Keller se n’era andato. La cosa peggiore era che entrambi l’accettavano come una soluzione scontata. Lui non poteva più sopportare la sua presenza, sapendo ciò che aveva visto. Era logico e inevitabile.
Ma lei sentiva la sua mancanza più di quanto avesse immaginato.
Era buffo, a pensarci. La vita cambiava con grande rapidità. Per un certo periodo di tempo lei non aveva avuto dubbi su ciò che desiderava. La pietra dei sogni le avrebbe svelato il mistero, aprendo una porta nel suo passato. Ma il proverbio sui desideri esauditi aveva ragione. Con ogni probabilità, lei ora ne sapeva di più sugli Esotici di qualunque studioso che non fosse legato al governo. Conosceva le loro origini e la loro storia. Era tutto molto vivido nella sua mente. Eppure, in loro c’era ancora qualcosa di fondamentalmente alieno, una dissonanza profonda tra il loro mondo e la Terra. Teresa l’avvertiva come un morso di amarezza, come un silenzio cupo là dove avrebbero dovuto sentirsi delle voci.
Il mistero del proprio passato era altrettanto inquietante. La bambina era lei, naturalmente. La bambina era Teresa, prima dell’incendio. Questo ormai lo sapeva, ma sapere non era abbastanza. La memoria le restituiva il ricordo di una vecchia ferita. Ma ciò che lei desiderava era la cicatrizzazione. Purtroppo, gli oneiroliti non potevano aiutarla. L’aiutavano a ricordare, ma la guarigione dipendeva da lei. Era un atto di riconciliazione con se stessa che Teresa non riusciva nemmeno a immaginare.
Forse si trattava di un’illusione. Forse il passato rimaneva sempre tale e quale. Beffardo, distaccato, inamovibile. Un interlocutore impossibile.
Si diresse a nord, in quartieri che le erano sconosciuti. Non aveva una meta. Le bastava camminare, seguendo i propri piedi, come diceva Rosita. I piedi la condussero su altri ponti mobili e altri canali. Teresa non badò alle voci intorno a lei, che parlavano spagnolo e poi inglese. Rifletté ancora sui desideri e sulle conseguenze del loro esaudirsi. Lei aveva desiderato la pietra, e aveva trovato Keller. Ora che desiderava Keller, la pietra glielo aveva tolto per sempre.
Era stato il passato ad allontanarlo.
— Mi dispiace, Ray.
Rimase imbarazzata, scoprendo di aver parlato ad alta voce. Ma solo i gabbiani potevano sentirla.
All’improvviso arrivò in un punto che destò tutti i suoi ricordi. Soppresse il senso di familiarità, ma il suo cuore batteva più forte. Non era lì per caso. Erano stati i piedi a indicarle la direzione. Piedi saggi. Meglio non fermarsi troppo a riflettere.
La baracca non era cambiata molto. C’era lo stesso recinto dall’aria lugubre, la stessa pompa di sentina che versava acqua oleosa nel canale di scolo. Lei discese la vecchia rampa di scale, si fermò davanti alla porta e bussò, con il cuore in gola.
Il vecchio delle guance incavate era ancora più vecchio e ossuto. Lei si sorprese che la riconoscesse. I suoi occhi si socchiusero, divertiti, nella cornice scura della porta. — Oh, sei tu — disse.
Teneva ancora le pillole nel retro.
Esisteva forse la possibilità di vendere la pietra. Byron non era in condizione di farne delle copie, dato che non osava arrischiare nemmeno una visita nel suo vecchio laboratorio. Avevano solo quella, e lui non era ben sicuro che Teresa avrebbe accettato di separarsene… ma quello era un problema che potevano discutere più tardi. Per il momento, avevano bisogno di soldi.
Noleggiò una barca e girò fino a trovare una cabina telefonica funzionante. Il numero che compose era riservato, e non si sorprese di sentire che non prendeva la linea. Si udì un silenzio sinistro, poi un trillo elettronico e infine un messaggio pseudorassicurante. IL NUMERO CHE AVETE COMPOSTO È FUORI SERVIZIO. RIMANETE IN LINEA E LA VOSTRA CHIAMATA SARÀ CORRETTAMENTE INOLTRATA.
Sì, all’Organizzazione!, pensò Byron amareggiato. Schiacciò il tasto per l’annullamento e balzò a bordo della sua barca a noleggio. Pochi secondi più tardi era già svanito nel traffico.
In una seconda cabina, nel cuore della zona industriale, fece un’altra chiamata, questa volta nei confini della Città Galleggiante. Parlò con un suo amico artista, un certo Montoya, e gli chiese come mai la linea video-ottica dell’istituto di Cruz Wexler a Carmel fosse stata disattivata.
Montoya sgranò gli occhi. — Forse non è stata una buona idea chiamarlo. Sei appena tornato in città? L’Organizzazione ha attaccato Wexler qualche settimana fa. L’istituto è chiuso e tutto il materiale è stato requisito.
Byron valutò l’informazione. Doveva essere successo subito dopo la loro partenza per il Brasile. E non era una coincidenza.
— Hanno fatto irruzione anche in alcune basi della Città Galleggiante — continuò Montoya. — Un brutto momento. C’era della brava gente lassù a Carmel quando l’azione è iniziata. — Scrollò la testa.
— Wexler l’hanno preso?
Montoya socchiuse gli occhi e si passò la lingua sulle labbra.
— Non è che non mi fidi di te, chiaro? Ma qualcuno potrebbe averti chiesto di domandarlo.
Byron afferrò l’obiettivo della telecamera e fece forza per orientarlo prima a destra e poi a sinistra, ruotandolo sul suo perno arrugginito. — Vedi qualcuno?
— Chiedilo a Cat — disse Montoya, e interruppe la comunicazione.
"Cat" Katsuma era un’abitante della Città della seconda generazione, molto graziosa e minuta, che eseguiva dipinti su cristallo per le gallerie in terraferma. Conosceva Byron e Teresa da anni, e si dimostro felice di rivederlo. — Avevo sentito delle brutte voci — confessò. — Sono felice di sapere che stai bene.
— Non posso lamentarmi — replicò Byron. — Dimmi di Wexler.
— Devi proprio parlare di lui?
— Vorrei chiarire alcune cose. — Purtroppo la speranza di ottenere del denaro sembrava ormai svanita.
— Bene. Incontriamoci nel pomeriggio, allora. — Cat nominò un caffè vicino alla diga, a sud delle fabbriche.
Lui pensò che Wexler gli dovesse, come minimo, una spiegazione.
Mentre dirigeva la barca, a sud, riesaminò mentalmente tutto ciò che sapeva di Cruz Wexler.
Molti particolari erano di dominio pubblico. Wexler era, o era stato, una celebrità. Durante gli anni della guerra, gli oneiroliti di cristallo avevano cominciato a circolare sul mercato sotterraneo della droga. Avevano goduto di un momento di grande popolarità quando la curiosità generale aveva raggiunto il massimo. Wexler aveva tenuto una cattedra di Dinamica Caotica, ma era stato liquidato dopo la pubblicazione di alcuni articoli in cui definiva le pietre "manna psichica proveniente da una civiltà più antica e più sana". Perse la cattedra, ma in compenso guadagnò dei proseliti. Per alcuni anni era stato una figura di spicco nei circoli bohémien della Città Galleggiante, dove aveva anche delle proprietà. Ma la notorietà decrebbe e Wexler finì per ritirarsi nel suo istituto di Carmel, a lottare contro un enfisema progressivo e assumendo il ruolo di saggio per i seguaci più ostinati e fedeli. Aveva ancora un seguito tra gli artisti della Città che traevano la loro ispirazione dalle pietre. Tutti, di tanto in tanto, facevano un viaggio a Carmel per attingere alle sue presunte illuminazioni. Byron pensava che in gran parte fossero panzane. Ma era Wexler che gli aveva fornito le basi per il suo laboratorio e solo lui, probabilmente, era in grado di dare un senso al disastro di Pau Seco.
Ancorò la barca a un parcheggio dietro le rovine di un impianto di demolizione e raggiunse a piedi il bar che Cat gli aveva indicato. Era un quartiere abbastanza particolare. Non che fosse proprio brutto, ma risentiva dell’influsso dei bassifondi che si stendevano a sud. Riconobbe Cat, seduta a un grande tavolo con vista sul canale, all’interno del perimetro tracciato da una catena. C’era qualcuno con lei: un uomo con un berretto della Marina calcato sulle orecchie e la barba lunga di due giorni. Per Byron non fu difficile riconoscere Wexler. Ordinò una birra, sentendosi piuttosto nervoso, e si diresse al loro tavolo.
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