Leigh Brackett - La città proibita

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La città proibita: краткое содержание, описание и аннотация

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La storia di Len Colter e di suo cugino Esaù, può essere la storia dei nostri nipoti. Len Colter viveva in un piccolo paese rurale degli Stati Uniti, dove per legge, dopo la distruzione, era stata proibita la costruzione di città e la diffusione del sapere nelle sue forme piú avanzate. Due generazíoní prima era caduta sulle loro città la grande Distruzione, provocata dalla conoscenza scientifica dei segreti della natura. Lo spaventoso flagello era stato interpretato dalle coscienze terrorizzate come il castigo di Dio per l’orgoglio e i peccati dell’uomo. I due giovani, spinti dal desiderio delle «cose vecchie», delle quali sentivano parlare con nostalgia dai nonni: le automobili, gli aeroplani, le case con ogni comfort, le città in una fantasmagoria di luci, e ossessionati dai discorsi sentiti di nascosto sulla esistenza di una città sopravvissuta, si mettono su di un sentiero aspro e difficile. Incontreranno l’amicizia, e la delusione, l’amore e la morte, la fame e la sete, la lotta contro le intemperie e contro la propria coscienza: ma andranno alla ricerca della città del loro sogno. Len, dal carattere piú complesso, sostiene la lotta píú aspra ed è salvato piú volte, non solo materialmente dall’amicizia di Hostetter, il mercante, che rappresenta il legame ideale tra il mondo lasciato da Len e il mondo nuovo. E sarà Hostetter che ricondurrà Len di fronte alla realtà e lo costringerà a una decisione.

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«No,» lo corresse Hostetter, con voce quieta. «Non direi questo. Ma ci vuole molto, molto di più di un solo Dulinsky. Ce ne vogliono molti come lui, uno dopo l’altro, in molti posti diversi…».

«E altri Burdette, e altri incendi».

«Sì. E un giorno ne verrà uno al momento giusto, e il cambiamento avverrà allora».

«C’è molto da aspettare».

«Le cose stanno così. E allora tutti i Dulinsky diventeranno martiri di un grande ideale. Nel frattempo, essi sono i disturbatori della pace. E maledizione, Len, sai bene che in un certo senso hanno ragione. Sono comodi e felici. Chi sei, tu… o chiunque altro… per dire loro che tutto deve essere cambiato?»

Len si volse a guardare Hostetter, nel chiarore d’argento della luna.

«È per questo che ve ne state in disparte a osservare?»

Hostetter disse, con una lievissima traccia d’impazienza nella voce.

«Non credo che tu abbia ancora compreso bene chi siamo, e che cosa siamo. Non siamo i superuomini che tu pensi. Dobbiamo già impiegare tutte le nostre capacità e i nostri sforzi per sopravvivere, senza tentare di cambiare un paese che non vuole essere cambiato».

«Ma come potete dire che essi hanno ragione? Massacratori ignoranti come Burdette, ipocriti come il giudice…».

«Uomini onesti, Len, entrambi. Sì, onesti davvero. Entrambi si sono alzati, stamattina, infiammati di nobili pensieri e di buoni propositi, e sono andati a fare ciò che era giusto, secondo il loro modo di vedere. Non è mai stato commesso un solo atto, fin dal principio del tempo, dal bambino che ha rubato un candito al dittatore che si è macchiato di genocidio, che non fosse stato compiuto da una persona convinta di avere tutte le più valide giustificazioni. Si tratta di un espediente mentale, qualcosa che si chiama razionalizzazione, e ha fatto più male alla razza umana di qualsiasi altra catastrofe che si sia abbattuta sul mondo».

«Sì, forse quanto voi dite può valere per Burdette,» disse Len, riluttante. «È uguale a quell’uomo che predicava, quella famosa notte. Ma il giudice no. Il giudice sapeva bene quello che sarebbe accaduto».

«Non sul momento. È questo il brutto, Len. I dubbi vengono sempre dopo, e quando è generalmente troppo tardi. Prendi il tuo caso, Len. Quando sei fuggito da casa, avevi dei dubbi su ciò che stavi facendo? Ti sei detto qualcosa come, diciamo, ’Sto facendo una cosa cattiva, renderò molto infelici i miei genitori’, o qualcosa del genere?»

Len abbassò il capo, fissando le acque inargentate per molto tempo, senza dare risposta. Infine disse, con voce stranamente sommessa:

«Come stanno? Tutti bene?»

«L’ultima volta che li ho visti stavano bene. Non ci sono stato, questa primavera».

«E la nonna?»

«È morta, è stato un anno a dicembre».

«Sì, capisco,» disse Len. «Era molto, molto vecchia». Era strano quello che lui provava pensando alla nonna, come se una parte della sua vita se ne fosse andata con lei. Improvvisamente, con dolorosa chiarezza, la rivide seduta sul gradino, sotto il sole, intenta a guardare i fiammeggianti alberi di ottobre, e a parlare del vestito rosso che aveva avuto tanto, tanto tempo prima, quando il mondo era stato un posto diverso.

Disse:

«Papà non riusciva mai a farla star zitta».

Hostetter annuì.

«La mia nonna era uguale».

Ci fu di nuovo silenzio. Len rimase seduto a fissare il fiume d’argento, a pensare alle cose di ieri, e il passato era un fardello pesante sopra di lui, e lui non voleva più andare a Bartorstown. Voleva andare a casa.

«Tuo fratello si sta comportando molto bene,» sorrise Hostetter. «Ora ha due bambini».

«Sono contento».

«Piper’s Run non è cambiato molto».

«No,» disse Len. «No, penso di no». E poi aggiunse, «Oh, per favore, state zitto!»

Hostetter sorrise.

«Questo è il vantaggio che ho su di te. Io torno a casa. Ed è passato molto tempo».

«Allora voi non siete affatto della Pennsylvania».

«La mia famiglia veniva di là. Io sono nato a Bartorstown».

Un’antica ira sorda si risvegliò nel cuore di Len, e lo pungolò.

«Ascoltate,» disse. «Voi sapevate per quale motivo eravamo scappati. Dovete avere saputo fin dall’inizio dove eravamo, e che cosa stavamo facendo».

«Mi sentivo un po’ responsabile, è vero,» ammise Hostetter. «Vi ho sempre seguito».

«Va bene,» disse Len. «Perché ci avete costretti ad aspettare così a lungo? Sapevate dove volevamo andare».

Hostetter disse:

«Ti ricordi di Soames?»

«Non lo dimenticherò mai».

«Si era fidato di un ragazzo».

«Ma…» cominciò Len. «Io non avrei…» Poi ricordò in qual modo Esaù aveva posto Hostetter in una brutta situazione, senza volerlo. «Sì, credo di capire quello che intendete dire».

«Abbiamo una legge inviolabile, a Bartorstown. Questa legge dice di non immischiarsi nelle cose del paese. Grazie a essa, abbiamo potuto sopravvivere, per tutti questi anni, quando bastava il nome di Bartorstown a fare impiccare una persona. Soames ha violato quella legge. Anch’io la sto violando, adesso, ma ho avuto il permesso di farlo. E, credimi, è stata la più grande impresa del secolo, ottenere il permesso. Ho parlato a Sherman per una settimana intera, fino a perdere la voce…».

«Sherman,» disse Len, raddrizzando la testa. «Sì, Sherman. Quello che voleva sapere notizie di Byers…».

«Cosa diavolo stai dicendo?» esclamò Hostetter, sbalordito.

«L’ho sentito alla radio,» disse Len, e una parte della vecchia emozione ritornò a invaderlo, come l’improvviso bagliore del fulmine in un temporale d’estate. «Le voci che parlavano, nella notte in cui feci uscire le mucche dal fienile, e andammo a cercarle al fiume, ed Esaù lasciò cadere al suolo la radio. Il rocchetto era sfuggito dal suo incavo, e sono uscite le voci… ’Sherman vuole sapere,’ ho sentito. E qualcosa a proposito del fiume. Fu solo per questo che discendemmo l’Ohio».

«Oh, sì,» disse Hostetter. «Sì, la radio. È stata quella a dare inizio all’intera faccenda, vero? Dovrei chiedere qualcosa a Esaù, come prezzo per avermela rubata. E soprattutto per tutto quello che ho sudato, quando ho scoperto che non c’era più». Hostetter rabbrividì. «Cristo! Quando penso che c’è mancato un pelo… che per poco non ha denunciato tutto, facendomi scoprire… Sai, non avrei mai potuto tornare indietro vivo. Non ci sarei mai riuscito. La tua gente mi avrebbe chiesto, semplicemente, di andarmene e non mostrare mai più il mio viso, ma le parole corrono, e la voce si sarebbe sparsa molto più rapidamente di quanto avrei potuto viaggiare. Sono stato costretto a gettare ai lupi Esaù, allora, e non direi la verità se mi dichiarassi spiacente di averlo fatto. Ma è stato un vero peccato che anche tu sia stato immischiato, questo sì».

«Non ho mai pensato di farvene una colpa. Avevo detto a Esaù che la faccenda non sarebbe stata semplice come lui credeva».

«Be’, devi ringraziare i contadini: se non fosse stato per loro, non sarei mai riuscito a convincere Sherman a darmi il permesso di raccogliervi. Gli ho detto che non sareste riusciti a cavarvela: l’una o l’altra parte vi avrebbe fatto la festa, e io non volevo avere il vostro sangue sulla coscienza. Alla fine ha ceduto: ma una cosa devo dirtela, Len. La prossima volta, quando qualcuno ti darà un buon consiglio, cerca per favore di seguirlo».

Len si passò la mano sul collo, dove la corda aveva prodotto qualche livido.

«Sì, signor Hostetter. E grazie. Non dimenticherò mai quello che avete fatto».

Con grande fermezza, parlando come aveva spesso parlato papà una volta, Hostetter disse:

«Non dimenticarlo. Non per me, in particolare, né per Sherman, ma per tutte le persone e per tutte le idee che potrebbero dipendere proprio dal fatto che tu lo dimentichi».

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