«Io sono qui,» disse Burdette.
Dulinsky si voltò, per un momento, guardando la strada alle sue spalle. Len si avvicinò a lui, come se avesse voluto dirgli che era al suo fianco. E poi il giudice Taylor si avvicinò, attraversando le fila disordinate e rade degli uomini di Refuge, dicendo:
«Disperdetevi, tornate alle vostre case, e restateci. Non vi sarà fatto alcun male. Deponete le vostre armi, e tornate a casa».
Tutti esitarono, guardandosi l’un l’altro, guardando Dulinsky e la solida massa dei contadini. E Dulinsky disse al giudice, in tono d’infinito disprezzo:
«Voi, maledetta pecora vigliacca! Voi avete organizzato tutto questo».
«Avete già fatto abbastanza danni, Mike,» disse il giudice, pallidissimo, ergendosi in tutta la sua statura. «Non c’è bisogno che tutti gli abitanti di Refuge ne soffrano. Fatevi da parte».
Dulinsky guardò con ira prima lui, e poi Burdette.
«Cosa intendete fare?»
«Mondare il male,» disse lentamente Burdette, «Come il Libro ci dice di fare, bruciandolo col fuoco».
«Per dirla in parole povere,» fece Dulinsky, «Voi intendete bruciare i miei magazzini, e tutte le altre cose che avrete voglia di bruciare. E io vi dico che non lo farete, accidenti a voi». Si volse, e gridò agli uomini di Refuge. «Ascoltatemi, idioti, credete che abbiano intenzione di limitarsi al mio magazzino? Faranno bruciare tutto il paese. Non capite che questo è il momento cruciale, quello che deciderà come vivrete per i prossimi decenni? Volete essere degli uomini liberi, o dei maledetti schiavi striscianti?»
La sua voce si alzò, diventò un ruggito.
«Avanti, combattete per le vostre case e per il vostro paese, che Dio vi maledica, combattete!»
Si voltò, e si lanciò contro Burdette, sollevando il bastone sopra la propria testa, pronto a colpire.
Senza fretta e senza pietà, Burdette alzò il fucile e sparò.
Lo sparo produsse un rumore fortissimo, nel silenzio. Dulinsky si arrestò di botto, come se avesse urtato una parete solida. Rimase in piedi per un secondo o due, e poi il bastone gli cadde dalle mani, e le braccia gli ricaddero sui fianchi, contraendosi intorno allo stomaco. Le ginocchia si piegarono, ed egli cadde lentamente in ginocchio nella polvere.
Len si lanciò avanti a sua volta.
Dulinsky si volse a fissarlo, con un’espressione di immensa, attonita sorpresa. La sua bocca si aprì. Apparentemente, tentò di dire qualcosa, ma dalle sue labbra uscì soltanto uno spruzzo di sangue. E poi, d’un tratto, il suo volto diventò vacuo e remoto, come una finestra quando qualcuno spegne la candela nella stanza. Cadde in avanti, e giacque immobile.
«Mike,» disse il giudice Taylor. «Mike?» Guardò Burdette, e i suoi occhi cominciarono a dilatarsi. «Che cosa avete fatto?»
«Assassino,» disse Len, e la parola era diretta sia a Burdette che al giudice. La sua voce si spezzò, e poi diventò un grido aspro. «Maledetto vigliacco assassino!» Sollevò i pugni, e si avventò contro Burdette, ma la linea dei contadini aveva cominciato a muoversi, come se la morte di Dulinsky fosse stata il segnale atteso, e Len venne travolto come un uomo caduto nel fronte di un’onda impetuosa. Burdette se ne era andato, e ora di fronte a lui c’era un giovane contadino tarchiato, con un lungo collo e le spalle curve e la stessa bocca del giovane che aveva gridato la sua accusa contro Soames. Brandiva un palo in mano, un palo come quelli usati per le staccionate dei pascoli, e lo calò sulla testa di Len, ridendo, una risata chioccia e frettolosa e sgradevole, e i suoi occhi scintillavano di un’immensa eccitazione. Len cadde nella polvere. Pesanti stivali passarono sopra il suo corpo, lo scalciarono, si mossero intorno a lui, come un’onda inarrestabile, coprendolo di lividi e di dolore e di polvere, ed egli si rannicchiò, istintivamente, proteggendosi la testa e il collo con le braccia, per non essere schiacciato. Era tutto molto buio intorno a lui, ora, come se fosse improvvisamente calata la notte, e gli uomini di Refuge erano lontanissimi, dietro a un velo tenebroso e ondeggiante, ma riuscì a vederli, mentre se ne andavano in tutte le direzioni, confondendosi nell’aria afosa, fino a quando la strada non fu deserta davanti ai contadini, e nulla più si frappose tra loro e il paese. E così essi avanzarono su Refuge nel pomeriggio soffocante e torrido, sollevando di nuovo la polvere della loro marcia, e quando la polvere si posò di nuovo erano rimasti soltanto Len, e il cadavere di Dulinsky disteso nella polvere e calpestato, a pochi metri da lui, e il giudice Taylor, in piedi, in mezzo alla strada, nella stessa posizione di prima, il giudice Taylor che stava fermo là, immobile, e fissava Dulinsky.
Lentamente, Len si rialzò in piedi. La testa gli doleva sordamente, e provava un senso di nausea che lo faceva vacillare, ma il desiderio di allontanarsi da quel luogo era così intenso, così imperioso, che egli costrinse il proprio corpo a camminare, malgrado tutto. Girò intorno al cadavere di Dulinsky, evitando con cura le macchie scure che imbrattavano la polvere in quel punto, e passò davanti al giudice Taylor. Non si parlarono, né si guardarono. Len proseguì, camminando verso Refuge, fino a quando non si trovò a pochi metri dalla piazza, dove c’era un frutteto ai margini della strada, e poi s’incamminò tra i meli, e quando pensò di essere riparato dalla vista di coloro che potevano trovarsi sulla strada, scivolò a sedere sull’erba alta, mise la testa tra le ginocchia, e vomitò. Un gelo terribile era sceso sul suo corpo, che era scosso da un tremito continuo. Aspettò che tutto questo passasse, insieme ai conati di nausea, e poi si alzò nuovamente in piedi, e proseguì, tenendosi a occidente, al riparo degli alberi.
Si udiva un rumore confuso in distanza, verso il fiume. Uno sbuffo di fumo si sollevò lento nell’aria chiara, e poi un altro, e d’un tratto si udì un sordo, tumultuoso rombo, e l’intera riva del fiume parve scoppiare in fiamme, e il fumo salì ribollente, nero e grasso e molto denso, illuminato in basso dalle fiamme che venivano dai barili di pece e dal petrolio delle lampade. Ora le strade del paese erano ingombre di carri e di cavalli e di gente che correva in preda al panico. Qua e là, qualcuno aiutava un ferito. Len li evitò, passando per i vicoli e attraversando i campi periferici. Il fumo diventava sempre più nero e denso, saliva ribollendo nel cielo e nascondeva l’azzurro e trasformava il sole in un livido, minaccioso disco ramato. E ora nel fumo c’erano delle scintille, e pezzi di materia infiammata scagliati verso l’alto. Quando raggiunse un posto più elevato, Len vide che c’erano degli uomini sui tetti di alcune case, e sulla chiesa e sul municipio, uomini che si passavano dei secchi d’acqua per bagnare gli edifici. Di là, poté vedere anche la riva del fiume. Il nuovo magazzino stava bruciando, e anche gli altri quattro che erano stati di proprietà di Dulinsky, ma la distruzione non si era fermata là. C’era un tramestio, uno scuotere di armi e un ondeggiare di piccoli gruppi di uomini, e lungo tutta la linea dei moli e dei magazzini nuovi fuochi si stavano sviluppando.
Sull’altra riva del fiume, Shadwell osservava ma non si muoveva.
Le stalle e le baracche del recinto dei mercanti erano in fiamme, quando Len vi giunse. Nugoli di scintille erano caduti sulle masse di fieno e biada, e altre scintille cominciavano a consumare le tettoie di legno dei ripari. Len corse nella baracca che aveva occupato, e afferrò il suo zaino di tela, e la sua coperta. Quando uscì dalla porta, sentì che stavano arrivando degli uomini, e si rifugiò frettolosamente tra gli alberi che sorgevano da un lato. Le foglie verdi e asciutte si stavano già increspando, e i rami erano scossi da un bizzarro vento malato. Una banda di contadini stava arrivando dal fiume. Si fermarono ai margini del recinto, ansando, guardandosi intorno con occhi brillanti e feroci. Gli stalli adibiti alle vendite all’asta erano ancora intatti, uno dei contadini, un gigante dalla barba rossa, dalle guance infuocate e dalla voce che rombava come un tuono, puntò il braccio in quella direzione, e urlò qualcosa riguardo ai cambiavalute nel Tempio. Tutti mandarono avide grida, come una muta di cani famelici giunti alla tana del procione, e corsero verso la lunga fila di banchi e capannoni, fracassando tutto ciò che si poteva rompere, e ammucchiando i rottami, e appiccando fuoco a ogni cosa con una torcia brandita da uno di essi. Poi essi proseguirono, calpestando e fracassando e incendiando tutto ciò che incontravano sulla loro strada. Len pensò al giudice Taylor, che se ne stava da solo al centro della strada, intento a fissare il cadavere di Dulinsky. Avrebbe avuto molte altre cose da osservare, prima che quella giornata fosse finita.
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