«No, se me ne accorgerò prima,» disse Len.
Hostetter ridacchiò di nuovo.
La barca tesseva la sua via verso la foce del Piatte. Len lavorava, e mangiava, e dormiva, e negli intervalli tra queste cose, rifletteva. Gli era stato tolto qualcosa, e pensandoci riuscì a comprendere di che cosa si trattava, e perché questo l’avrebbe reso infelice. Gli avevano tolto l’immagine di Bartorstown che aveva portato con sé, la visione che lo aveva seguito per tutta la lunga strada percorsa dopo avere lasciato la propria casa. Ormai quella magica visione era scomparsa, e al suo posto c’era soltanto una piccola raccolta di fatti e una vuota attesa che doveva essere colmata. Bartorstown… un’installazione militare di prima della guerra, segretissima, destinata a qualche misteriosa ricerca, il cui nome veniva da Henry Waltham Bartor, il Segretario alla Difesa che l’aveva fatta costruire… stava sostenendo una dolorosa trasformazione dalla morte alla realtà. La realtà doveva ancora venire, e nel frattempo non c’era niente, e Len sentiva confusamente che qualcosa era scomparso, e gli pareva che qualcuno fosse morto, qualche persona a lui cara. E infatti qualcuno era morto: la nonna, certo, e le due cose erano così strettamente intrecciate, nella sua mente, che non poteva fare a meno di pensare a Bartorstown senza pensare anche alla nonna, ricordando le cose che aveva detto, cose proibite, autentiche sfide, che avevano reso furioso papà. Si domandò se lei non avesse saputo che lui stava andando là. Se lo augurava. Sarebbe stata contenta.
Una sera ormeggiarono la barca a una bassa banchina in mezzo al nulla, dove non si vedeva nulla, salvo l’erba della prateria e il cielo senza fine, e non si udiva alcun suono, salvo quello del vento mai stanco di soffiare, e l’incessante scorrere del fiume. Al mattino, cominciarono a scaricare, e verso mezzogiorno Len si fermò un momento per riprendere fiato, e asciugarsi il sudore. E allora vide una colonna di polvere in lontananza, nella prateria, che veniva verso il fiume.
Hostetter annuì.
«Sono i nostri uomini, che portano i carri. Da qui devieremo per raggiungere la valle del Piatte, e raccoglieremo il resto della compagnia in un punto vicino a South Fork.»
«E poi?» domandò Len, provando un fremito della vecchia eccitazione.
«E poi percorreremo l’ultimo tratto.»
Poche ore dopo arrivarono i carri, otto grandi carri massicci, costruiti per il trasporto delle merci, e tirati da muli. Gli uomini che li conducevano erano bruni e asciutti, e, quando si toglievano i cappelli, si vedeva che la parte superiore della fronte era bianca, e c’era una rete di piccole rughe bianche attorno agli occhi, prodotte dallo strizzare degli occhi al sole. Salutarono Kovacs e i barcaioli come vecchi amici, e strinsero la mano a Hostetter con calore, come per dargli il bentornato a casa. Poi uno di loro, un vecchio dallo sguardo penetrante e dalle spalle enormi, che parevano in grado di reggere da sole il peso di un carro, se i muli si fossero stancati, guardò socchiudendo gli occhi Len ed Esaù, e disse a Hostetter:
«Così sono questi i vostri ragazzi.»
Il vecchio li osservò ancora, squadrandoli ben bene.
«Mio figlio era nelle regioni dell’Ohio due o tre anni fa. Be’, mi ha raccontato che non si parlava d’altro che dei ragazzi di Hostetter. Dov’erano, e cosa facevano, e bisognava avvertirlo subito se andavano da qualche parte, e così via. Una bella storia.»
«Mi sembrano delle esagerazioni,» disse Hostetter. Il suo volto era rosso come un mattone, ora. «E poi, due ragazzi che conosco da quando sono nati, in fondo…»
Il vecchio terminò il suo esame, e si fermò davanti a Len e a Esaù. Con grande solennità, porse loro la mano, che pareva un antico ramo di quercia nodosa, e scambiò con loro una lunga stretta.
«I ragazzi di Hostetter,» disse. «Sono contento che siate arrivati qui, prima che il mio vecchio amico Ed si prendesse un grosso esaurimento nervoso.»
Se ne andò, ridendo. Hostetter sbuffò, e cominciò a portare casse e balle di stoffa sui carri, con evidente malagrazia. Len sogghignò, e Kovacs scoppiò in una tonante risata.
«Il fatto è che non stava scherzando,» disse Kovacs, indicando il vecchio con un cenno del capo. «Ed ha fatto lavorare tutte le radio di quella parte del paese, per seguirvi.»
«Be’, accidenti,» brontolò Hostetter, «Erano solo due ragazzi, voi che cosa avreste fatto al mio posto?»
Quella notte si accamparono vicino al fiume, e il giorno dopo caricarono i carri, con grande cura, sistemando ogni cosa al suo posto, e lasciando uno spazio libero per Amity, dove la giovane donna avrebbe potuto stare comoda, e dormire. Kovacs era diretto verso l’Alto Missouri, e poco dopo mezzogiorno mise la caldaia in pressione, e ripartì a tutto vapore. I muli vennero radunati da due o tre uomini, che cavalcavano piccoli cavalli nervosi di un tipo che Len non aveva mai visto. Len aiutò gli uomini a mettere i finimenti alle bestie, e poi prese posto su uno dei carri. Le lunghe fruste schioccarono, e i conducenti urlarono. I muli si mossero, e i carri rotolarono lenti sull’erba della prateria, con un grande cigolio e una stridula protesta degli assali. Verso sera, attraverso quella terra piatta, Len poté ancora vedere la barca che risaliva il corso del fiume. Al mattino era ancora là, ma più lontana, e nel corso della giornata egli non la vide più. E la prateria divenne immensa e solitaria.
Il Piatte scorreva vasto e poco profondo tra colline di sabbia. Il sole era implacabile sulle loro teste, e il vento soffiava incessantemente, e la landa pianeggiante pareva distendersi all’infinito. Len ricordava l’Ohio con infinita nostalgia. Ma dopo qualche tempo, quando cominciò ad abituarsi a quello scenario strano, cominciò ad accorgersi dell’esistenza di un intero nuovo mondo nella prateria, di un modo di vivere che non era brutto, quando ci si riusciva a liberare dalle catene dell’abitudine che parlavano di colline e valli, di laghi e boschi ondulati, di pioggia e di aratura e di semina. Gli arbusti polverosi che crescevano sulle rive dei fiumi diventarono ai suoi occhi belli come querce secolari, e le fattorie che sorgevano, quasi tenendosi aggrappate al fiume, erano una visione più desiderabile dei villaggi della sua terra, perché erano molto più rare e separate tra loro. Le fattorie erano primitive, battute dal sole, ma erano abbastanza comode, e Len trovò simpatica la gente, le donne brune e forti e gli uomini che parevano perdere una parte di se stessi quando si separavano dai loro cavalli. Al di là delle colline sabbiose si stendeva la prateria, e sulla prateria c’erano immensi armenti selvaggi, e branchi di cavalli selvaggi, le risorse che permettevano a quei cacciatori e a quei mercanti di vivere e guadagnare bene. Hostetter disse che gli animali selvaggi erano i discendenti degli animali delle grandi fattorie-modello di prima della guerra, che erano stati liberati nel totale sommovimento che era avvenuto dopo l’abbandono delle città, e il conseguente crollo del vecchio sistema di rifornimento e di richiesta.
«I loro pascoli giungono fino al Messico,» disse, «E ormai non c’è più un confine, da quella parte. I vecchi agricoltori delle terre aride se ne sono andati da molto tempo. Per qualche generazione, ormai, nessun aratro ha scalfito le pianure, e l’erba sta ritornando, perfino nei peggiori deserti creati dall’uomo, come aveva stabilito il buon Dio.» Respirò profondamente, e il suo sguardo spaziò fino all’orizzonte. «C’è qualcosa di significativo, vero, Len? Voglio dire, in un certo senso l’Est è chiuso, pieno di colline e di boschi, e dall’altro lato di una valle fluviale, come difeso dal resto della terra.»
«Non riuscirete a farmi dire che l’Est non mi piace,» disse Len. «Ma comincia a piacermi anche questo posto. È così grande e così vuoto, che non riesco a soffocare l’impressione di poter precipitare da un momento all’altro.»
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