Leigh Brackett - La città proibita

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La città proibita: краткое содержание, описание и аннотация

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La storia di Len Colter e di suo cugino Esaù, può essere la storia dei nostri nipoti. Len Colter viveva in un piccolo paese rurale degli Stati Uniti, dove per legge, dopo la distruzione, era stata proibita la costruzione di città e la diffusione del sapere nelle sue forme piú avanzate. Due generazíoní prima era caduta sulle loro città la grande Distruzione, provocata dalla conoscenza scientifica dei segreti della natura. Lo spaventoso flagello era stato interpretato dalle coscienze terrorizzate come il castigo di Dio per l’orgoglio e i peccati dell’uomo. I due giovani, spinti dal desiderio delle «cose vecchie», delle quali sentivano parlare con nostalgia dai nonni: le automobili, gli aeroplani, le case con ogni comfort, le città in una fantasmagoria di luci, e ossessionati dai discorsi sentiti di nascosto sulla esistenza di una città sopravvissuta, si mettono su di un sentiero aspro e difficile. Incontreranno l’amicizia, e la delusione, l’amore e la morte, la fame e la sete, la lotta contro le intemperie e contro la propria coscienza: ma andranno alla ricerca della città del loro sogno. Len, dal carattere piú complesso, sostiene la lotta píú aspra ed è salvato piú volte, non solo materialmente dall’amicizia di Hostetter, il mercante, che rappresenta il legame ideale tra il mondo lasciato da Len e il mondo nuovo. E sarà Hostetter che ricondurrà Len di fronte alla realtà e lo costringerà a una decisione.

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«Se non foste in tanti, potrei uccidervi tutti».

E il volto gli rispose:

«Tu non vuoi uccidere me, Len. Avanti, ragazzo, alzati».

Gli occhi di Len si riempirono improvvisamente di lacrime.

«Signor Hostetter,» disse. «Signor Hostetter». Alzò le braccia e si aggrappò a lui, e gli parve di essere ritornato indietro, a un’altra ora di oscurità e di terrore, e Hostetter lo fece alzare in piedi vigorosamente, e gli tolse la corda dal collo,

«Corri,» gli disse. «Corri come il diavolo».

Len si mise a correre. Era confuso, smarrito, eppure si mise a correre. C’erano diversi altri uomini insieme a Hostetter, e dovevano avere caricato duramente la massa della gente di Refuge, con i pali e i ramponi delle loro barche, perché gli uomini di Refuge erano stati dispersi. Ma essi non intendevano lasciar scappare Len senza combattere, e l’intervento di Hostetter e dei suoi uomini li aveva convinti di avere visto giusto, parlando di un complotto della gente di Bartorstown. Ora erano decisi a mettere le mani anche su Hostetter, e gridavano, e imprecavano, si radunavano di nuovo e cercavano tutto quello che si poteva usare come un’arma, sassi, rami caduti, pezzi di terra. Len vacillò, barcollò, durante la corsa, e Hostetter gli mise una mano sotto il braccio, e lo sorresse.

«La barca ci aspetta,» disse. «Più in giù».

Degli oggetti cominciarono a volare nell’aria, intorno a loro. Una pietra colpì alla schiena Hostetter, ed egli incassò la testa tra le spalle, abbassando il cappello dalla larga tesa, come un lottatore. Entrarono in un’alta macchia d’alberi, e sbucarono dall’altra parte, e poi Len parve immobilizzarsi, s’irrigidì, pur continuando a correre.

«Esaù!» gridò. «Non possiamo andarcene senza Esaù».

«È già a bordo,» disse Hostetter. «Avanti, non rallentare!»

Continuarono a correre, attraverso il pendio di un pascolo che declinava fin quasi sul ciglio dell’acqua, e le mucche si dispersero lentamente, con le code in aria, impassibili, imperturbabili, nel loro angolo sicuro. In fondo al declivio c’era un’altra macchia d’alberi, che cresceva direttamente sulla riva, e nascosta tra di essi c’era una grossa barca a vapore. Sulla coperta c’erano due uomini armati di grandi asce, pronti a tagliare le gomene. Il fumo cominciò a sbuffare più forte dalla ciminiera solitaria, come se un fuoco già pronto fosse stato improvvisamente attizzato con violenza. Len vide Esaù, che si sporgeva dalla murata, e c’era qualcuno accanto a lui, una persona dai capelli biondi e dalla lunga gonna.

C’era una tavola che andava dalla riva alla murata. La percorsero, e furono sul ponte, e Hostetter gridò un ordine agli uomini che brandivano le asce. I sassi avevano ripreso a volare nell’aria, ed Esaù afferrò Amity e la trascinò dall’altra parte, al riparo della cabina. Le asce saettarono. Si udirono altre grida, e gli uomini di Refuge, guidati da Watts, e da altri due, corsero verso la plancia. Len non vide Ames tra loro. Le gomene furono recise, e caddero serpentine nell’acqua. Hostetter, Len, e altri uomini, presero dei lunghi pali, e cominciarono a spingere con forza, appoggiandoli alla riva. La plancia cadde in acqua, insieme a Watts e agli altri due uomini che vi erano sopra. Ci fu un brontolio e uno sferragliare, sotto coperta, il ponte parve tremare, e delle scintille cominciarono a uscire dal fumaiolo. La barca cominciò a muoversi nella corrente. Watts era immerso fino alla cintola nell’acqua fangosa, e li minacciava agitando i pugni, un uomo che non aveva combattuto per salvare il proprio paese, ma che era disposto a tutto per vendicare i suoi rancori.

«Ora vi conosciamo!» gridò, e la sua voce giunse sottile, per la distanza che ormai li separava. «Non ve la caverete!»

Gli uomini che si ammassavano sulla riva, dietro di lui, gridarono a loro volta. Le loro voci si fecero più deboli, ma la nota d’odio rimase, insieme alla minaccia dei loro gesti. Len si volse a guardare in direzione di Refuge. Ormai erano quasi al centro del fiume, e lui poteva vedere oltre la riva. Il fumo nascondeva quasi completamente il paese, ma quello che vedeva era sufficiente. Ciò che i contadini di Burdette avevano risparmiato, ora veniva reclamato imperiosamente dall’incendio che si allargava.

Len scivolò a sedere sul ponte umido, con la schiena appoggiata alla cabina. Mise le braccia intorno alle ginocchia, e vi appoggiò la testa, e provò un desiderio irresistibile di piangere, di piangere come un bambino, ma era troppo stanco anche per fare questo. Rimase seduto là, semplicemente, cercando di rendere la sua mente vuota come tutto il resto del suo corpo in quel momento. Ma non poteva farlo, e nella sua mente continuava a vedere Dulinsky fermarsi di botto, e cadere lentamente in ginocchio nella polvere calda della strada di settentrione, e sentiva l’odore di un grande incendio, e nelle sue orecchie risuonava la voce aspra di Burdette, che diceva:

« Non ci saranno città in mezzo a noi! »

Era molto strano, vedere quelle cose, sentirle, in un succedersi monotono che non lasciava spazio ad altri pensieri, ad altri sentimenti, ad altre cose.

Dopo qualche tempo, si accorse che c’era qualcuno in piedi, davanti a lui. Sollevò il capo, e vide Hostetter, che teneva il cappello in mano e si asciugava stancamente la fronte con la manica della giacca.

«Ebbene, ragazzo,» disse, «Sei riuscito a soddisfare il tuo desiderio. Andiamo a Bartorstown».

14.

Era notte, una notte calda e tranquilla. C’era la luna, che illuminava la superficie del fiume e trasformava le rive in due masse di ombra nera. La barca scivolava sbuffando dolcemente, con il fumaiolo che sbuffava pigro, e le semplici macchine protette dal legno e dai teli impermeabili. Len aveva trovato un posto sul ponte. Aveva dormito per qualche ora, e adesso sedeva con la schiena appoggiata a un grosso sacco, osservando il fluire dell’acqua piena d’argento.

Hostetter si avvicinò, camminando lentamente nello spazio angusto lasciato libero a prua, seguito da una scia di aroma di tabacco, che veniva dalla sua vecchia pipa. Vide Len seduto in quell’angolo, e si fermò.

«Ti senti meglio?»

«Sono nauseato,» disse Len, con tanta veemenza da non lasciare dubbi sul significato delle sue parole. Hostetter annuì.

«Ora capisci quello che ho provato io, quella notte, quando uccisero Bill Soames».

«Assassini,» disse Len. «Vigliacchi. Bastardi». Li maledisse, fino a quando le parole non gli si soffocarono in gola. «Avreste dovuto vederli fermi in mezzo alla strada, e sui campi. E poi Burdette gli ha sparato. Lo ha ucciso, come si uccide un verme trovato in mezzo al grano».

«Sì,» disse Hostetter, lentamente. «Avremmo potuto tirarti fuori prima, se non fossi andato ad aiutare Dulinsky. Povero diavolo. Ma non sono molto sorpreso».

«Non avreste potuto aiutarlo, voi?»

«Noi? Vuoi dire Bartorstown?»

«Lui desiderava le stesse cose che voi volete. Crescita, progresso, intelligenza, un futuro. Non avreste potuto aiutarlo?»

C’era una nota tagliente, nella voce di Len, ma Hostetter si limitò a togliersi la pipa di bocca, e a domandare, sommessamente:

«Come?»

Len rifletté per qualche secondo. Dopo un breve silenzio, disse:

«Suppongo che non vi fosse possibile».

«Non avremmo potuto aiutarlo, senza un esercito. Noi non abbiamo un esercito, e se lo avessimo non lo useremmo. Ci vuole una forza quasi onnipotente per cambiare il modo di pensare e di vivere della gente. Avevamo una forza simile soltanto ieri, ieri per come scorre il tempo per le nazioni, e non vogliamo più saperne, perché i suoi frutti sono stati amari».

«Era di questo che aveva paura il giudice. Il cambiamento. E così è rimasto immobile, a guardar morire Dulinsky». Len scosse il capo. «Ed è morto per niente. Ecco per che cosa è morto… per niente » .

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