Arrivò Canay vispo e baldanzoso. Nel vederla le fece un gran sorriso.
«Buon giorno! Mattiniera, eh?»
Andie si sforzò di ricambiare il sorriso. «Dev’essere che non riesco a star lontana dall’ufficio.»
Si risvegliò, insistente, l’avvisatore del terminale. Una chiamata di Jeffers, seduto all’interno del suo libratore.
«Andie, grazie a Dio ti ho trovata. Prima ho provato da te, ma non c’eri.»
«Stephen, è successo qualcosa?»
«Ho dimenticato a casa una della mie videoborse, e alle otto in punto ho una colazione di lavoro. Potresti mandare un fattorino a prenderla?»
Un’ispirazione repentina le attraversò il cervello con la forza di un cortocircuito.
«Non mi fido, dei fattorini», rispose. «Potrei fare una corsa io, a prenderla. Tanto ho una mattina poco impegnativa.»
Sul viso di Jeffers si allargò un sorriso di sollievo. «Davvero non ti scoccia?»
«Anzi, lo faccio volentieri.»
«È sul tavolino dell’ingresso, proprio vicino alla porta. Trasmetterò alla serratura di lasciarti entrare.»
«Perfetto.»
«Andie, non so come ringraziarti.» Le fece l’occhiolino e chiuse la comunicazione.
La corsa in taxi fino al lussuoso quartiere di Jeffers richiese un quarto d’ora. Il paesaggio mutò rapidamente dalla marmorea nobiltà degli edifici governativi all’armoniosa eleganza di abitazioni suburbane, inserite in una cornice di fitte macchie arboree e curatissimi giardini. Una zona pittoresca persino in inverno, pensò Andie.
Mentre scendeva davanti alla villetta di Jeffers, un pallido sole riuscì finalmente ad aprirsi un varco fra le brume del mattino. Andie poggiò il palmo della mano sull’apertura romboidale dell’analizzatore. La serratura rispose con uno scatto, consentendole di entrare.
Il vestibolo riceveva abbondante luce da opalini pannelli color avorio. La videovaligetta di Jeffers era esattamente dove aveva detto lui: stava infatti poggiata sopra un lucido tavolino a parete accanto alla porta.
Andie non era mai stata in casa di Jeffers. Afferrata la videoval, risalì guardinga alcuni scalini ricoperti di moquette verdescuro sbucando in un’ampio, soleggiato ambiente rivestito con pannelli in tek. Da sinistra si dipartiva un lungo corridoio. La prima stanza in cui giunse conteneva un terminale a scrivania, uno schedario magnetico, un idrodivano grigio. Mise giù la videoborsa e fissò il monitor.
Ho assolutamente bisogno di sapere, si disse.
A mo’ di prova, batté sulla tastiera un codice qualsiasi.
Lo schermo rimase vuoto.
Neppure il codice del terminale dell’ufficio diede alcun esito.
Continuò a osservare il video. Jeffers aveva programmato la serratura in modo da lasciarla entrare. Come fare per convincere il terminale a usarle la medesima cortesia? Occhieggiò il sensore palmare a lato della tastiera.
E se tutti gli aggeggi elettronici di casa fossero stati serviti dallo stesso circuito di protezione? Poteva darsi che Jeffers, non volendo, le avesse dato accesso anche al terminale… Poggiò il palmo sulla nicchia. Lo schermo si accese immediatamente.
Andie percorse l’interminabile elenco di file. Da dove incominciare?
Il suo sguardo fu attratto dalla dicitura «JACOBSEN». Provò a selezionarla. Apparve una tabella contabile, che riportava cifre relative a somme di denaro per A.T.
«Chiarire A.T.», ordinò Andie.
«Arnold Tamlin», sciorinò obbediente lo schermo. «Vedi file MARZO.»
Tamlin?
Le mani di Andie incominciarono a tremare.
Aprì il file. Conteneva una serie di istruzioni a Tamlin, formulate da Ben Canay e corrette da Jeffers.
Dio mio, pensò Andie, ma allora è stato Jeffers a organizzare l’assassinio di Eleanor!
Le si piegarono le gambe, e dovette lasciarsi cadere di schianto nella poltroncina della scrivania.
No. Non ci posso credere.
Si nascose il volto fra le mani.
E adesso?
Potrei andarmene, si disse. Far finta di non sapere nulla.
No.
Tornò a fronteggiare lo schermo.
Non posso andarmene proprio ora, pensò. Devo scoprire fino a che punto, fino a che punto… Trasse un respiro profondo, e tornò a esaminare il lunghissimo elenco.
Un’ora dopo aveva individuato tre fogli contabili che dimostravano, senz’ombra di dubbio, dove fossero andati a finire tutti quei soldi.
In Brasile. In cliniche mediche di Rio de Janeiro e dintorni.
Le ricerche sul supermutante, pensava Andie. Anche di quello, era responsabile. Provava un’isterica, insopprimibile voglia di scoppiare a ridere, ma l’unico suono che le uscì di gola fu un singhiozzo, fievole e acuto.
Mi serve una copia di questo materiale, si disse. Ma poi, dove la nascondo? Il mio terminale d’ufficio è troppo accessibile. E anche quello di casa potrebbe essere facilmente violato.
Le tornò in mente per un attimo il Brasile. L’eleganza delle palme svettanti. La bellezza e la simpatia della gente. Karim.
Karim!
Ricordava ancora il suo numero privato… Poteva trasmettere tutto al terminale di casa sua! Anche se lei non avesse avuto subito modo di contattarlo personalmente, Karim, ritrovandosi quel materiale, non l’avrebbe certo cancellato senza prima consultarla.
Con un sospiro di sollievo mise in collegamento i due terminali e inoltrò la documentazione incriminata, cancellando poi immediatamente il codice di trasmissione. Infine si abbandonò nella poltroncina.
«Cerchi qualcosa?» domandò una voce familiare.
Andie boccheggiò.
Disinvoltamente appoggiato alla porta c’era Jeffers. Non sorrideva.
Il cuore le martellava di terrore, ma Andie riuscì a mantenere calma la voce.
«Stephen, credevo che tu fossi all’appuntamento.» Con simulata indifferenza allungò una mano a spegnere lo schermo.
«L’appuntamento è stato cancellato. Non vedendoti tornare, Ben si è preoccupato e mi ha avvertito. Come hai fatto ad accedere al mio terminale?»
Andie alzò le spalle. «Quando sono arrivata l’ho trovato acceso. Forse te n’eri dimenticato.»
«Già, forse», disse Jeffers aggrondato. «Ma tu perché lo stavi usando?»
«Avevo bisogno di riprogrammare la mia robodomestica, e ho pensato che non ci fosse nulla di male a farlo col tuo terminale.»
«Non avevi portato il videotaccuino?»
«L’ho lasciato in ufficio», mentì ancora Andie, sapendo che la sua videoborsa se ne stava acquattata fuori vista dall’altra parte del divano.
«Be’, niente di male», concesse Jeffers.
La abbracciò, stringendosi provocante contro di lei.
«Dato che siamo qui, potrei anche offrirti un giro panoramico. Hai già visitato la camera da letto?»
Incominciò a sbaciucchiarle il collo. Lo stomaco di Andie si contrasse, sotto l’effetto di una singolare mistura di terrore, ripugnanza e desiderio. Lo respinse.
«Innanzitutto gradirei fare una visita in bagno», replicò. Sorridendo nervosamente corse in corridoio e si andò a rifugiare al gabinetto. Una volta che si fu chiusa dentro, rimase lì a guardarsi allo specchio contando una trentina di secondi. Poi ancora trenta.
Mica posso restare qui all’infinito, pensò. Forse mi converrebbe fingere un gran mal di testa e filarmela alla svelta.
Stai calma e muoviti, si disse.
Quando rientrò nello studio, trovò Jeffers seduto sul divano, col videotaccuino sulle ginocchia. La guardò nel modo in cui un gatto guarda un uccello posarglisi davanti.
«Non avevi detto di averlo lasciato in ufficio?» le domandò in tono pacato.
Andie si sentì sbiancare in volto. «Oh, be’, sì, mi pareva…»
«Non sforzarti di mentire, Andie. Ho appena controllato la memoria dello schermo. Per l’appunto ti sei scordata di cancellarla, e così ho trovato traccia degli ultimi file usati.»
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