Era risorto in qualche punto lungo il fiume, in mezzo a un gruppo costituito per il novanta per cento da inglesi e scozzesi del quattordicesimo secolo, e per il dieci per cento da antichi Sibariti. Le genti dall’altra parte del Fiume erano un miscuglio di mongoli dell’epoca di Kubla Khan e di popolazioni di pelle scura, che Greystock non aveva riconosciuto. La descrizione che ne diede si attagliava agli indiani d’America.
Il diciannovesimo giorno dopo la Resurrezione, i selvaggi dell’oltre-Fiume avevano attaccato. Evidentemente, erano spinti solo dalla voglia di una buona zuffa, e l’ebbero. Le loro armi erano in maggioranza bastoni e graal, perché in quella zona c’era poca selce. John de Greystock aveva messo fuori combattimento col suo graal dieci mongoli, e poi era stato colpito al capo con una pietra, e trafitto da una lancia di bambù con la punta indurita dal fuoco. Si era risvegliato accanto a quel fungo di pietra, nudo e con solo il suo graal, o comunque un graal.
L’altro uomo raccontò la sua storia con gesti e mimica. Stava pescando, quando all’amo aveva abboccato qualcosa di così forte che, con una strappata, l’aveva fatto cadere in acqua. Tornando a galla egli aveva battuto la testa contro il fondo della sua imbarcazione ed era annegato.
Il mistero di ciò che capitava a quelli che morivano nell’Aldilà aveva ora una soluzione. Perché poi non risorgessero nello stesso luogo in cui erano morti, era tutta un’altra faccenda.
La seconda novità di quel giorno fu che i graal, a mezzodì, non fornirono cibo. Nei cilindri, al suo posto, erano pigiati sei panni, di misure diverse e di svariati colori, sfumature, forme. Quattro erano evidentemente previsti per essere indossati come gonnellini. Si potevano assicurare intorno al corpo mediante piastrine magnetiche cucite all’interno del tessuto. Gli altri due erano fatti di un materiale più leggero, quasi trasparente, evidentemente erano fatti come corpetti, benché potessero essere usati per altri scopi. Malgrado i panni fossero morbidi e assorbenti, resistevano al trattamento più rude, e non si riusciva a tagliarli neanche col più affilato coltello di selce o di bambù.
Gli umani, trovando quelle «salviette», emisero un grido collettivo di gioia. Benché ormai uomini e donne si fossero abituati, o almeno rassegnati alla nudità, i più dotati di senso estetico e i meno adattabili giudicavano poco bella o addirittura disgustosa la generale esibizione di genitali umani. Ora avevano perizomi, reggiseni, turbanti. Questi ultimi furono usati per rivestire il cranio fino a quando i capelli fossero ricresciuti del tutto. Più tardi i turbanti divennero un copricapo abituale.
I peli stavano tornando ovunque, tranne che sul volto.
Burton ne era alquanto amareggiato: era sempre stato orgoglioso dei suoi baffi e della sua barba a due punte. Un giorno disse che si sentiva più nudo per la loro scomparsa che non per la mancanza di pantaloni. Wilfreda, ridendo, replicò: — Sono contenta che se ne siano andati. Ho sempre detestato il pelo sulla faccia di un uomo. Baciare un uomo con la barba mi dava la sensazione di ficcare il viso in un mucchio di molle da materasso, rotte.
Erano trascorsi sessanta giorni. L’imbarcazione era stata spinta attraverso la pianura su grossi rulli di bambù. Il giorno del varo era giunto. Lo Hadji era lungo una dozzina di metri, e aveva due scafi di bambù dalla prua appuntita, collegati da una piattaforma, un bompresso con un grande fiocco, un solo albero, con vele di taglio, formate da fibre intrecciate di bambù. Era governato da un grosso ramo ricavato da un tronco di pino, dal momento che non si poteva realizzare un vero e proprio timone a ruota. Per il momento, l’unico materiale da cui ricavare il sartiame era l’erba, ma fra poco avrebbero potuto confezionare delle funi con la pelle e gli intestini dei pesci più grandi che popolavano il Fiume. Una canoa, che Kazz aveva scavato in un tronco di pino, era assicurata a prua.
Prima del varo, Kazz sollevò delle difficoltà. Per il momento conosceva soltanto un inglese limitato e frammentario, e alcune imprecazioni in arabo, baluchi, swahili, italiano, tutte apprese da Burton.
— Bisogna… come dire?… wallah… che parola?… uccidere qualcuno prima di mettere barca su fiume… tu sapere… merda… occorre parola, Burton- naq … tu dare parola, Burton- naq … parola… uccidere uomo, se no dio, Kabburqanaqruebemss… dio di acqua… affondare barca… diventare arrabbiato… affogare noi… mangiare noi.
— Un sacrificio? — suggerì Burton.
— Molte maledette grazie, Burton- naq . Sacrificio! Tagliare gola… mettere su barca… sfregare legno… così dio di acqua non furioso con noi.
— Noi non facciamo questo — disse Burton.
Kazz protestò, ma alla fine accondiscese a salire a bordo. Aveva il muso lungo, e appariva assai irritato. Burton, per calmarlo, gli disse che quella non era la Terra. Era un altro mondo, come poteva constatare anche da solo con una rapida occhiata tutt’attorno, e specialmente alle stelle. Gli dèi non vivevano in quella valle. Kazz lo ascoltò sorridendo, ma era evidente che si aspettava ancora di veder emergere dal fondo delle acque il volto dall’orribile barba verde e dai prominenti occhi da pesce di Kabburqanaqruebemss.
Quel mattino tutti gli abitanti della pianura si erano affollati intorno al catamarano. Erano giunti da molti chilometri intorno, poiché tutto ciò che era insolito costituiva fonte di divertimento. Gridavano, ridevano, scherzavano. Benché alcuni deridessero i navigatori, tutti erano di buon umore. Prima che l’imbarcazione entrasse nel Fiume, Burton salì sulla «plancia» (una piattaforma leggermente sopraelevata) e alzò una mano per chiedere silenzio. Il chiacchiericcio della folla cessò, ed egli cominciò il suo discorso, in italiano.
— Compagni lazzari , amici, abitanti della valle della Terra Promessa! Fra pochi minuti noi vi lasceremo…
— Se l’imbarcazione non si capovolge! — borbottò Frigate.
— … per risalire il Fiume, contro il vento e la corrente. Scegliamo la via più difficile perché le difficoltà offrono sempre la maggior ricompensa, se voi credete a quello che dicevano sulla Terra i moralisti; e vedete ora quanto ci fosse da credere alle loro parole!
Risate. Qua e là delle occhiatacce, da parte dei bigotti a oltranza.
— Sulla Terra, come forse alcuni di voi sanno, una volta guidai una spedizione nel cuore dell’Africa nera per scoprire le sorgenti del Nilo. Non le trovai, benché fossi arrivato a poca distanza; e fui defraudato della ricompensa da un uomo che doveva tutto a me, un certo signor John Hanning Speke. Se dovessi incontrarlo nel mio viaggio su per il Fiume saprò come comportarmi con lui.
— Buon Dio! — esclamò Frigate. — Vorresti che si uccidesse nuovamente per il rimorso e la vergogna?
— Ma il fatto è che il Fiume è assai, assai più grande di qualunque Nilo, che, come voi sapete, o forse non sapete, malgrado le erronee affermazioni degli americani circa i loro bacini dell’Amazzonia e del Mississippi-Missouri. Alcuni di voi hanno chiesto perché dovremmo partire per una meta che non sappiamo neppure quanto sia lontana, o che potrebbe addirittura non esistere. Io vi rispondo che stiamo salpando perché l’Ignoto è là e vorremmo farlo divenire Noto. E su questo mondo, contrariamente a quanto si usava durante la nostra triste e frustrante esperienza sulla Terra, non occorre denaro per l’attrezzatura o per il viaggio. Il Re Denaro è morto. Riposi in pace! E neppure dobbiamo compilare centinaia di domande e di moduli, né chiedere udienza a persone influenti e burocrati di second’ordine, per ottenere il permesso di risalire il Fiume. Non ci sono confini nazionali…
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