Leigh Brackett - La città proibita

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La città proibita: краткое содержание, описание и аннотация

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La storia di Len Colter e di suo cugino Esaù, può essere la storia dei nostri nipoti. Len Colter viveva in un piccolo paese rurale degli Stati Uniti, dove per legge, dopo la distruzione, era stata proibita la costruzione di città e la diffusione del sapere nelle sue forme piú avanzate. Due generazíoní prima era caduta sulle loro città la grande Distruzione, provocata dalla conoscenza scientifica dei segreti della natura. Lo spaventoso flagello era stato interpretato dalle coscienze terrorizzate come il castigo di Dio per l’orgoglio e i peccati dell’uomo. I due giovani, spinti dal desiderio delle «cose vecchie», delle quali sentivano parlare con nostalgia dai nonni: le automobili, gli aeroplani, le case con ogni comfort, le città in una fantasmagoria di luci, e ossessionati dai discorsi sentiti di nascosto sulla esistenza di una città sopravvissuta, si mettono su di un sentiero aspro e difficile. Incontreranno l’amicizia, e la delusione, l’amore e la morte, la fame e la sete, la lotta contro le intemperie e contro la propria coscienza: ma andranno alla ricerca della città del loro sogno. Len, dal carattere piú complesso, sostiene la lotta píú aspra ed è salvato piú volte, non solo materialmente dall’amicizia di Hostetter, il mercante, che rappresenta il legame ideale tra il mondo lasciato da Len e il mondo nuovo. E sarà Hostetter che ricondurrà Len di fronte alla realtà e lo costringerà a una decisione.

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«Che cosa?» domandò Kovacs.

«Be’, il motore. Voglio dire che, venendo da Bartorstown, potete avere tutti i tipi di motori che volete, e pensavo…»

Kovacs scosse il capo:

«Legna e carbone sono gli unici combustibili esistenti. Dobbiamo usare quelli. Inoltre, ci si ferma in moltissimi posti, lungo il fiume, e molte persone salgono a bordo, e la prima cosa che vogliono vedere è il motore. Lo riconoscerebbero in pochi secondi, se fosse differente dai soliti. E se si guastasse? Cosa fareste, mandereste a prendere i pezzi mancanti fino a Bartorstown?»

«Già,» disse Esaù. «Già, penso che abbiate ragione.» Era visibilmente deluso. Kovacs se ne andò. Esaù finì di togliersi la camicia, prese una pala, e si mise al lavoro, accanto a Len. Alimentarono il fuoco, mentre Charlie si occupava dello sfiatatoio, e teneva d’occhio la valvola di sicurezza. Il tonfo del pistone si fece sempre più veloce, e la barca acquistò velocità, seguendo la corrente. Finalmente Charlie disse loro di riposarsi per un momento, e si fermarono, appoggiati alle pale, coperti di sudore e rossi in viso. Ed Esaù disse:

«Temo che Bartorstown sia molto diversa da come l’avevamo immaginata.»

«Come tutto il resto, immagino,» disse Len.

Passò un tempo infinitamente lungo prima che un uomo scendesse a dire che la corsa era finita, e che Len ed Esaù potevano sospendere il loro lavoro. I due si arrampicarono sul ponte, e Len sentì l’urto sulla barca, mentre il mozzo della ruota veniva invertito. Non era la prima volta che questo accadeva, durante la notte, e Len pensò che Kovacs doveva avere, o essere egli stesso, il diavolo come pilota.

Si appoggiò alla parete della cabina, rabbrividendo nella fresca aria notturna. Era l’ora pigra e oscura nella quale la luna aveva già lasciato il cielo, e il sole non era ancora salito a darle il cambio. La riva era una bassa macchia nera, con una cornice di nebbia fluttuante nel buio. Davanti sembrava curvarsi, come una parete solida, come se il fiume terminasse là, e tra un momento la barca si sarebbe scontrata con quella parete invalicabile. Len sbadigliò, e ascoltò il concerto delle rane. La barca girò, seguendo la curva del fiume. Nell’ansa della curva c’era un villaggio, e le forme quadrate delle case s’intravvedevano appena. Vicino alla punta ardevano due luci rosse, apparentemente sospese nell’aria, a mezza altezza.

A prua venne mostrata una lanterna, e coperta tre volte in rapida successione. Da un punto molto in basso, a livello delle acque, giunse la risposta, una serie di brevi lampi di luce. Conoscendone l’esistenza, Len poté scorgere vagamente una canoa con un uomo a bordo, e poi, improvvisamente, la vasta, spettrale forma di una draga parve balzare contro di lui dalle tenebre. Scivolò oltre, una massa scheletrica simile a una casa diroccata posata su di una piattaforma bassa, massiccia, dai grandi contrappesi di ferro. Poi fu dietro di loro, e Len osservò le luci rosse di posizione. Per molto tempo non parvero muoversi, e poi gli parve che si spostassero un poco, e poi un poco di più, e alla fine con una lentezza inesorabile e massiccia descrissero un lungo arco verso la riva opposta e si fermarono, e il rumore risuonò nel fiume silenzioso un attimo dopo.

Esaù disse:

«Saranno fortunati, se riusciranno a tirarla fuori di là prima di ventiquattro ore.»

Len annuì. Ora sentiva allentarsi la tensione, o forse questa sensazione era dovuta al fatto che per la prima volta, dopo molte settimane, si sentiva al sicuro. Ora gli uomini di Refuge non potevano seguirlo, e gli avvertimenti che avrebbero potuto mandare lungo il fiume sarebbero arrivati troppo tardi per fermarli.

«Ora penso di riposare un poco,» disse, e andò nella cabina. Amity era sempre addormentata, dietro la tenda che la riparava. Len scelse la cuccetta più lontana da quella della giovane donna, e si addormentò quasi immediatamente. L’ultimo pensiero che balenò nella sua mente fu quello di Esaù che diventava padre, e non pareva una cosa giusta o possibile, in un certo senso. Poi il volto di Watts s’intrufolò nei suoi pensieri, e si sollevò intorno un tremendo odore di umidità, e di pesce. Len si sentiva soffocare, e piangeva, e poi l’oscurità scese in dense volute sopra di lui, immobile e silenziosa e profonda.

16.

Attraversarono il canale il mattino dopo, insieme a una lunga processione di zattere, rimorchiatori, barche a vapore, chiatte, che scendevano con la corrente fino al golfo, grandi barche di mercanti che sembravano i carri che percorrevano le vie polverose di terraferma, andando in piccoli paesi solitari serviti soltanto dalle strade d’acqua. Fu una lenta avanzata, quella, anche se Kovacs disse che Rosen li faceva passare attraverso le chiuse con una rapidità superiore al normale, e c’era molto tempo da trascorrere seduti, a guardarsi intorno, con le mani in mano. Il sole era spuntato in un mare di nebbia. La nebbia si era diradata, ora, ma il caldo era cambiato, non era più il caldo asciutto e limpido del giorno prima. C’era foschia, l’aria era afosa e pesante, e bastava il minimo movimento per coprire il corpo di sudore. Kovacs fiutò l’aria, e disse che minacciava tempesta.

«Verso la metà del pomeriggio,» disse Hostetter, osservando il cielo con occhi socchiusi.

«Già,» disse Kovacs. «Sarà meglio trovare un ormeggio sicuro.»

Se ne andò, intento a dirigere i lavori sulla sua barca. Hostetter era seduto sul ponte, nell’ombra sottile e precaria offerta dalla tettoia della cabina, e Len sedeva accanto a lui. Amity era ritornata nella sua cuccetta, ed Esaù era con lei. Di quando in quando, Len riusciva a sentire il mormorio delle loro voci, attraverso le finestrelle lunghe e strette, ma non si riusciva a cogliere neppure una parola.

Hostetter seguì con lo sguardo Kovacs, con una certa invidia, e poi abbassò lo sguardo sulle proprie mani, grandi e callose, mani che avevano stretto per tutta la vita le redini dei cavalli.

«Mi mancano molto,» disse.

«Che cosa?» domandò Len, che era immerso nei suoi pensieri.

«I miei cavalli. Il carro. Mi sembra strano, dopo tanti anni, restarmene qui seduto, senza fare niente. Non sono sicuro che mi piacerà.»

«Credevo che foste contento di tornare a casa.»

«Sì, infatti. Ed era tempo, davvero, perché ancora ci sono molti dei miei vecchi amici. Ma questa faccenda di condurre due vite ha degli inconvenienti, delle trappole nelle quali è facile cadere. Sono stato via da Bartorstown per quasi trent’anni, ormai, e in tutto quel tempo ci sono tornato soltanto una volta. Dei posti come Piper’s Run sono casa mia, adesso, quasi quanto il posto dove sono nato. Sai, quando ho annunciato, l’estate scorsa, che mi ritiravo dal lavoro attivo, a Piper’s Run mi hanno chiesto di stabilirmi tra loro… e vuoi sapere una cosa? Ho provato la tentazione di accettare.»

Rimase pensieroso, guardando gli uomini al lavoro sul ponte e intorno alle chiuse senza realmente vederli.

«Suppongo che ritornerà tutto come prima, per me,» disse. «Dopotutto, il posto dove si è nati e cresciuti è uno solo… eppure mi sembrerà strano, dover ricominciare a radermi la barba. E porto questi vestiti da tanto tempo…»

L’acqua usciva gorgogliando dalla chiusa, e la barca affondava lentamente, tanto che si doveva sollevare il capo per vedere la sommità dell’argine. Il sole batteva implacabile, e non c’era un soffio di vento ad alleviare la calura, in quella sacca chiusa. Len socchiuse gli occhi, e tirò indietro i piedi, perché erano al sole e bruciavano.

«Chi siete, voi?» domandò.

Hostetter si voltò a fissarlo.

«Un mercante.»

«Voglio dire… chi siete davvero. Cosa fare a Bartorstown.»

«Il mercante.»

Len corrugò la fronte.

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