» gli disse con voce sommessa.

«Vorrei che gli altri fossero altrettanto illuminati.»

«Forse non si tratta di saggezza, quanto della capacità di vedere le cose da ogni lato, e non da uno soltanto.» Elistan tornò a rivolgersi a Tanis. «Tu, Tanis, amico mio, non hai notato e apprezzato il panorama quando sei arrivato?». Indicò con un debole gesto la finestra, attraverso la quale la Torre della Grande Stregoneria era chiaramente visibile.

«Non sono certo di capire quello che vuoi dire,» fu l’evasiva risposta di Tanis, a disagio come sempre quando si trattava di condividere i suoi sentimenti.

«Sì, tu lo capisci, Mezzelfo,» replicò Elistan, tornando alla sua antica vivacità. «Hai guardato la Torre e hai guardato il Tempio e hai pensato quant’era giusto che fossero così vicini. Oh, ci sono molti che hanno dissertato a lungo contro la scelta di questo sito per il tempio. Garad e, naturalmente, Dama Crysania...»

Nel sentire quel nome, Dalamar parve soffocare, tossì, e si affrettò a mettere giù il bicchiere di vino.

Tanis si alzò in piedi, cominciando senz’accorgersene a camminare avanti e indietro per la stanza, com’era sua abitudine, quando, rendendosi conto che ciò poteva disturbare l’uomo morente, tornò a sedersi, agitandosi a disagio. «Ci sono state sue notizie?» chiese a bassa voce. «Mi spiace, Tanis,» disse Elistan con gentilezza. «Non era mia intenzione addolorarti. Davvero, devi smetterla d’incolpare te stesso. Ciò che lei ha fatto, ha scelto di farlo di propria volontà. Né avrei accettato altrimenti. Tu non avresti potuto né fermarla, né salvarla dal suo destino, qualunque questo possa essere. No, non abbiamo avuto nessuna notizia su di lei.»

«Sì, c’è stata,» replicò Dalamar, con voce gelida, del tutto priva d’emozione, che attirò subito l’attenzione di entrambi gli uomini nella stanza. «È questa una ragione per cui vi ho convocati qui, insieme...»

«Lei ci ha convocati!» esclamò Tanis, balzando di nuovo in piedi. «Ero convinto che fosse stato Elistan a chiederci di venire qui. C’è il suo Shalafi dietro a tutto questo? E lui il responsabile della scomparsa di questa donna?». Fece un passo avanti, il suo volto sotto la barba fulva s’imporporò.

Dalamar si alzò a sua volta in piedi, i suoi occhi scintillarono pericolosamente, la sua mano si mosse in maniera quasi impercettibile verso una delle borse che portava alla cintura. «Perché,» continuò impetuosamente Tanis, «per gli dei, se le ha fatto del male, gli torcerò quel suo collo dorato...»

«Astinus di Palanthas,» annunciò un chierico dalla soglia.

Lo storico era immobile nel vano della porta. Il suo volto senza tempo era del tutto privo d’espressione mentre i suoi occhi grigi esaminavano la stanza, assimilando tutto e tutti con una minuta attenzione per i particolari che la sua penna avrebbe ben presto registrato. Il suo sguardo andò dal volto imporporato per la collera di Tanis a quello orgoglioso e spavaldo dell’elfo e, infine, a quello affaticato e paziente del chierico morente.

«Fatemi indovinare,» osservò Astinus, entrando imperturbabile nella stanza e mettendosi a sedere.

Posando su un tavolo un enorme libro, lo aprì su una pagina vuota, sfilò una penna d’oca da un astuccio di legno che portava con sé, esaminandone con attenzione la punta, poi sollevò lo sguardo.

«Inchiostro, amico,» disse rivolto a uno stupefatto chierico che, dopo un cenno del capo di Elistan, si affrettò a lasciare la stanza. Poi, lo storico continuò la sua frase iniziale: «Fatemi indovinare...

Stavate discutendo di Raistlin Majere.»

«E vero,» annuì Dalamar. «Sono stato io a convocarvi qui.» L’elfo scuro aveva ripreso il suo posto accanto al fuoco. Tanis, sempre accigliato, tornò al suo posto accanto a Elistan. Il chierico, Garad, tornando con l’inchiostro per Astinus, chiese se volevano qualcos’altro. Avendo ricevuto una risposta negativa, lasciò la stanza, aggiungendo con severità, a beneficio di tutti i presenti, che Elistan non stava bene e non doveva venire disturbato per molto.

«Vi ho chiamati qui tutti insieme,» ripetè Dalamar, con lo sguardo sul fuoco. Poi sollevò gli occhi guardando direttamente Tanis. «Lei è venuto fin qui affrontando qualche piccola scomodità. Ma io ci sono venuto sapendo che avrei patito il tormento che tutti quelli della mia fede patiscono, calcando questo suolo sacro. Ma è d’importanza assoluta che io parli a voi tutti, insieme. Sapevo che Elistan non poteva venire da me. Sapevo che Tanis Mezzelfo non sarebbe venuto da me. E così, non avevo altra scelta se non quella di...»

«Procedi,» lo sollecitò Astinus con la sua voce fredda e profonda. «Il mondo scorre mentre noi sediamo qui. Ci hai convocati qui tutti insieme. Questo è stabilito. Per quale ragione?».

Dalamar rimase silenzioso per un momento, il suo sguardo tornò di nuovo al fuoco. Quando parlò, continuò a fissarlo.

«I nostri peggiori timori si sono realizzati,» disse con voce sommessa. «Lui ha avuto successo.».

Capitolo secondo.

La voce si attardò nei suoi ricordi. Qualcuno, inginocchiato accanto alla pozza della sua mente, lasciava cadere le parole dentro la superficie calma e limpida. Increspature di consapevolezza lo disturbavano, risvegliandolo dal suo sonno tranquillo e pacifico.

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