Hal Clement - Luce di stelle

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Luce di stelle: краткое содержание, описание и аннотация

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Chi non ricorda il pianeta Mesklin e i suoi straordinari abitanti, costretti a vivere in condizioni di gravità proibitive per gli esseri umani? Gli eroi meskliniti di Hal Clement tornano in questo romanzo, in sé pefettamente autonomo, che è di fatto il secondo capitolo della saga iniziata con
(
), tenuto a battesimo in Italia proprio sulle pagine di URANIA. Ancora una volta la pazienza, il coraggio e le straordinarie caratteristiche fisiche dei meskliniti permetteranno loro di avere ragione di un mondo in cui la forza di gravità è così schiacciante da rappresentare da sola il più terribile e immediato dei pericoli. Senza contare le numerose incognite di questa nuova e inedita missione nello spazio, scritta da un maestro della tecnologica…

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Per tutto quel periodo, il capitano aveva in pratica fatto la spola tra l’esterno e la radio, perché sperava che gli umani sapessero indicargli il momento in cui sarebbe avvenuta la seconda inondazione; quando non si preoccupava per questo dirigeva i lavori della rampa e misurava con lo sguardo il livello dell’acqua. Tempo dopo, a lavori conclusi, l’acqua non raggiungeva un metro e la corrente sembrava completamente cessata: ora si trovavano in una pozza invece che in un fiume.

La notte di Dhrawn avvolgeva tutto nelle sue tenebre. Il sole era calato ormai da più di cento ore e il cielo appariva completamente sereno. Il violento baluginare delle stelle guidava coloro che lavoravano sotto la Kwembly; tra di esse però non vi era il sole di Mesklin, che appariva solo in certe ore ed era scarsamente visibile dal suolo per via della densa atmosfera. Al momento doveva trovarsi troppo vicino alla linea dell’orizzonte, e neppure Dondragmer sapeva dire se sarebbe sorto in poco tempo oppure se bisognava attendere. Sol e Fomalhaut, che persino il membro più ottuso dell’equipaggio sapeva indicare a sud, brillavano e pulsavano poco sopra un’altura a qualche chilometro di distanza. La linea immaginaria che le congiungeva appariva spostata di venti gradi, in termini umani, oppure di quattro in termini mescliniti rispetto al momento in cui erano sorte.

Oltre la zona illuminata dalle luci esterne della Kwembly si estendeva un buio impenetrabile. Dhrawn non aveva alcuna luna e le stelle non illuminavano molto di più di quanto facessero sulla Terra o su Mesklin.

La temperatura non sembrava aver subito variazioni di rilievo; gli scienziati della Kwembly continuavano a misurare i cambiamenti nell’ambiente con tutta la precisione consentita dalla loro conoscenza e dalla loro tecnologia per comunicarli immediatamente alla stazione spaziale. Il capitano aveva sperato di venir contraccambiato con qualche informazione utile, anche se capiva che gli umani non dovevano certo sdebitarsi per qualcosa: i rapporti che la Kwembly inviava facevano parte del lavoro che i mescliniti erano stati assunti per svolgere.

Dondragmer aveva anche suggerito ai suoi scienziati di pensare con la propria testa. La risposta di Borndender a quello che gli sembrò sarcasmo gratuito fu che se gli umani gli avessero fornito un computer e tutti i dati conosciuti sulle precipitazioni da un lato all’altro del pianeta sarebbe stato felice di provare. Il capitano però non intendeva affatto fare del sarcasmo; conosceva anche lui benissimo la differenza che passava tra il sapere perché una nave galleggia sull’acqua o sull’ammoniaca e il sapere perché due virgola tre millicavi di pioggia a sessanta ventesimi era caduta sulla colonia tra la quarantesima e la centesima ora del secondo giorno. Sospettò quindi che la reazione di Borndender fosse alquanto interessata: i mescliniti erano tali e quali agli umani quando volevano nascondere le proprie lacune e Borndender assumeva in genere un’aria seccata quando si sentiva in qualche modo inutile. Evitando di portare alla luce questo aspetto della vita di bordo, Dondragmer si limitò ad affermare che le buone idee erano sempre le benvenute e uscì.

Anche gli scienziati dovettero uscire quando giunse il momento di usare la rampa. Borndender si irritò per questo e borbottò qualcosa riguardo la natura accademica della differenza tra stare dentro o fuori della Kwembly se succedeva qualcosa di grave. Quello di Dondragmer non era comunque un consiglio, ma un ordine e persino gli scienziati non potevano mettere in dubbio il diritto e l’autorità che la sua posizione di comando gli conferiva. Solo lui, Beetchermarlf e un tecnico di nome Kensnee specialista delle colture idroponiche dovevano trovarsi a bordo al momento di muoversi. Dondragmer aveva pensato di ricoprire il ruolo di timoniere e di sperare nella fortuna per quanto riguardava l’integrità delle colture, ma concluse che Beetchermarlf conosceva meglio il sistema di funi di guida e quindi poteva sentire subito se qualcosa non andava mentre il tecnico sarebbe tornato utile se dei cedimenti nella rampa avessero causato problemi con la copertura delle vasche, anche se la potenza utilizzata internamente non era strettamente connessa al movimento. Le colture erano troppo importanti: le vasche che le contenevano potevano venir trasportate, per cui anche se la Kwembly fosse finita male l’equipaggio poteva sperare di raggiungere la colonia a piedi portando con sé le vasche e tutto il materiale necessario.

Il ragionamento che stava dietro la chiamata a bordo del tecnico e del timoniere imponeva che anche il capitano rimanesse a terra, ma non ci fu nulla da fare: la ragionevolezza di Dondragmer non arrivava fino a quel punto. Rimase al suo posto sulla Kwembly.

La tensione tra il gruppetto di grandi bruchi radunato intorno al veicolo alieno salì quando un rumore secco indicò che le ruote motrici erano state innestate. Dondragmer non poteva vedere le loro espressioni dal ponte e quindi rimase tranquillo, ma Beetchermarlf udì i loro commenti e ne rimase turbato. Gli spettatori umani, che osservavano la scena da una telecamera presa dalla stanza delle colture e installata su una roccia in mezzo all’acqua a una cinquantina di metri di distanza, non videro nulla se non quando la Kwembly cominciò ad arretrare. Nel salone delle comunicazioni tutti erano tranquilli, tranne Easy e Benj.

Il ragazzo prestava poca attenzione allo schermo esterno e seguiva uno degli schermi interni, che mostrava il ponte e parte di Beetchermarlf. Il mesclinita teneva una chela sulla barra, stringendola forte, mentre le altre tre chele saettavano continuamente tra le molte funi che servivano al controllo dei motori, cercando di equalizzare la diversa spinta esercitata sulle ruote. La potenza raggiungeva a malapena i valori normali, cioè l’equivalente di dieci; le funi, che solitamente si congiungevano in modo da controllare tutti i motori per mezzo di una sola, erano state riallineate per ottenere un controllo singolo su ogni motore. Beetchermarlf era molto, molto occupato.

Mentre la Kwembly cominciava lentamente a muoversi, uno degli umani che seguivano la scena comodamente seduti commentò: — Ma perché non hanno installato qualche indicatore di potenza e di giri su quel ponte? Guardate quel poveraccio: sta diventando matto a tirare tutte quelle corde con quelle ridicole chele. Tra l’altro non sa neppure se una certa ruota fa presa… per non parlare della direzione, che gli deve risultare del tutto sconosciuta.

— Se dovesse basarsi su degli strani oggetti come degli indicatori, probabilmente sarebbe vero — replicò Mersereau. — Barlennan non ha voluto nulla di troppo sofisticato su quei veicoli in modo che la sua gente fosse in grado di riparare tutto sul posto. Ha accettato certe cose solo perché non aveva alternativa. Io mi sono dichiarato d’accordo, e così han fatto tutti gli ingegneri. Guardi: la Kwembly sta scendendo quella rampa in retromarcia tranquilla come non mai.

Un coro di fischi e lunghi suoni a sirena accompagnava ogni movimento del veicolo, attutiti dal fatto che la maggior parte dei mescliniti che li emetteva si trovava sott’acqua. Per un lungo momento, una ventina di ruote a mezza nave rimasero sospese nel vuoto quando la parte a poppa della Kwembly abbandonò la rampa e mosse all’indietro nel letto del fiume. L’ingegnere che aveva avvisato contro “l’effetto ponte” incrociò le dita e alzò gli occhi al cielo. Poi la parte a prua si abbassò quando le ruote anteriori discesero la rampa e il peso si riequilibrò in modo accettabile. Lo sforzo di torsione, i cui rischi nessuno aveva seriamente considerato, diminuì man mano che il veicolo guadagnava una posizione relativamente orizzontale sul greto del fiume per fermarsi una volta disceso completamente. L’equipaggio girò in ordine sparso attorno alla Kwembly e si affollò nuovamente vicino al portello stagno principale. Nessuno si ricordò più della telecamera. Easy pensò di ricordarlo al capitano, ma si trattenne ritenendo opportuno non dire nulla in quel momento.

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