Philip Farmer - Il fiume della vita

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In una valle sconfinata, lungo le sponde di un fiume immenso, si è radunala tutta l’umanità di tutti i tempi, miliardi di persone che hanno gia vissuto e che si sono risvegliate a una nuova vita in attesa di un destino ignoto. Questi uomini e queste donne continuano pero a conservare la propria mentalità e spesso a ripetere gli stessi errori di un tempo, cercando di dominare gli uni sugli altri. Ma la nuova esperienza può anche costituire una possibilità per raggiungere quegli obiettivi che si sono mancati prima: questa almeno e l’opinione di Francis Burton, il celebre esploratore che trascorse gran parte dei suoi anni in una sfortunata ricerca delle sorgenti del Nilo. Ora per Burton può ricominciare una nuova esaltante avventura…

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— Per ora — commentò Frigate.

— … né occorrono passaporti, né si devono corrompere dei pezzi grossi. Ci siamo costruiti un’imbarcazione senza aver dovuto ottenere una licenza, e salpiamo senza dover dire «col vostro permesso» a nessuno di quegli zotici burocrati. Per la prima volta nella storia dell’uomo siamo liberi. Liberi! E vi diciamo addio. Non vi diciamo «arrivederci»…

— Non lo vorresti di certo — mormorò Frigate.

— … perché può darsi che siamo di ritorno fra un migliaio d’anni o giù di lì. Perciò vi dico addio, e anche l’equipaggio vi dice addio, e noi tutti vi ringraziamo per l’aiuto che ci avete dato nella costruzione e nel varo della nostra nave. Affido formalmente la mia carica di Console di Sua Maestà Britannica a Trieste a chiunque desideri accettarla, e mi dichiaro libero cittadino del mondo del Fiume! Non pagherò tributi a nessuno e non dovrò fedeltà a nessuno, tranne che a me stesso!

Frigate recitò:

Fa’ ciò che il tuo coraggio t’induce a fare,
e non attenderti applausi se non da te stesso;
vive e muore nel modo più nobile colui che si fa da sé
le proprie leggi.

Burton diede un’occhiata stupita all’americano, ma non lo interruppe. Frigate stava citando dei versi del poema di Burton, La Kasidah di Haji Abdu Al-Yazdi. Non era la prima volta che faceva delle citazioni dalle opere in prosa o in poesia di Burton. E benché talvolta Burton trovasse l’americano un po’ irritante, non poteva arrabbiarsi troppo con un uomo che lo aveva ammirato a tal punto da imparare a memoria le sue parole.

Pochi minuti più tardi, mentre uomini e donne spingevano l’imbarcazione nel Fiume e la folla applaudiva, Frigate fece un’altra citazione di Burton. Guardò le migliaia di giovani accalcati sulla riva, la loro pelle abbronzata dal sole, i loro policromi perizomi e reggiseni e turbanti agitati dal vento; e disse:

Oh, il giorno splendente di sole, e la brezza
vivace, e la moltitudine gioiosa,
incontrati nei giochi sull’argine
del Fiume quando ero giovane,
quando ero giovane.

L’imbarcazione entrò in acqua, e la prua fu spinta a valle dal vento e dalla corrente; Burton gridò degli ordini, e le vele vennero issate; poi egli spostò la grande barra del timone affinché la prua si volgesse a monte, ed ecco che l’imbarcazione prese a bordeggiare. Lo Hadji beccheggiava sulla corrente, fendendo l’acqua con gli scafi gemelli e facendola sibilare. Il sole era splendente e caldo, ma la brezza dava refrigerio; i naviganti, a mano a mano che gli argini e i volti familiari scomparivano alla vista, si sentivano riempire di gioia ma al tempo stesso di ansia. Non c’erano carte per guidarli, né resoconti di precedenti esploratori: il mondo sarebbe nato, chilometro per chilometro.

Quella sera, durante il loro primo sbarco, si verificò un fatto che lasciò perplesso Burton. Kazz aveva appena messo piede sulla riva, in mezzo a un gruppo di curiosi, allorché divenne tutto eccitato. Prese a farfugliare nella sua lingua, e cercò di afferrare un uomo che stava lì vicino. Questi fuggì, e in breve si perse tra la folla.

Quando Burton gli chiese cosa stava facendo, Kazz rispose: — Lui non avere… uhh… come chiamare?… il… il — e s’indicò la fronte. Poi tracciò nell’aria simboli incomprensibili. Burton intendeva andare a fondo della cosa, ma ecco che Alice, con un gesto improvviso, corse verso un uomo. Evidentemente aveva creduto che quello fosse un suo figlio, morto durante la prima guerra mondiale. Ci fu un po’ di confusione, e Alice ammise di aver preso un abbaglio. Ma ormai altre cose urgevano. Kazz non parlò più di quell’episodio, e Burton lo dimenticò. Ma un giorno se ne sarebbe dovuto ricordare.

Esattamente quattrocentoquindici giorni dopo, avevano superato quarantamila funghi di pietra situati sull’argine destro del Fiume. Bordeggiando, procedendo controvento e controcorrente, percorrendo in media un centinaio di chilometri al giorno, fermandosi di giorno per caricare i graal e di notte per dormire, e fermandosi talvolta tutto il giorno per sgranchire le gambe e per vedere della facce nuove, avevano già viaggiato per quarantamila chilometri. Sulla Terra questa distanza sarebbe stata quasi equivalente a un giro completo intorno all’equatore. Se si fossero collocati uno di seguito all’altro il Mississippi-Missouri, il Nilo, il Congo, l’Amazzoni, lo Yang-tze, il Volga, l’Amur, lo Hwang, il Lena, e lo Zambesi, il colossale fiume così ottenuto non sarebbe stato lungo come quel tratto del Fiume che avevano percorso. E ancora e ancora il Fiume continuava, una curva dopo l’altra, un meandro dopo l’altro. E sulle rive c’erano sempre le pianure, poi le colline coperte di alberi, e poi, torreggianti, invalicabili, ininterrotte, le catene di montagne.

Ogni tanto le pianure si restringevano, e le colline si presentavano più vicine al Fiume. Talvolta il Fiume si allargava divenendo un lago ampio cinque, otto, dieci chilometri. Qua e là le catene di montagne si curvavano avvicinandosi, e l’imbarcazione sfrecciava attraverso delle gole in cui la corrente ribolliva per l’esiguità dello spazio, e il cielo era un filo azzurro su su in alto, e le nere pareti incombevano sui naviganti.

E sempre si vedevano degli esseri umani. Giorno e notte gli argini del Fiume erano affollati da uomini, donne, bambini, e altri ancora ce n’erano sulle colline.

Ormai Burton aveva compreso il criterio di distribuzione. L’umanità era risorta lungo il Fiume secondo un’approssimativa sequenza cronologica ed etnologica. L’imbarcazione era passata lungo l’area abitata da sloveni e italiani e austriaci morti nell’ultimo secolo, e poi aveva toccato le zone occupate da ungheresi, norvegesi, finlandesi, greci, albanesi, irlandesi. Ogni tanto i naviganti approdavano in luoghi dove c’erano popoli provenienti da altre epoche e nazioni. Uno di questi era un tratto di poco più di trenta chilometri abitato da aborigeni australiani che sulla Terra non avevano mai visto un europeo. In un altro settore, lungo più di centocinquanta chilometri, c’erano i Tochari (il popolo di Loghu). Questi erano vissuti circa ai tempi di Cristo in quello che più tardi sarebbe divenuto il Turchestan cinese, e avevano costituito il limite orientale delle genti di lingua indoeuropea. La loro cultura era fiorita per breve tempo, scomparendo poi davanti all’avanzata del deserto e delle invasioni dei barbari.

Mediante calcoli che egli stesso dichiarava affrettati e approssimati, Burton aveva stabilito che ciascun’area comprendeva generalmente un sessanta per cento circa di rappresentanti di una data nazione e di un dato secolo, un trenta per cento di alcuni altri popoli, di solito di un’epoca diversa, e un dieci per cento di persone di ogni tempo e luogo.

Tutti gli uomini erano risorti circoncisi, e tutte le donne erano tornate vergini. Ma per la maggior parte di esse, commentò tra sé Burton, questo stato non era durato oltre la prima notte su quel pianeta.

Per il momento non si era ancora vista una donna incinta, né se ne era sentito parlare. Chi aveva collocato lì gli esseri umani doveva averli sterilizzati, e per ottime ragioni. Se l’umanità avesse potuto riprodursi, entro un secolo la valle del Fiume sarebbe stata una massa compatta di corpi.

All’inizio era sembrato che non ci fosse vita animale. Ora si sapeva che di notte uscivano dal suolo parecchi vermi. E il Fiume era popolato da almeno un centinaio di specie di pesci di tutte le dimensioni, dai pesciolini di quindici centimetri al pesce grande come un capodoglio, il «drago di fiume», che viveva sul fondo del Fiume a trecento metri di profondità. Frigate osservò che gli animali erano lì per un’ottima ragione. I pesci eliminavano i rifiuti dal Fiume e mantenevano limpide le acque. Alcuni tipi di vermi divoravano materiali di scarto e cadaveri. Altri vermi adempivano alle normali funzioni dei vermi della Terra.

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