Quel dannato macigno costituiva l’essenza del problema. Impediva alle ruote di toccare terra e fino a quando non solo non toccavano il fondo ma non potevano esercitare trazione non ci sarebbe stato verso di smuovere la Kwembly con la semplice forza dei suoi motori. Forse, i muscoli di tutto l’equipaggio unito avrebbero potuto smuoverla sulla Terra, ma non certo su Dhrawn con la sua potente attrazione: persino un masso di medie dimensioni era difficile da sollevare con quella gravità.
Tra l’equipaggiamento vi erano degli attrezzi che sarebbero potuti diventare delle leve per il sollevamento, ma nessuno di essi era tanto robusto da sopportare il peso del veicolo anche se da un punto di vista meccanico poteva dirsi adeguato.
Alcune serie di ruote, quattro per la precisione, si trovavano a contatto con il macigno stesso. Un’altra, la numero cinque, toccava il fondo. Al momento, nemmeno una era alimentata ma non pareva difficile installare i generatori e renderle autonome; e se le quattro a contatto del macigno e quella a contatto del fondo venivano messe in condizione di esercitare trazione, si poteva tentare di arretrare fino a scendere.
Possibile. Sembrava non esistere obiezione al ragionamento. Nulla faceva dubitare del successo. Su terreno pianeggiante e con buona aderenza qualsiasi combinazione di ruote andava bene; con il peso tutto concentrato su poche serie, la trazione doveva essere meglio del solito e innestando la retromarcia sarebbe stata tutta discesa.
Non fu certo mancanza di confidenza nel progetto quello che spinse Dondragmer a parlarne con gli umani della base spaziale. Annunciava loro le sue intenzioni e non chiedeva alcun permesso. L’uomo che lo ascoltò non era un ingegnere e gli diede una generica approvazione; poi, come da ordini superiori, trasmise il rapporto di Dondragmer alla Pianificazione in modo che venisse distribuito. Di conseguenza, passò circa un’ora prima che un ingegnere vi desse un’occhiata, cioè molto prima che Dondragmer fosse pronto a mettere in pratica la sua idea.
Il rapporto causò un’alzata di sopracciglia, un veloce esame eseguito con un modello in scala della Kwembly e due minuti di controlli e stesura dati.
L’ingegnere era piuttosto scarso con le lingue, ma questa non fu la sola ragione per cui si mise alla ricerca di Easy Hoffman. Non conosceva affatto questo Dondragmer e non aveva idea di come un mesclinita reagisse alle critiche. Conosceva solo i drommiani, dato che alcuni partecipavano direttamente al “progetto Dhrawn”, e si sarebbe sentito molto più sicuro con la mediazione dell’ufficiale di collegamento. Non appena venne messa al corrente, Easy gli assicurò subito che Dondragmer non era il tipo da rifiutare un ragionamento basato sui fatti, ma aggiunse che una migliore conoscenza della lingua avrebbe potuto facilitare le cose anche se l’ufficiale mesclinita parlava fluentemente la lingua degli umani. Infine, i due raggiunsero insieme il salone delle comunicazioni.
Benj era là, come sempre quando non era di servizio. In quegli ultimi giorni aveva fatto amicizia con diversi mescliniti, anche se continuava a preferire Beetchermarlf. Il lavoro e le lunghe assenze di quest’ultimo non avevano impedito ai due di sentirsi di tanto in tanto, con grande vantaggio per lo stennita di Benj. Il ragazzo migliorava ogni giorno di più e ormai era quasi bravo quanto sua madre riteneva.
Quando Easy entrò con l’ingegnere, Benj stava ascoltando Takoorch e non gli dispiacque affatto interrompere la conversazione con la scusa che erano arrivate importanti notizie per il capitano. Passarono parecchi minuti prima che Dondragmer raggiungesse il ponte. Aveva lavorato costantemente, come il resto dell’equipaggio, e solo per un colpo di fortuna si trovava all’interno della Kwembly quando la chiamata era arrivata.
— Eccomi qua, Easy — disse finalmente la sua voce. — Takoorch mi ha riferito che ha qualcosa di importante da dire. Forza allora, l’ascolto.
— Riguarda il metodo da lei suggerito per liberare la Kwembly dalle rocce — cominciò Easy. — Naturalmente non conosciamo la situazione bene quanto lei, ma ci sono due particolari che danno da pensare ai nostri ingegneri. Primo, sopra la roccia vi sono circa tre metri di scafo che comprendono parte del ponte; siete sicuri che la parte di prua non precipiti direttamente sul macigno quando, arretrando, le ruote non la sosterranno più? Secondo: verso la fine della manovra il peso della Kwembly graverà tutto sulle estremità. Certo, il materasso pneumatico dovrebbe distribuire il peso in modo uniforme su tutte le ruote ma l’ingegnere che vede al mio fianco non ne è molto certo, così come non è certo che le serie di ruote posteriori terranno il peso. E se lo scafo precipita bruscamente a terra, possiamo stare certi che ci penserà la gravità di Dhrawn a spaccarlo in due come una mela. Ha pensato a queste obiezioni?
Dondragmer ammise dentro di sé di non averci pensato e che sarebbe stato meglio fermare tutto e fare qualche calcolo prima di proseguire. Ripeté questi concetti per radio, ringraziò Easy e l’ingegnere e si diresse al portello stagno principale, ormai agibile da molte ore.
Fuori, il livello dell’acqua era sceso tanto che le funi di emergenza non servivano più. La profondità raggiungeva al massimo i due metri, secondo il livello medio del macigno più piccolo. La linea dell’acqua si trovava in effetti al livello più sconveniente possibile per osservare la Kwembly e i marinai che vi lavoravano. Dovette arrampicarsi sul grosso masso su cui il mezzo si era arenato, una cosa non facile anche galleggiando nell’acqua, e da lì dovette aggrapparsi alle ruote anteriori fino a raggiungere un punto in cui fosse possibile confrontare la curvatura della Kwembly con quella del macigno su cui si trovava. Non poteva esserne completamente sicuro, perché arretrare avrebbe alterato la distanza tra lo scafo e la roccia, ma ciò che vide non gli piacque per nulla. L’ingegnere umano aveva probabilmente ragione. Non solo esisteva il rischio di danneggiare seriamente lo scafo, ma l’albero del timone attraversava la pancia della Kwembly Proprio vicino al macigno e una tenuta meccanica tra l’albero e il bordo del foro impediva all’atmosfera esterna di penetrare internamente. L’albero si congiungeva poi con la parte centrale del dedalo di funi di guida. Incrinare o addirittura rompere l’albero non avrebbe significato mettere la Kwembly fuori gioco, perché ve n’era un secondo a poppa, ma non era certo un rischio da correre alla leggera.
La risposta a tutti i problemi stava già di fronte ai suoi occhi, ma Dondragmer impiegò più di un’ora per vederla. Uno psicologo umano, quando molto dopo sentì raccontare la storia, mostrò una certa delusione. Stava cercando differenze significative di personalità tra i mescliniti e gli umani, ma scopriva solo punti in comune. Bisognava lavorare, naturalmente. Persino i massi più piccoli pesavano esageratamente. Tuttavia i dintorni erano pieni di piccoli massi e non fu necessario molto tempo per ammucchiarne a sufficienza. Con l’intero equipaggio al lavoro, tranne Beetchermarlf e coloro che lo aiutavano con le ruote, la rampa composta di pietre crebbe a vista d’occhio e presto coprì ogni spazio dalla parte di poppa della Kwembly alla roccia su cui poggiava la prua.
Il lavoro di Beetchermarlf ne risultò grandemente avvantaggiato. Non appena finiva di riparare una serie di ruote un’altra risultava raggiungibile. Il suo lavoro e quello dell’equipaggio terminarono quasi contemporaneamente e solo quattro coppie di ruote rimasero bloccate per mancanza di parti di ricambio. Il timoniere aveva sfruttato al meglio i pochi pezzi disponibili, smontando le ruote e i perni inutilizzabili per riciclarne le parti laddove richiesto e facendo di tutto per ripartire equamente peso e trazione del veicolo in modo che non soffrisse la mancanza di quanto non era riuscito a riparare. Per lavorare sulla serie numero cinque, completamente immersa nell’acqua, dovette sgonfiare parzialmente i pneumatici e quando li rigonfiò lo scafo si mosse leggermente, allarmando non poco Dondragmer e gli altri che lavoravano sotto la pancia del veicolo. Fortunatamente lo spostamento si rivelò insignificante.
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