Margaret Weis - La sfida dei gemelli

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“Ho il congegno magico. Posso tornare indietro in qualunque punto del tempo. Dimmi quando. Dimmi cos’è accaduto, che ha portato a questa distruzione, e io m’impegnerò a impedirla, se potrò farlo.”

Lo sguardo di Caramon andò da Par-Salian ad Astinus. Lo storico scosse la testa. “Non guardare me, Caramon Majere. Sono neutrale in questo, come in qualunque altra cosa. Non posso offrirti nessun aiuto. Posso soltanto darti questo ammonimento: puoi tornare indietro, ma potresti scoprire di non poter cambiare nulla. Un sasso in un fiume che scorre impetuoso è tutto quello che potresti essere.”

Caramon annuì. “Se questo è tutto, allora per lo meno morirò sapendo che ho cercato di porre riparo al mio fallimento.”

Astinus fissò Caramon con uno sguardo acuto e penetrante. “Di quale fallimento parli, guerriero? Hai rischiato la tua vita per tornare indietro nel tempo all’inseguimento di tuo fratello. Hai fatto del tuo meglio, ti sei sforzato di convincerlo che quel sentiero di tenebra che percorreva l’avrebbe condotto soltanto alla sua condanna.” Astinus indicò con un gesto il Portale. “Hai sentito che gli parlavo? Sai cosa si troverà ad affrontare?”

Senza parlare, Caramon annuì di nuovo, il suo volto era pallido e angosciato.

“Allora dimmelo,” gli intimò Astinus, con freddezza.

La Torre tremò. Il vento martellava le sue mura, i lampi trasformavano le luci morenti della notte del mondo in quelle sgargianti e accecanti del giorno. La piccola stanza spoglia della Torre in cui si trovavano fu scossa da tremiti e da sussulti. Malgrado fossero soli all’interno di essa, a Caramon parve di udire un pianto di molte voci, e a poco a poco si rese conto che si trattava delle pietre della Torre stessa. Si guardò intorno inquieto.

“Hai tempo,” disse Astinus. Tornò a sedersi sul suo sgabello e raccolse il libro. Ma non lo chiuse.

“Non molto, forse, ma hai ancora tempo. Dove hai fallito?”

Caramon emise un tremulo sospiro. Poi le sue sopracciglia s’intrecciarono. Corrugò la fronte per la collera, e il suo sguardo andò a Par-Salian. “Un trucco, non è vero, stregone? Un trucco per farmi fare quello che voi maghi non riuscivate a compiere: fermare Raistlin e la sua terribile ambizione. Ma hai fallito. Hai mandato Crysania a morire nel passato perché avevi paura di lui. Ma la volontà e l’amore di quella donna erano più forti di quanto supponevi. Lei è sopravvissuta e, accecata dal suo amore e dalla sua ambizione, ha seguito Raistlin nell’Abisso.” Caramon lo fissò furente. “Non capisco quale scopo avesse Paladine nell’esaudire le sue preghiere dando loro il potere di andare là...”

“Non è tua facoltà capire le strade degli dei, Caramon Majere,” lo interruppe Astinus con freddezza.

“Chi sei tu per giudicarli? Può darsi che anch’essi talvolta falliscano. O che scelgano di rischiare il meglio che possiedono con la speranza che possa diventare ancora migliore.”

“Sia quello che sia,” proseguì Caramon, il volto scuro e preoccupato, “i maghi hanno mandato indietro nel tempo Crysania dando così a mio fratello una delle chiavi di cui aveva bisogno per varcare il Portale. Hanno fallito. Gli dei hanno fallito. E io ho fallito.” Caramon si passò una mano tremante fra i capelli.

“Pensavo di poter riuscire a convincere Raistlin con parole che lo inducessero a tornare indietro dal sentiero fatale che aveva imboccato. Avrei dovuto sapere che non era possibile.” L’omone rise amaramente. “Quali, tra le mie povere parole, l’avevano mai influenzato? Quando si trovò davanti al Portale, preparandosi a entrare nell’Abisso, dicendomi quali erano le sue intenzioni, lo lasciai. Era tutto così facile. Mi sono limitato semplicemente a voltargli le spalle e ad andarmene.”

“Bah!” sbuffò Astinus. “Cosa avresti potuto fare? Allora era forte, più potente di quanto chiunque di noi può anche soltanto cominciare a immaginare. Teneva insieme il campo magico anche solo grazie alla sua potenza e alla sua forza di volontà. Non avresti potuto ucciderlo...”

“No,” annuì Caramon. Il suo sguardo si allontanò dai presenti nella stanza, appuntandosi all’esterno, sulla tempesta che infuriava più ferocemente che mai. “Ma avrei potuto seguirlo... seguirlo nella tenebra, anche se ciò avesse significato la mia morte. Per mostrargli che ero disposto a sacrificare per amore ciò che lui era disposto a sacrificare per la sua magia e la sua ambizione.”

Caramon riportò lo sguardo dentro la stanza. “Allora mi avrebbe rispettato,” dichiarò. “Forse, allora, mi avrebbe ascoltato. E perciò tornerò indietro. Entrerò nell’Abisso”. Ignorò il grido di orrore di Tasslehoff. “E là farò ciò che dev’essere fatto.”

“Ciò che dev’essere fatto,” ripetè Par-Salian con voce febbrile. “Non sai cosa significa! Dalamar...”

Una saetta accecante esplose all’interno della stanza, sbattendo contro le pareti coloro che si trovavano al suo interno. Nessuno potè vedere o sentire più nulla, mentre il tuono scrosciava intorno a loro. Poi, al di sopra dello schianto, si levò un grido tormentato.

Scosso da quell’urlo strangolato, stracolmo di dolore, Caramon riaprì gli occhi, per desiderare soltanto che si chiudessero per sempre, per non vedere più uno spettacolo così macabro. Par-Salian si era trasformato da un pilastro di marmo a un pilastro di fiamma! Intrappolato nell’incantesimo di Raistlin, lo stregone era impotente. Non poteva far altro che urlare mentre le fiamme risalivano lungo il suo corpo immobilizzato, strisciando lente.

Spaventato, Tasslehoff si coprì il viso con le mani e si accucciò, gemendo, in un angolo. Astinus si rialzò dal pavimento, dov’era stato scagliato, portando subito le mani sul libro che ancora stringeva, e subito ricominciò a scrivere... ma la mano gli ricadde inerte, la penna gli scivolò fuori dalle dita.

Ancora una volta cominciò a chiudere la copertina...

“No!” urlò Caramon. Allungò il braccio e appoggiò la mano sulle pagine.

Astinus sollevò lo sguardo su di lui, e Caramon esitò, davanti a quegli occhi immortali. Le mani gli tremarono, ma rimasero saldamente schiacciate sulla eburnea pergamena del volume rilegato in cuoio. Lo stregone morente continuava a gemere in preda a una spaventosa agonia.

Astinus lasciò andare il libro aperto.

“Tienilo tu,” ordinò Caramon, chiudendo il prezioso volume e spingendolo fra le mani di Tasslehoff. Annuendo come istupidito, il kender avvolse le braccia intorno al libro, che era grande quasi quanto lui, e rimase rannicchiato nel suo angolo, guardandosi intorno con orrore, mentre Caramon attraversava la stanza barcollando in direzione dello stregone morente.

“No!” urlò Par-Salian con voce stridula. “Non avvicinarti a me!” I suoi bianchi capelli ondulati e la lunga barba crepitavano, la sua pelle gorgogliava e sfrigolava, il terribile puzzo della carne bruciata si mescolava all’odore dello zolfo.

“Dimmi!” gridò Caramon, alzando le braccia per proteggersi dal calore, avvicinandosi al mago quanto più poteva. “Dimmi, Par-Salian! Cosa devo fare? Come posso impedire tutto questo?”

Gli occhi dello stregone si stavano liquefacendo. La sua bocca-era un buco spalancato nella massa nera e informe che era il suo volto. Ma le sue parole morenti colpirono Caramon come un’altra saetta, rimanendo impresse a fuoco nella sua mente per sempre.

“A Raistlin non dev’essere permesso di lasciare l’Abisso!”.

Libro Secondo.

Il Cavaliere della Rosa Nera.

Lord Soth sedeva sul trono sbriciolato e annerito dal fuoco tra le rovine desolate di Dargaard Keep.

I suoi occhi fiammeggiavano nelle loro orbite invisibili, l’unico segno palese della vita maledetta che ardeva dentro l’armatura carbonizzata di un Cavaliere di Solamnia.

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