Philip Farmer - Il fiume della vita

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Il fiume della vita: краткое содержание, описание и аннотация

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In una valle sconfinata, lungo le sponde di un fiume immenso, si è radunala tutta l’umanità di tutti i tempi, miliardi di persone che hanno gia vissuto e che si sono risvegliate a una nuova vita in attesa di un destino ignoto. Questi uomini e queste donne continuano pero a conservare la propria mentalità e spesso a ripetere gli stessi errori di un tempo, cercando di dominare gli uni sugli altri. Ma la nuova esperienza può anche costituire una possibilità per raggiungere quegli obiettivi che si sono mancati prima: questa almeno e l’opinione di Francis Burton, il celebre esploratore che trascorse gran parte dei suoi anni in una sfortunata ricerca delle sorgenti del Nilo. Ora per Burton può ricominciare una nuova esaltante avventura…

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Ai naviganti dello Hadji era capitato almeno trenta volte di dirigersi a una pietra-fungo e di essere a momenti catturati dai cacciatori di schiavi. Ma Burton e gli altri stavano attentissimi a riconoscere il più piccolo segno della presenza di un gruppo schiavista. Spesso le popolazioni confinanti li mettevano in guardia. Venti volte gli schiavisti avevano messo in acqua delle imbarcazioni per intercettarli, anziché cercare di attirarli a riva, e lo Hadji si era sottratto di stretta misura all’affondamento o all’abbordaggio. Cinque volte Burton era stato costretto a invertire la rotta e ridiscendere il Fiume. Il catamarano era sempre sfuggito ai nemici, piuttosto restii ad inseguirlo oltre i propri confini. Dopo di che lo Hadji era tornato indietro di nascosto nottetempo, oltrepassando l’area dei cacciatori di schiavi.

Un buon numero di volte lo Hadji non aveva potuto dirigersi a riva, poiché le popolazioni schiaviste occupavano entrambi gli argini per lunghissimi tratti. Allora l’equipaggio razionava i viveri oppure, con un po’ di fortuna, catturava abbastanza pesce da poter riempire il ventre.

I proto-camito-semiti di quella zona si erano mostrati abbastanza amichevoli dopo aver ricevuto l’assicurazione che l’equipaggio dello Hadji non aveva intenzioni cattive. Un moscovita del diciottesimo secolo avvertì Burton che dall’altra parte del canale c’erano delle popolazioni schiaviste. A causa delle ripide montagne non ne sapeva molto, però alcune imbarcazioni si erano spinte attraverso il canale e quasi nessuna era tornata indietro. Le superstiti avevano portato la notizia delle genti malvagie dell’altra parte.

Lo Hadji era stato caricato di germogli di bambù, di pesce secco, e di provviste ottenute razionando per due settimane quanto offrivano i graal.

C’era ancora una mezz’oretta di tempo prima di imboccare lo stretto. Burton rivolgeva la mente per metà alla navigazione e per metà ai suoi compagni. Questi erano sdraiati sul ponte di prua a prendere il sole, oppure stavano seduti con la schiena appoggiata al tetto del boccaporto, che chiamavano «castello di prua».

John de Greystock stava assicurando alla base di una freccia delle sottili ossa di un pescecorno. In un mondo in cui non esistevano gli uccelli, le ossa servivano benissimo da penne. Greystock (o Lord Greystocke, come Frigate insisteva a chiamarlo per qualche divertente ragione privata) era un uomo prezioso in un combattimento o dove si rendeva necessario un lavoro pesante. Sebbene volgare in maniera quasi incredibile, era un affascinante conversatore, una vera miniera di aneddoti sulle sue campagne in Guascogna e alle frontiere e sulle sue conquiste femminili, di pettegolezzi su Edoardo Gambelunghe, e naturalmente di informazioni sulla propria epoca. Però dal punto di vista di quelli vissuti dopo di lui, in molte cose era cocciuto e di mente ristretta, e non troppo irreprensibile. Asseriva di essere stato molto religioso in vita sua: e probabilmente diceva il vero, altrimenti non avrebbe avuto l’onore di far parte del seguito del Patriarca di Gerusalemme. Ma da quando era stata gettata sulla sua fede l’ombra del dubbio, egli odiava i preti. E cercava sempre di far imbestialire con le sue occhiate di disprezzo tutti quelli che incontrava, sperando che si scagliassero contro di lui. Alcuni lo facevano, ed egli li conciava per le feste. Con molta cautela (non ci si doveva rivolgere con severità a Greystock, se non si voleva trovarsi impegnati in un combattimento all’ultimo sangue) Burton l’aveva rimproverato per questo, facendogli notare che essendo ospiti in una terra straniera, e in numero enormemente inferiore a quello dei loro anfitrioni, si dovevano comportare da ospiti civili. Greystock gli aveva dato ragione, ma non aveva cessato di tormentare ogni prete che incontrava. Per fortuna i naviganti non si trovavano spesso nelle zone in cui c’erano dei preti cristiani. E inoltre, ben pochi di questi ammettevano di essere stati tali nella vita precedente.

Accanto a Greystock, immersa in incessanti conversari, c’era la sua donna del momento, nata Mary Rutherfurd nel 1637 e morta Lady Warwickshire nel 1674. Benché inglese, apparteneva a un’epoca posteriore di trecento anni a quella di Greystock, per cui tra di loro c’erano parecchie differenze di mentalità e punti di vista. Burton pronosticò che non sarebbero rimasti insieme molto a lungo.

Kazz era sdraiato sul ponte col capo in grembo a Fatima, una turca che il Neanderthal aveva incontrato quaranta giorni prima durante uno scalo per il pasto. Fatima, come aveva detto Frigate, sembrava essere affascinata dai peli. O almeno così egli spiegava l’ossessione che provava per Kazz quella donna del sedicesimo secolo, ex-moglie di un panettiere di Ankara. Costei trovava eccitante ogni particolare del Neanderthal, ma era il vello a mandarla in estasi. Tutti erano contenti del ritorno dei peli, e più di ogni altro lo stesso Kazz. Durante il viaggio non aveva visto una sola femmina della sua razza, benché avesse sentito parlare dell’esistenza di qualcuna. La maggior parte delle donne scappava al solo vederlo a causa del suo aspetto irsuto e bestiale, e prima di incontrare Fatima egli non aveva avuto una compagna fissa.

Il piccolo Lev Ruach era appoggiato al parapetto anteriore del castello di prua, e si stava fabbricando una fionda con la pelle di un pescecorno. Una sacca che teneva appesa alla vita conservava una trentina di ciottoli, raccolti negli ultimi venti giorni. Al suo fianco, chiacchierando rapidamente ed esibendo senza sosta i lunghi denti bianchi, stava Esther Rodriguez. Costei aveva sostituito Tanya, che aveva tormentato Lev fino al momento della partenza dello Hadji. Tanya era una donna minuta e aggraziata, e molto attraente, ma sembrava che non potesse fare a meno di «riplasmare» i suoi uomini. Lev riuscì a scoprire che aveva «riplasmato» padre, zio, due fratelli, e due mariti. Aveva poi cercato di fare lo stesso con Lev, e sempre a voce alta, affinché gli altri maschi nelle vicinanze potessero trarre profitto dai suoi insegnamenti. Un giorno, proprio mentre lo Hadji stava salpando, Lev era balzato a bordo; poi si era voltato verso di lei e le aveva detto: — Addio Tanya. Non posso più sopportare di ricevere osservazioni da una pedante come te. Trovati qualcun altro, uno che sia perfetto.

Tanya era rimasta senza fiato, impallidendo; poi aveva cominciato a gridare in direzione di Lev. A giudicare dai movimenti della sua bocca stava ancora gridando quando lo Hadji non era più da un pezzo a portata d’orecchio. Gli altri risero e si congratularono con Lev, ma questi si limitò a un sorriso triste. Due settimane dopo, in una regione abitata in prevalenza da antichi Libici, aveva incontrato Esther, un’ebrea sefardita del quindicesimo secolo.

— Perché non tenti la sorte con una Gentile? — gli aveva chiesto Frigate.

Lev si era stretto nelle minuscole spalle. — L’ho fatto. Ma prima o poi capita una litigata coi fiocchi, e quelle perdono le staffe e ti chiamano «dannato circonciso». Lo stesso accade con le mie donne ebree, ma da loro lo posso sopportare.

— Ascolta, amico — disse l’americano. — Lungo questo fiume ci sono miliardi di donne Gentili che non hanno mai sentito parlare di ebrei. Non possono avere dei pregiudizi. Prova con una di loro.

— Preferisco il male che conosco.

— Allora vuol dire che è di tuo gradimento — replicò Frigate.

Talvolta Burton si chiedeva perché Ruach rimanesse sullo Hadji. Non aveva più alluso a Ebrei, zingari, maomettani , benché rivolgesse spesso a Burton delle domande su altri aspetti del suo passato. Si comportava in modo abbastanza amichevole; ma in lui c’era qualche indefinibile riserva. Benché piccolo era un buon lottatore, ed era stato bravo come nessun altro a insegnare a Burton judo, karate, e jukado. La sua tristezza, che lo avvolgeva come una nebbia sottile perfino quando stava ridendo (o, secondo quanto diceva Tanya, perfino mentre faceva l’amore), proveniva da ferite intime. Queste erano state causate dalle sue terribili esperienze nei campi di concentramento in Germania e in Russia, o almeno così egli asseriva. Tanya aveva detto che Lev era nato triste, avendo ereditato i geni del dolore da tutti i suoi antenati su su fino a quelli che sedevano accanto ai salici di Babilonia.

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