Margaret Weis - La sfida dei gemelli
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Rivelando l’origine dell’urlo...
I cancelli non erano né sbarrati, né chiusi a chiave. Uno di essi si ergeva ancora saldamente, come se fosse ancora protetto dall’incantesimo. Ma l’altro era infranto, e adesso oscillava su un cardine, avanti e indietro, avanti e indietro, all’incessante vento caldo. E, mentre oscillava lentamente avanti e indietro sospinto dal vento, produceva un urlio acuto e stridente.
“Non sono chiusi a chiave,” constatò Tas con disappunto. La sua piccola mano si era già protesa verso i suoi arnesi da scassinatore.
“No,” disse Caramon fissando il cardine cigolante. “E questa la voce che abbiamo sentito... la voce del metallo arrugginito.”
Avrebbe dovuto provare sollievo a questa constatazione, ma in realtà il mistero diventava ancora più profondo. “Se non è stato Par-Salian o qualcuno lassù,” i suoi occhi andarono alla Torre che si ergeva, nera e in apparenza vuota davanti a loro, “che ci hanno permesso di attraversare la Foresta, allora chi è stato?”
“Forse nessuno,” replicò Tas, speranzoso. “Se lassù non c’è nessuno, allora, Caramon, possiamo andarcene?”
“Ma dev’esserci qualcuno,” borbottò Caramon. “Qualcuno, o qualcosa, ha indotto gli alberi a lasciarci passare.”
Tas sospirò, abbassando la testa. Caramon poteva distinguerlo chiaramente alla luce delle lune, il suo piccolo volto era pallido e coperto d’uno strato di sudiciume. C’erano ombre scure sotto i suoi occhi, il suo labbro inferiore tremolava, e una lacrima stava scendendo lungo un lato del suo piccolo naso.
Caramon gli batté una mano sulla spalla. “Soltanto ancora un po’” gli disse con dolcezza. “Resisti ancora un po’, per favore, Tas!”
Sollevando di scatto lo sguardo, inghiottendo quella lacrima traditrice e la sua compagna che gli erano appena sgocciolate in bocca, Tas ebbe un sogghigno allegro. “Ma sicuro, Caramon,” replicò.
Neppure il fatto che la gola gli faceva male ed era inaridita dalla sete riuscì a impedirgli di aggiungere mentre lanciava un’occhiata alla Torre silenziosa: “Tu mi conosci, sono sempre pronto all’avventura. Dovranno per forza esserci un sacco di cose magiche e meravigliose là dentro, non credi? Cose delle quali nessuno può sentire la mancanza. Non anelli magici, naturalmente, l’ho finita per sempre con gli anelli magici. Prima, un anello mi fa finire nel castello di un mago dove incontro il più cattivo dei demoni, poi, un altro mi trasforma in un sorcio. Io...”
Lasciando che Tas continuasse a ciarlare, contento che il kender, almeno all’apparenza, si sentisse tornato alla normalità, Caramon avanzò barcollando e appoggiò la mano sul cancello oscillante per spingerlo da parte. Con suo vivo stupore, il cancello si ruppe: il cardine indebolito aveva finalmente ceduto. Il cancello cadde sferragliando sulla pietra grigia della pavimentazione sottostante, con un clangore che fece sussultare sia Tas sia Caramon, inducendoli ad arretrare di qualche passo. Gli echi ridondarono dalle lucide mura nere della Torre, risuonando attraverso la notte rovente e infrangendo il profondo silenzio.
“Bene, adesso sanno che siamo qui,” disse Tas.
La mano di Caramon si chiuse un’altra volta sull’elsa della spada, ma non sguainò la lama. Gli echi si spensero. Il silenzio tornò a chiudersi su di loro. Non successe nulla. Non venne nessuno.
Nessuna voce parlò.
Tas si voltò per aiutare Caramon, zoppicante, a proseguire. “Per lo meno non dovremo più ascoltare quell’orrendo suono,” disse scavalcando il cancello rotto. “Adesso non m’importa di dirlo, ma quell’urlio cominciava a darmi sui nervi. Certamente aveva un suono assai poco da cancello, se capisci quello che voglio dire. Assomigliava a... assomigliava a...”
“A questo,” bisbigliò Caramon.
L’urlo tagliò l’aria, solcando l’oscurità illuminata dal chiarore lunare, soltanto che questa volta era diverso. C’erano parole in quell’urlo, parole che potevano essere percepite, anche se non definite.
Girando involontariamente la testa, anche se sapeva quello che avrebbe visto, Caramon fissò il cancello dietro di sé. Giaceva sulle pietre, morto, senza vita.
“Caramon,” disse Tas, deglutendo. “Questo prò... proviene dalla... Torre...”
“Smettila!” urlò Par-Salian. “Metti fine a questo tormento! Non costringermi a sopportarlo ancora.”
Quanto mi hai costretto a sopportare, o Grande Mago dalle Vesti Bianche? giunse la voce sommessa e deridente, nella mente di Par-Salian. Lo stregone si contorceva in preda all’agonia, ma la voce persisteva, spietata, scorticando la sua anima come un flagello. Mi hai portato qui e mi hai consegnato a lui, Fistandantilus! Sei rimasto seduto a guardare mentre mi strappava la forza vitale, prosciugandola, così da poter vivere su questo piano.
“Sei stato tu a concludere l’accordo,” gridò Par-Salian, la sua voce antica risuonò lungo i vuoti corridoi della Torre. “Avresti potuto rifiutarglielo...”
E cosa? Morire onorevolmente? La voce rise. Che razza di scelta è mai questa? Io volevo vivere!
Crescere nella mia Arte! E sono vissuto. E tu, nella tua acredine, mi hai dato questi occhi a clessidra, questi occhi che non vedevano nient’altro, intorno a sé, che morte e putrefazione. Adesso tocca a te guardare, Par-Salian! Cosa vedi intorno a te? Nient’altro che morte... Morte e putrefazione... Così siamo pari.
Par-Salian gemette. La voce continuò, spietata, impietosa.
Pari, sì. E adesso ti ridurrò in polvere, poiché nei tuoi ultimi, torturati momenti, Par-Salian, sarai testimone del mio trionfo. Già la mia costellazione risplende nel cielo. E quella della Regina rimpicciolisce. Ben presto si affievolirà e scomparirà per sempre. Adesso il mio ultimo nemico, Paladine, mi aspetta. Lo vedo avvicinarsi. Ma non è certo una sfida: un vecchio, curvo, la faccia accorata e piena di quel dolore che si rivelerà la sua disfatta. È debole... debole e ferito al di là di qualunque guarigione, come lo era Crysania, il suo povero chierico, morta nell’Abisso. Mi vedrai mentre lo distruggerò, Par-Salian, e quando anche questa battaglia sarà conclusa, quando la costellazione del Drago di Platino precipiterà dal cielo, quando il bagliore di Solinari si sarà estinto, quando avrai visto e riconosciuto il potere della Luna Nera e avrai reso omaggio al nuovo e unico Dio, a me, allora verrai liberato, Par-Salian, per trovare qualunque sollazzo ti sia possibile nella morte!
Astinus di Palanthas registrò le parole, così come aveva registrato l’urlo di Par-Salian, scrivendo il tutto con le sue lettere nitide, chiare, ornate, con il suo stile lento, per nulla affrettato. Sedeva davanti al Grande Portale della Torre della Grande Stregoneria, fissando le profondità in ombra del Portale, vedendo in quella profondità una figura più nera perfino dell’oscurità intorno ad essa. Erano visibili soltanto due occhi dorati, le loro pupille avevano la forma di clessidra, che lo fissavano a loro volta, allo stesso modo in cui fissavano lo stregone vestito di bianco intrappolato lì accanto.
Poiché Par-Salian era prigioniero nella sua stessa Torre. Dalla vita in su era un uomo vivo, i bianchi capelli gli ricadevano lungo le spalle, le vesti bianche coprivano un corpo sottile ed emaciato, gli occhi scuri erano fissi sul Portale. Lo spettacolo che aveva visto era stato orrendo e aveva, molto tempo addietro, quasi distrutto il suo equilibrio mentale. Ma non poteva distogliere lo sguardo.
Dalla vita in su, Par-Salian era un uomo vivo. Dalla vita in giù, era un pilastro di marmo. Maledetto da Raistlin, Par-Salian era costretto a restare immobile nella stanza più alta della Torre e a osservare, in amara agonia, la fine del mondo.
Accanto a lui sedeva Astinus, Storico del Mondo, Cronista, intento a scrivere quell’ultimo capitolo della breve e vivida storia di Krynn. Palanthas la Bella, dove Astinus era vissuto e dove si ergeva la Grande Biblioteca, adesso non era altro che un mucchio di cenere e di corpi carbonizzati. Astinus era venuto nell’ultimo luogo ancora in piedi su Krynn, per testimoniare e registrare le ultime, terrificanti ore del mondo. Quando tutto fosse finito, avrebbe preso il libro chiuso e l’avrebbe deposto sull’altare di Gilean, il Dio della Neutralità. E quella sarebbe stata la conclusione irrevocabile.
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