Un minuto dopo anche il terzo membro del gruppo si era unito a loro e insieme iniziarono a percorrere la breve distanza che li separava dalle secche su cui erano arenati. Queste erano composte da rocce arrotondate, le stesse rocce visibili dalle vetrate del ponte, disposte in un bizzarro insieme a onda che tagliava in due l’emissario del lago nel senso della corrente. A una prima occhiata, Beetchermarlf ebbe l’impressione che il ricognitore si fosse incastrato tra due di queste rocce. Le luci esterne rimaste funzionanti bastavano per vedere, anche se non certo in modo soddisfacente.
Il trio si fece strada e oltrepassò la parte anteriore della Kwembly per dare un’occhiata alla pancia del veicolo. Nonostante la scarsa visibilità apparve subito chiaro che avrebbero avuto molto da riferire a Dondragmer.
La Kwembly poggiava inizialmente su sessanta ruote larghe circa un metro e disposte in cinque serie longitudinali di dodici ruote ciascuna. Tutte le ruote erano sostenute da un perno girevole e l’insieme era manovrabile tramite un dedalo di corde connesse al timone che ricadevano sotto le responsabilità di Beetchermarlf. Presso ogni serie di ruote si trovava una nicchia in cui veniva installato un generatore collegato a un proprio motore, che consisteva di un albero dal diametro di sei pollici con una microstruttura tale da consentire una presa diretta su un campo magnetico rotante, cioè una delle modalità con cui gli elementi di fusione rilasciavano energia. In assenza del generatore le ruote giravano liberamente. Al momento dell’incidente, dieci dei venticinque generatori in dotazione alla Kwembly erano installati all’esterno in modo da formare una V che partiva da poppa per convergere a prua.
I tre non poterono far altro che constatare che a poppa mancavano diciotto ruote, ripartite tra cinque insiemi alimentati direttamente da un generatore.
5
Dalla padella nella brace
Non tutte le speranze però erano perdute. Un certo numero di ruote spiccava tra i grossi macigni arrotondati, evidentemente staccatesi in seguito a quell’ultimo impatto. Difficile però sapere se si trovavano tutte lì o se ne avevano perse altre più a monte negli impatti precedenti. Beetchermarlf non lo sapeva e non voleva scoprirlo. Avrebbero controllato più tardi. L’ispezione del resto dello scafo era più importante. Il timoniere si mosse per continuare il suo giro.
La parte frontale sembrava integra e priva di qualsiasi danno; le ruote erano presenti, insieme ai perni e alle funi di guida. A mezza nave, molte funi si erano spezzate nonostante l’enorme resistenza della fibra usata dai mescliniti per fabbricarle. Alcune ruote erano fuori allineamento e altre oscillarono stranamente quando vennero toccate. Le parti mancanti a poppa seguivano uno schema regolare e piuttosto incoraggiante: numerandole dal lato del portello, la serie di ruote numero uno aveva perso le sue ultime cinque ruote, le serie due e tre le loro ultime quattro, la serie quattro le sue ultime tre e la serie cinque, che si trovava a tribordo, le sue ultime due. Questo suggeriva che le ruote avessero sostenuto tutte lo stesso impatto, avvenuto probabilmente in senso diagonale lungo la pancia dello scafo, e dato che alcune delle ruote perdute si trovavano nelle immediate vicinanze tutto faceva pensare che vi si trovassero anche le altre.
I mescliniti rimasero sorpresi notando che il distacco delle ruote non aveva danneggiato lo scafo più di tanto. Beetchermarlf e i suoi compagni non conoscevano assolutamente la progettazione della Kwembly e delle sue unità gemelle. Nessuno di loro aveva la più pallida idea del tipo di filosofia che stava alla base della macchina. Non avevano mai considerato i problemi che potevano sorgere affidando una macchina azionata dalle fonti di energia più sofisticate a creature il cui livello scientifico era arrivato al periodo dei grandi velieri sospinti dalla forza del vento e dai muscoli dei marinai, creature che tra l’altro erano tagliate fuori da qualsiasi aiuto e possibilità di riparazione non appena iniziata la loro missione su Dhrawn. Ecco perché la Kwembly era guidata ruotando la barra di un timone piuttosto che da una consolle multi-integrata, ecco perché dei portelli stagni tanto semplici avevano sostituito le uscite monitorizzate con ricircolo automatico dell’atmosfera, ecco perché l’impianto di biorigenerazione non solo veniva operato manualmente, con l’eccezione delle luci che mantenevano in vita le piante, ma era stato progettato e costruito dagli scienziati e dai tecnici mescliniti.
Ad alcune centinaia di “eletti” era stato consentito di prender parte a un corso di istruzione sulle tecnologie aliene, anche se non era stato compiuto nessuno sforzo per diffondere quelle nozioni tra la gran massa dei mescliniti. Quasi tutti gli studenti dei corsi si trovavano in quel momento su Dhrawn, assieme a semplici reclute come Beetchermarlf. Le reclute erano soprattutto giovani avventurosi arruolati tra i marinai della nazione marittima di Barlennan. Erano loro a occuparsi della manutenzione e a riparare le macchine quando occorreva, e sembrava proprio che gli ingegneri umani avessero lavorato senza mai scordarlo. Progettare un veicolo capace di coprire migliaia e migliaia di chilometri in un tempo ragionevole nelle aspre condizioni ambientali di Dhrawn e contemporaneamente sicuro nelle mani dei mescliniti aveva inevitabilmente dato luogo a soluzioni stupefacenti. Beetchermarlf non doveva sorprendersi che le parti della Kwembly si adattassero una all’altra tanto facilmente e neppure che il veicolo avesse sofferto danni così ridotti. Naturalmente l’intelligenza dei mescliniti venne considerata. Dopotutto, era quello il motivo per cui l’esplorazione non era stata affidata ai robot, che avevano prodotto dei risultati insoddisfacenti. L’intelligenza dei mescliniti poteva invece paragonarsi a quella delle razze della Confederazione e a quella degli umani, dei drommiani e dei paneshk: un evento sorprendente, dato che i quattro pianeti e le loro razze dominanti si erano evoluti lungo periodi geologici di durata diversa. Pareva anche accertato che i mescliniti vivessero in media molto più a lungo degli umani, anche se apparivano stranamente riluttanti a discuterne con le altre razze. Ma in effetti quello che significava per la loro cultura e il loro apprendimento rappresentava un mistero paragonabile alle insondabili profondità di Dhrawn. Si trattava di un progetto rischioso sotto tutti punti di vista, ma i rischi maggiori li correvano i mescliniti. La navetta spaziale in orbita non molto distante dalla stazione spaziale, che doveva servire per evacuare l’intera colonia in caso di emergenza, rappresentava poco più di un simbolo, specialmente per coloro che si trovavano a bordo dei ricognitori. Niente di tutto questo passava però per la mente dei tre marinai che ispezionavano l’esterno della Kwembly. I tre si sorpresero piacevolmente nello scoprire che le ruote si erano semplicemente sganciate dai perni su cui ruotavano e che sembrava un gioco da ragazzi rimetterle a posto dopo averle ritrovate tutte. Nonostante il problema sembrasse risolto, Beetchermarlf entrò in acqua e iniziò a scandagliare il fondo entro il raggio imposto dalla lunghezza della corda: in breve tempo ritrovò altre dodici ruote. Alcune però erano danneggiate: la forza dell’impatto le aveva stortate oppure aveva fatto saltare l’aggancio con il perno. Anche i cuscinetti sembravano non rotolare bene. I tre raccolsero tutto ciò che trovarono e lo trasportarono fino a poppa. Il timoniere considerò se era il caso di allungare ulteriormente la corda e ampliare il raggio delle ricerche, ma decise di rientrare e domandare prima l’approvazione di Dondragmer. In effetti Beetchermarlf rimase sorpreso di non vedere il capitano, vista la dichiarata intenzione di dare un’occhiatina a sua volta.
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