Poi sali i gradini, e lasciò Len immobile, là, a seguirlo con lo sguardo. C’erano delle voci e delle luci, nella casa, ma là fuori c’era silenzio, ed era quasi buio. E poi qualcuno arrivò dall’angolo della casa, camminando senza fare rumore. Era la ragazza, Joan, che accennando con il capo verso la casa disse:
«Cercava di spaventarvi?»
«Non credo,» disse Len. «Credo che stesse solo dicendo la verità.»
«L’ho sentito.» Aveva un panno bianco in mano, come se fosse andata a scuoterlo fuori. Anche il suo viso pareva bianco, nell’oscurità incombente, vago e indistinto. Ma la sua voce era tagliente come la lama di un coltello. «Fanatici, vero? Be’, forse lui lo è, e forse lo sono anche gli altri, ma non io. Io sono stanca di tutta questa faccenda, stanca e nauseata. Che cosa vi ha fatto desiderare di venire qui, Len Colter? Eravate impazzito, o qualcosa di simile?»
La guardò, osservò i contorni indistinti del suo viso, senza sapere cosa rispondere.
«Vi ho sentito parlare, stamattina,» disse lei.
Len disse, imbarazzato:
«Né io né Esaù sapevamo che…»
«Vi hanno ordinato di dire tutte quelle cose, vero?»
«Quali cose?»
«Come sono orribili le persone, là fuori, e come è odioso il mondo, e così via?»
«Non capisco cosa vogliate dire,» disse Len. «Non so in quale senso lo intendiate, ma ogni parola che abbiamo detto era vera. Se pensate il contrario, andate là fuori anche voi, e vedrete.»
Fece per passarle accanto, e salire i gradini. Lei posò una mano sul suo braccio, e lo fermò.
«Mi dispiace. Immagino che fosse tutto vero. Ma è per questo che Sherman vi ha fatto raccontare tutto alla radio… per farlo sentire a noi. Propaganda.» Aggiunse, nel tono di chi la sa lunga, «Scommetto che è stato per questo motivo che vi hanno lasciato entrare qui… per fare vedere a tutti noi, tangibilmente, quanto siamo fortunati.»
Len disse, a bassa voce:
«Non lo siete, forse?»
«Oh, sì,» disse Joan. «Sì, siamo molto fortunati. Abbiamo tanto di più della gente che vive nel mondo esterno. Non nella vita di ogni giorno, naturalmente. Anzi, non abbiamo altrettanto, per quanto riguarda cose come il cibo e come la libertà. Ma abbiamo Clementina, e lei compensa tutto. Vi è piaciuto il viaggio nel Buco?»
«Il Buco?»
«È il nome che alcuni di noi hanno dato a Bartorstown.»
Il suo tono di voce e il suo modo di fare lo avevano messo a disagio. Disse:
«Sarà meglio che entri, adesso,» e salì un altro gradino.
«Spero che vi sia piaciuto,» disse lei. «Spero che vi sia piaciuta questa gola, e Fall Creek. Perché non vi lasceranno uscire mai più.»
Pensò a quello che aveva detto Sherman. Non biasimava Sherman, per questo. Lui non aveva alcuna intenzione di andarsene. Ma la cosa non gli piaceva ugualmente.
«Un giorno o l’altro, impareranno ad avere fiducia in me,» disse.
«Mai.»
Non voleva discutere con lei.
«Be’, credo comunque che rimarrò qui per un po’ di tempo,» disse, in tono leggero. «Dopotutto, ho passato metà della mia vita nel tentativo di venire qui.»
«Perché?»
«Voi siete una ragazza di Bartorstown. Dovreste conoscere già la risposta.»
«Perché volevate imparare. È vero, lo avete detto anche stamattina. Volevate imparare, e nessuno ve lo permetteva.» Fece un gesto ironico, che comprendeva l’intera gola. «Andate. Imparate. Siate felice.»
La prese per le spalle, allora, l’attirò più vicina, in modo da vedere il suo viso nel chiarore che giungeva dalle finestre.
«Che cosa avete?»
«Penso soltanto che voi siete pazzo, ecco tutto. Avere a propria disposizione tutto il mondo, e gettarlo via per questo!»
«Che io sia dannato,» disse Len. La lasciò andare, e si mise a sedere sul gradino, e scosse il capo. «Che io sia dannato. Ma Bartorstown non piace proprio a nessuno, allora? Ho l’impressione di avere udito più lamentele da quando sono arrivato qui, di quante ne abbia udite in tutta la mia vita precedente.»
«Quando avrete vissuto un’intera vita qui,» disse lei, in tono amaro, «Capirete. Oh, alcuni, tra gli uomini, escono, certo. Ma la maggioranza rimane qui. La maggioranza non vede mai niente, all’infuori delle pareti di questa gola. E anche gli uomini devono sempre ritornare. È come dice il vostro amico. Dovete essere un fanatico, per pensare che valga la pena di fare tutto questo.»
«Io ho vissuto là fuori,» disse Len. «Io penso a quello che è oggi, e a quello che potrebbe essere, se…
«Se Clementina darà la risposta giusta, un giorno. Certo. Ormai è passato quasi un secolo, e non sono più vicini alla soluzione di quanto non fossero all’inizio, ma dobbiamo essere tutti pazienti, e devoti, e pieni di dedizione al lavoro… dedizione a che cosa? A quel maledettissimo cervello meccanico, che se ne sta acquattato laggiù, sotto una montagna, e deve essere trattato con tutto l’amore possibile, come se fosse Dio!»
Si chinò su di lui, improvvisamente, protendendo il viso, nel vago riverbero delle finestre.
«Io non sono fanatica, Len Colter. Se volete parlare con qualcuno, ricordatevelo.»
Poi se ne andò, dietro l’angolo della casa, correndo. Len sentì aprirsi una porta da qualche parte, sul retro. Si alzò in piedi, lentamente, e salì i gradini, ed entrò lentamente nella casa, e consumò la cena alla tavola di Wepplo. E non udì quasi niente, delle conversazioni che si svolsero intorno a lui.
Il mattino dopo, Len ed Esaù vennero convocati di nuovo a casa di Sherman, e questa volta Hostetter non andò con loro. Sherman stava dall’altra parte della grande tavola, nel soggiorno, e teneva due chiavi nelle mani.
«Vi ho detto che non avrei cercato di forzarvi la mano, e intendo mantenere la promessa. Ma nel frattempo dovrete lavorare. Ora, se vi dessi un lavoro da svolgere a Fall Creek, come fabbri, o stallieri, o qualcosa di simile, non potreste imparare niente di più su Bartorstown, e sarebbe come se foste rimasti a casa vostra.»
«Be’, sì,» disse Esaù, e poi domandò, con ansia, «Posso imparare qualcosa sulla grande macchina? Su Clementina?»
«Per dire la verità, io penso che rimarrà sempre al di là delle vostre possibilità, a meno che non vogliate aspettare di essere vecchio. Ma potrete stare con Frank Erdmann, che è l’esperto. E non preoccupatevi, avrete tutte le macchine che vorrete. Ma qualunque macchina scegliate, ci vorrà sempre un lungo studio, prima che voi siate pronto, e fino a quel momento…»
Esitò, solo per una frazione di secondo; forse non esitò affatto, e forse fu soltanto per caso che i suoi occhi si posarono in quel momento sul viso di Len, ma Len capì quello che avrebbe detto ancor prima di sentirlo, e si preparò a sostenere l’urto, in modo che il suo viso non mostrasse niente dei suoi sentimenti.
«Fino a quel momento, sarete assegnati all’impianto a vapore. Avete già qualche esperienza con il vapore, e non dovrebbe occorrervi molto tempo per fare pratica, e imparare le differenze. Jim Sidney, l’uomo col quale avete parlato ieri, vi darà tutta l’assistenza necessaria.»
Si alzò in piedi, e girò attorno alla tavola, e porse loro le chiavi.
«Queste servono ad aprire il cancello. Abbiatene cura. Jim vi dirà l’orario di lavoro, e tutto il resto. Nel tempo libero, potrete andare dove vorrete a Bartorstown, e chiedere qualsiasi cosa, purché non interferiate con il lavoro. Potrete prendere accordi con il bibliotecario, Irv Rothstein, per consultare i suoi libri. Ed è inutile che facciate entrambi la faccia di pietra. Posso leggervi il pensiero».
Len lo guardò, sorpreso, e Sherman sorrise.
«Voi pensate che l’impianto a vapore è vicinissimo al reattore, e vorreste essere in qualsiasi altro posto. Ed è esattamente per questo che andrete a lavorare là. Voglio che impariate ad abituarvi al reattore, a tal punto da dimenticare la vostra paura».
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