Robert Jordan - Il Drago Rinato

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«Questi tuoi amici» disse Sandar «sono tre donne?»

Mat corrugò la fronte e rimpianse che la luce non gli permettesse di vederlo chiaramente in viso: Sandar aveva parlato con tono bizzarro. «Cosa ne sai, di tre donne?»

«So che sono dentro la Pietra. E conosco una porticina nei pressi del fiume, dalla quale un acchiappaladri con un prigioniero da portare in cella può entrare. Loro saranno di sicuro nelle celle. Se ti fidi di me, giocatore, possiamo arrivare fin lì. Il seguito è in grembo alla sorte. Forse la tua fortuna ci farà uscire vivi.»

«Sono sempre stato fortunato» disse lentamente Mat. Si sentiva abbastanza fortunato da fidarsi di Sandar? L’idea di fingersi prigioniero non gli garbava molto: era troppo facile che la finzione diventasse realtà. Ma c’erano più o meno gli stessi rischi, a scalare nel buio trecento piedi di parete a picco.

Guardò le mura della città: alcune ombre si muovevano, sagome confuse che di certo erano Aiel. Sicuramente più di cento. Le sagome svanirono; ma ora lui distingueva ombre in movimento lungo la parete a picco che formava il fianco della Pietra di Tear. Quella via era ormai da scartare. Forse il primo Aiel era riuscito a entrare senza provocare allarmi, ma cento e più Aiel sarebbero stati come rintocchi di campana. Tuttavia, forse avrebbero fornito un diversivo. Se provocavano trambusto da qualche parte, all’interno della Pietra, chi sorvegliava le celle non avrebbe badato troppo a un prendiladri che portava in guardina un prigioniero.

E lui poteva aumentare il trambusto: aveva lavorato con impegno ai preparativi.

«E va bene, prendiladri» disse. «Ma non decidere all’ultimo momento che sono un vero prigioniero. Andremo alla porticina non appena avrò scosso un poco il formicaio.» Ritenne che Sandar avesse corrugato la fronte, ma non intendeva dare spiegazioni.

Sandar lo seguì per i tetti, arrampicandosi con la stessa facilità di Mat. L’ultimo tetto era poco più in basso della sommità delle mura e vi si appoggiava: questione di tirarsi su, anziché scalare.

«Cosa fai?» bisbigliò Sandar.

«Aspettami qui.»

Con la scatola di latta in una mano e il bastone in orizzontale davanti a sé, Mat inspirò a fondo e si diresse alla Pietra. Cercò di non pensare quanto fosse lontano il lastrico, sotto di lui: Luce santa, il maledetto muro era largo ben tre piedi! Poteva percorrerlo bendato e addormentato! Cercò anche di non pensare all’eventualità che al ritorno Sandar non fosse lì ad aspettarlo. Ormai era deciso a mettere in atto la folle idea d’essere un ladro colto in flagrante, ma riteneva assai probabile di scoprire al ritorno che Sandar se n’era andato, forse a chiamare altri per catturarlo sul serio. S’impose di non pensarci e di dedicarsi al lavoro. Almeno avrebbe finalmente visto l’effetto!

Come sospettava, proprio al termine del muro, nella parete della Pietra c’era una feritoia, un profondo cuneo intagliato nella roccia, un’alta e stretta apertura per consentire a un arciere di scagliare frecce. In caso d’attacco, i soldati all’interno dovevano fermare chiunque volesse seguire quella via. Al momento, la feritoia era buia. A quanto pareva, nessuno la sorvegliava. Mat aveva cercato di non pensare anche all’eventuale presenza di sentinelle.

Posò in fretta ai propri piedi la scatola di latta, bilanciò il bastone di traverso sul muro contro il fianco della Pietra, si tolse dalle spalle il fagotto. Lo infilò nella feritoia, il più lontano possibile: voleva che la maggior parte del rumore fosse all’interno. Scostò un angolo del rivestimento di tela cerata e lasciò uscire delle micce annodate. Dopo un po’ di riflessione in camera sua, aveva tagliato le micce più lunghe, in modo che fossero uguali a quelle più corte e aveva utilizzato i pezzi di scarto per legarle in un fascio. Era convinto che i fuochi sarebbero esplosi tutti insieme e avrebbero richiamato chiunque non fosse del tutto sordo.

Il coperchio della scatola era tanto caldo che fu costretto a soffiarsi sulle dita due volte, prima di riuscire ad aprirlo (rimpianse di non possedere il trucco di Aludra per accendere facilmente le lanterne) ed esporre il pezzetto di carbonella conservato all’interno, su di un letto di sabbia. Utilizzò come pinza il manico di fil di ferro e con qualche soffio attizzò il pezzetto di carbone. Accostò alle micce la brace ardente e lasciò cadere pinza e carboncino; mentre le micce sibilavano e prendevano fuoco, ricuperò in fretta il bastone e corse lungo il muro.

"Che pazzia” pensò, correndo. “Me ne frego di quanto sarà grande lo scoppio. Posso rompermi l’osso del collo, se metto un piede in fallo!"

Il rombo alle sue spalle fu il boato più intenso che avesse mai udito; un pugno mostruoso lo colpì alla schiena e gli tolse il fiato, ancora prima che lui atterrasse di pancia in cima al muro, reggendo a stento al bastone che dondolava oltre il bordo. Per un istante rimase disteso e cercò di rimettere in funzione i polmoni, di non pensare d’avere sfruttato stavolta tutta la sua fortuna nel non cadere giù dal muro. Le orecchie gli risonavano come le campane di Tar Valon.

Si rialzò cautamente e guardò verso la Pietra. Una nube di fumo era sospesa intorno alla feritoia. Dietro il fumo, i contorni confusi della feritoia parevano diversi da prima. Più larghi. Mat non capiva come né perché, ma la feritoia pareva più ampia.

Rifletté solo un momento. Da un lato del muro forse Sandar lo aspettava per portarlo nella Pietra come finto prigioniero... o forse già tornava con una squadra di soldati. Dall’altro lato, invece, forse c’era una via d’ingresso, senza il rischio che Sandar lo tradisse. Tornò di corsa sui propri passi, senza più preoccuparsi del buio né del precipizio ai lati.

La feritoia era davvero più larga: gran parte della pietra più sottile al centro era semplicemente svanita, lasciando un rozzo foro, come se qualcuno vi avesse battuto un maglio per ore. Un foro sufficiente al passaggio di una persona. Com’era possibile? Non aveva tempo per stupirsi.

Si spinse nell’apertura frastagliata, tossendo per il fumo acre; balzò a terra e corse per dieci passi, prima che comparissero i Difensori della Pietra, dieci almeno, in una confusione di grida. Quasi tutti indossavano solo la camicia, nessuno aveva elmo e corazza. Alcuni portavano lanterne, altri impugnavano la spada.

"Idiota!" gridò dentro di sé. “Proprio per questo hai fatto scoppiare quei maledetti fuochi! Idiota accecato dalla Luce!"

Non aveva tempo di tornare sul muro. Roteando il bastone, si lanciò contro i soldati, prima d’essere scorto; colpì teste, spade, ginocchia, pur sapendo che i soldati erano troppi per uno solo, pur sapendo che questo stupido lancio di dadi era costato a Egwene e alle altre le loro esigue probabilità di salvezza.

All’improvviso, nella luce delle lanterne lasciate cadere dagli uomini che cercavano d’impugnare la spada, Sandar fu al suo fianco, mulinando il suo sottile bastone con rapidità anche maggiore di lui. Presi fra due avversari, colti di sorpresa, i soldati caddero come birilli in un gioco di bocce.

Sandar li guardò, scosse la testa. «Difensori della Pietra» disse. «Ho assalito dei Difensori! Avranno la mia testa, per... Cos’hai combinato, giocatore? Quel lampo di luce, quel tuono, la roccia sgretolata. Hai chiamato il fulmine?» Ridusse la voce a un bisbiglio. «Mi sono messo con uno in grado d’incanalare il Potere?»

«Fuochi d’artificio» rispose seccamente Mat. Aveva ancora un ronzio nelle orecchie, ma udiva l’avvicinarsi di passi in corsa, il rumore di stivali sulla pietra. «Le celle, amico! Mostrami dove sono le celle, prima che ne giungano altri!»

Sandar si scosse. «Da questa parte!» S’infilò di corsa in un corridoio laterale. «Dobbiamo affrettarci! Ci uccideranno, se ci scoprono!» Da qualche parte, in alto, i gong iniziarono a suonare l’allarme e molti altri echeggiarono nella Pietra.

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