Usava un tono di voce suadente, insinuante. Le pose una mano sulla guancia come una carezza, e la lasciò lì.
«Sì, tu e la tua rete di sabotatori. Avete lavorato contro di me per tutto questo tempo, probabilmente in combutta con Horner. Perché voi odiate i mutanti. E avete corrotto giovani come Canay, insegnando anche a loro a odiarci.»
«Odiare?» ripeté Andie con voce già incerta. «Chi?»
Jeffers tagliò corto. «Stasera chiamerai Cable News e renderai piena confessione, ammettendo le tue colpe.»
«Le mie colpe.» Le parole di Jeffers incominciavano a riecheggiarle ossessive nella mente. Avrebbe voluto controbattere, ma si sentiva la lingua spessa, impastata. E i pensieri confusi. Le sue colpe. Sì, le sue colpe. Chiuse gli occhi.
Cento, novantanove, novantotto, novantasette, novantasei…
Una possente cacofonia esplose nel cervello di Andie: voci, centinaia di voci che intonavano monotone una serie di numeri. E la voce di Jeffers, che sbraitava nel tentativo di soverchiare il prorompente coro. Senza riuscirci.
Ottantasei, ottantacinque…
Sentì che Jeffers allentava la presa, ma continuò a tenere gli occhi chiusi.
Sessantadue, sessantuno…
Il coro si ridusse a un sussurro, poi tacque.
Andie riaprì gli occhi.
Jeffers giaceva scompostamente a terra, privo di sensi.
Mi venisse un accidente, pensò Andie. Ha funzionato. La ridicola difesa mentale di Skerry ha funzionato!
Si alzò in piedi con gran cautela. La stanza le roteava attorno. Aggirò barcollando il corpo di Jeffers e imboccò malferma il corridoio, fermandosi solamente a recuperare il videotaccuino. Sentiva l’equilibrio migliorarle a ogni passo. Quando giunse alle scale, già correva.
Schizzò fuori dal portone principale, scavalcò una siepe, mise un piede in una pozza d’acqua semighiacciata e superò d’un balzo un’altra fila di cespugli, ritrovandosi in una stradina.
Nessuna traccia di inseguitori.
Corse per cinque lunghi minuti, ansimando a ogni passo. Finalmente, coi polmoni che le bruciavano sotto l’impatto dell’aria gelida, rallentò l’andatura.
Le ci volle un attimo a ritrovare in borsa l’olocarta, e un altro istante ad aprire il videotaccuino. Digitò il numero con mano tremante.
Apparve sullo schermo una gaia ragazza dalle gote rosse.
«FBI, divisione Crimini Speciali.»
Andie trasse un profondo respiro.
«Rayma Esteron», disse. «E in fretta. È urgente.»
Ben Canay venne arrestato quello stesso pomeriggio. Ma con Stephen Jeffers non fu così facile. Non ritornò in ufficio e non rispose al numero di casa. Quando gli uomini dell’FBI fecero irruzione nella sua villetta la trovarono vuota. Terminale e schedario non c’erano più. Il senatore mutante era scomparso senza lasciare traccia.
Ci volle una settimana prima che l’FBI togliesse i sigilli all’ufficio, consentendo ad Andie di tornare al lavoro. Quando aprì la porta, rimase inorridita. Le stanze interne erano un vero macello. Sedie rovesciate. Cassetti strappati dalle scrivanie. Fogli di carta, memocassette e dischi sparpagliati dappertutto. Prima che l’FBI intervenisse, Ben Canay aveva fatto in tempo a lasciarsi dietro una scia di distruzione. E nessuno, evidentemente, si era preso la briga di rimettere un po’ in ordine.
Andie esitò, immobile in mezzo a quel caos. Da qualche parte, nella confusione, ronzava un terminale. Lo ignorò.
Il suo monitor personale giaceva divelto e fracassato.
Meno male che quando sono venuti ad arrestarlo io non c’ero, pensò. Canay l’aveva preso con estremo impegno, il compito di eliminare ogni possibile prova… L’idea di chiamare il terminale di Karim si era davvero rivelata provvidenziale.
Rumore di passi. Andie si volse a fronteggiare l’intruso. Fermo sulla soglia, Skerry contemplò la catastrofica baraonda.
«Proprio un bel casino», commentò. «Dev’esserci passato l’uragano Andie, da queste parti.»
Mani appuntate sui fianchi, lei lo squadrò con finta severità.
«Dovevo immaginarmelo, che una volta finita l’agitazione ti saresti fatto vivo!»
Sciorinando un sorriso, Skerry l’avviluppò in un abbraccio da orso che la lasciò senza fiato.
«Ehi, vacci piano!» boccheggiò lei. «Ancora non mi sono ripresa dalla mia corsetta per le avventurose strade del Maryland…»
«Ce l’hai fatta, tesoruccio! Hai incastrato il vecchio Jeffers!» esclamò Skerry in tono esultante. Suo malgrado, Andie gli restituì l’abbraccio.
«Be’, tutto merito di corodif. Skerry, il tuo innesto ha funzionato davvero! Non fosse stato per quello, ora come ora sarei uno zombi ipnotizzato, ospite delle carceri federali, reo confesso di avere organizzato l’assassinio della senatrice Jacobsen. Jeffers voleva farmi il lavaggio del cervello.»
Il barbuto giovanotto mutante annuì con soddisfazione.
«Lo sapevo che era un tipaccio. Si sa niente di ufficiale su che fine abbia fatto?»
« Cable News riferisce di avvistamenti a Panama, a Seul, nelle isole Fiji, a Base Luna e a piace Pigalle… Secondo me dovrebbero cercarlo a San Paolo. O dentro il Potomac.»
Skerry si appoggiò a una scrivania rovesciata. «E adesso che cosa farai?»
Andie si strinse nelle spalle. «Testimonierò nel processo contro Canay. Poi mi hanno chiesto di collaborare con l’FBI nelle indagini sulle attività illegali di Jeffers. Gli hanno sequestrato la casa. Ma lui ovviamente si è portato via soldi e documenti.»
«Lo troveranno», fece Skerry con espressione truce. «E se non lo trovano loro, lo troveremo noi.»
«Lo spero proprio.» Andie rabbrividì. «Credo che non mi sentirò tranquilla finché non lo avranno arrestato.»
«Be’, hai sempre il tuo corodif a proteggerti», le ricordò Skerry. «E se hai bisogno di me, basta che ti metta in contatto con Halden.»
«Dopo quello che ho fatto, nessun mutante vorrà nemmeno più guardarmi in faccia.»
Negli occhi di Skerry trascorse un lampo. «I mutanti provvisti di un minimo di buon senso sanno perfettamente che ci hai tolti da un bel pasticcio. Gli stupidi si leccheranno le ferite e brontoleranno per la perdita del loro campione. Ce n’è di quelli, probabilmente non molti, ai quali i progetti di Jeffers andavano bene. Ma di loro non devi preoccuparti.» La carezzò dolcemente sul viso. «Stammi bene, rosellina. Ci sentiamo presto.»
Andie tese una mano e strinse la zampaccia di Skerry, ma le sue dita si richiusero sul vuoto. Se n’era andato.
Ciao, pensò, inafferrabile amico. E adesso coraggio, chiamiamo il servizio manutenzione e procuriamoci qualche robofac per dare una rassettata a questo sfacelo. Avanzando con cautela sui rottami scricchiolanti, andò a raccattare una videoborsa miracolosamente indenne. Una breve digitazione le bastò a programmare pulizie e riparazioni per l’intero ufficio. Ci volle il resto del pomeriggio per rimettere tutto a posto.
Elegante nella sua tuta blumarino, Kelly McLeod uscì da una boutique del quartiere Poggio Ciliegio di Denver. Un’occhiata all’orologio. Entro venti minuti doveva trovarsi di nuovo in pista per l’addestramento al volo. Dov’era l’ingresso del metrò? Un rapido sguardo attorno. Niente.
Distratta, andò a urtare contro una ragazza che si affrettava in senso opposto.
«Mi scusi», le disse. Poi esitò. La giovane donna dai lineamenti caucasico-orientali aveva un aspetto vagamente familiare.
«Melanie?…»
La ragazza si tolse gli occhiali da sole, rivolgendo su Kelly un paio di iridi azzurro vivo.
«Come?» replicò in tono perplesso.
«Oh, scusi», si corresse Kelly. «L’avevo scambiata per una persona di mia conoscenza… Potrebbe indicarmi, per favore, la stazione del metrò?»
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