Isaac Asimov - L'orlo della fondazione

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L'orlo della fondazione: краткое содержание, описание и аннотация

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Bliss tacque, e Trevize proseguì. — Credo di avere intuito fin dal primo momento che non eravate una donna, ma un robot. A causa di questa mia sensazione tutti gli avvenimenti che seguirono li vidi in una luce particolare; soprattutto il fatto che non partecipaste al pranzo.

— Credete che non sia in grado di mangiare, Trev? — disse Bliss. — Vi siete dimenticato che a bordo della “Far Star” feci fuori un piatto di gamberetti? Vi assicuro che sono in grado di mangiare e di compiere qualsiasi altra funzione biologica, compresa, prima che me lo chiediate, quella sessuale. Ma posso anche dirvi che questo in sé non dimostra che io non sia un robot. Già migliaia di anni fa i robot avevano raggiunto il massimo della perfezione, e si potevano distinguere dagli esseri umani soltanto attraverso un’analisi mentalica del cervello. L’Oratore Gendibal avrebbe potuto capire che cosa fossi se si fosse disturbato anche solo minimamente a prendermi in considerazione. Ma naturalmente non l’ha fatto.

— Però, benché io non abbia facoltà mentaliche, sono ugualmente convinto che siate un robot.

— E se anche lo fossi? — disse Bliss. — Non ammetto niente, sia chiaro, tuttavia sono curiosa: se lo fossi?

— Non m’interessano le vostre ammissioni. So che siete un robot. L’ultima prova, del resto superflua, l’ho avuta quando avete affermato di potervi staccare dalla coscienza comune di Gaia per parlare con me come individuo. Credo che non l’avreste potuto fare se foste stata parte di Gaia, ma è chiaro, non lo siate. Siete un robot supervisore, e quindi al di fuori della coscienza del pianeta. Ed adesso che ci penso, mi chiedo di quanti supervisori Gaia abbia bisogno, quanti ne abbia.

— Ripeto: non ammetto niente, ma sono curiosa. Se fossi un robot?

— Se foste, come siete, un robot, vorrei sapere questo: che cosa cercate da Janov Pelorat? Janov è mio amico e per certi versi è come un bambino. Crede di amarvi, crede di desiderare solo quello che siete disposta a dargli, e pensa addirittura che sia già sufficiente ciò che gli abbiate dato. Non conosce, non immagina nemmeno le pene provocate dalla perdita dell’amore, tanto meno immagina che dolore possa procurargli apprendere che non siete umana...

— E voi le conoscete, le pene dell’amore perduto?

— Ho avuto i miei momenti difficili. Non ho condotto una vita ritirata come quella di Janov, non sono mai stato così assorbito dalla ricerca intellettuale da dimenticare ogni altra cosa, persino una moglie ed un figlio. Janov invece è rimasto immerso tutta la vita nei suoi studi, e adesso di colpo rinuncia a tutto per voi: non voglio che soffra. Non permetterò che soffra. Se è vero che ho fatto un favore a Gaia, merito una ricompensa: come ricompensa vi chiedo di assicurarmi che non rovinerete l’esistenza al mio amico.

— Devo fingere di essere un robot e rispondervi?

— Sì — disse Trevize. — E subito.

— Benissimo, allora. Supponiamo che sia un robot, Trev, e che sia, come avete detto, un supervisore. Supponiamo che siano pochi, pochissimi i robot che svolgano la mia stessa funzione, e che ci si incontri assai di rado. Supponiamo inoltre che ciò che ci guida nella vita sia il desiderio di salvaguardare il benessere degli esseri umani e che gli esseri umani di Gaia non ci sembrino tali, dato che sono solo parti di una coscienza planetaria globale.

«Supponiamo che salvaguardare il benessere di Gaia ci appaghi, ma non del tutto.

Che ci sia in noi qualcosa di primitivo che ci faccia desiderare ardentemente la compagnia di quelli che consideriamo esseri umani veri, ovvero di quelle persone che esistevano all’epoca in cui i robot furono progettati e costruiti. Non fraintendetemi; non sto affermando di essere vecchia di migliaia d’anni (presumendo ch’io sia un robot). La mia età, o (sempre presumendo ch’io sia un robot) la durata della mia esistenza fino a questo momento è quella che vi ho detto quando ci siamo conosciuti.

Tuttavia, partendo, ripeto, da quelle premesse la mia struttura in sostanza è quella stessa che caratterizzava i miei simili in un passato lontano, per cui ciò che mi sta più a cuore sono sempre gli esseri umani.

«Pel è un essere umano. Non fa parte di Gaia. È troppo vecchio perché possa diventare parte di Gaia. Desidera restare su questo pianeta con me perché non provi verso di me la diffidenza che provate voi: non pensa che sia un robot. Ebbene, anch’io desidero stare con lui. Se, come asserite, sono sul serio un robot, una reazione del genere appare più che logica: i robot hanno gli stessi sentimenti degli esseri umani, dunque dovete concedermi la capacità di amare come un essere umano. Se vi venisse da obiettare che nonostante tutto resto un robot, vi risponderei che forse un robot non è capace di avvertire nell’amore quella sfumatura mistica che è tipicamente umana, ma che nessuno, nemmeno voi, sarà mai in grado di distinguere la mia reazione emotiva dal sentimento che comunemente si definisce amore. Perciò che importanza ha a questo punto sottilizzare?

Bliss s’interruppe e guardò Trevize con un orgoglio che non faceva concessioni.

— Mi state dicendo che non abbandonerete Pelorat? — disse Trevize.

— Se partite dal presupposto ch’io sia un robot, capite da solo che la Prima Legge non mi consentirebbe mai di abbandonarlo, a meno che non fosse lui stesso ad ordinarmi di farlo ed a meno che non fossi convinta anch’io che dicesse sul serio; a meno che, insomma, restando con lui non gli facessi più male che lasciandolo.

— Se un uomo più giovane...

— Quale uomo più giovane? Voi siete più giovane di Pel, ma non credo proprio che abbiate bisogno di me nello stesso senso suo; di fatto, poi, non mi desiderate, per cui la Prima Legge mi impedirebbe di attaccarmi a voi.

— Non parlo di me, ma di un altro possibile uomo...

— Non ce ne sono altri. Su questo pianeta, solo Pel e voi potete essere considerati creature umane nel senso non-gaiano.

Trevize disse, addolcendo il tono: — E se non foste un robot?

— Decidetevi — disse Bliss.

— Ho detto “se” non foste un robot?

— Allora non avreste il diritto di dire proprio niente: starebbe a Pel ed a me decidere del nostro destino.

— Ritorno al punto di partenza, allora — disse Trevize. — Voglio una ricompensa, e come ricompensa vi chiedo di trattare bene il mio amico. Non toccherò più il tasto della vostra identità. Vi domando solo, parlando da persona intelligente a persona intelligente, di trattare bene Janov.

Bliss disse, con dolcezza: — Lo tratterò bene non per ricompensare voi, ma perché lo voglio, perché è mio ardente desiderio farlo.

Dopo una breve pausa, chiamò: — Pel! — E ancora: — Pel!

Pelorat entrò nella stanza. — Sì, Bliss?

Bliss lo prese per mano. — Credo che Trev voglia dirti qualcosa.

Pelorat le strinse la mano e Trevize prese fra le sue le loro mani intrecciate. — Janov — disse, — sono contento per voi due.

— Oh, amico mio! — disse Pelorat.

— Probabilmente me ne andrò da Gaia — disse Trevize. — Ora vado a parlare della cosa con Dom. Non so se e quando ci rincontreremo, Janov, ma che ci rivediamo o no, è stato bello conoscersi.

— Sì, è stato bello — disse Pelorat, sorridendo.

— Addio, Bliss, vi dico grazie in anticipo.

— Addio Trev.

E Trevize, salutando con la mano, lasciò la casa.

5

— Siete stato in gamba, Trev — disse Dom. — D’altra parte me l’aspettavo, da voi.

Erano seduti davanti a una tavola apparecchiata ed anche questo pasto, come il primo, non solleticava certo la gola. Ma a Trevize non importava: probabilmente non avrebbe mangiato mai più su Gaia.

Disse: — Ho agito come prevedevate che agissi, ma forse non per i motivi che pensavate voi.

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