Philip Farmer - Il fiume della vita

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Il fiume della vita: краткое содержание, описание и аннотация

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In una valle sconfinata, lungo le sponde di un fiume immenso, si è radunala tutta l’umanità di tutti i tempi, miliardi di persone che hanno gia vissuto e che si sono risvegliate a una nuova vita in attesa di un destino ignoto. Questi uomini e queste donne continuano pero a conservare la propria mentalità e spesso a ripetere gli stessi errori di un tempo, cercando di dominare gli uni sugli altri. Ma la nuova esperienza può anche costituire una possibilità per raggiungere quegli obiettivi che si sono mancati prima: questa almeno e l’opinione di Francis Burton, il celebre esploratore che trascorse gran parte dei suoi anni in una sfortunata ricerca delle sorgenti del Nilo. Ora per Burton può ricominciare una nuova esaltante avventura…

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Se i proprietari di quei cilindri non fossero tornati sarebbero rimasti a stomaco vuoto, a meno che qualcuno avesse diviso con loro la propria razione. Nel frattempo nessuno avrebbe toccato il cibo contenuto nei loro graal. Il giorno precedente avevano scoperto che ogni graal poteva essere aperto solo dal proprietario. Delle prove con un lungo bastone avevano dimostrato altresì che il proprietario doveva toccare il cilindro con le dita o con una parte del corpo affinché il coperchio si potesse sollevare. L’opinione di Frigate era che un dispositivo contenuto nel graal fosse sintonizzato col potenziale elettrico della pelle del proprietario. O forse nel graal c’era un sensibilissimo rivelatore delle onde cerebrali emesse dallo stesso.

Il cielo s’era ormai fatto luminoso. Il sole si trovava ancora dietro le montagne orientali, alte seimila metri. All’incirca una mezz’ora più tardi la pietra-fungo emise fiamme azzurre, accompagnate da un brontolio di tuono. Il fragore proveniente dalle altre rocce lungo il fiume echeggiò contro la montagna.

I graal fornirono uova e pancetta, prosciutto, pane tostato, burro, marmellata, latte, un quarto di melone, sigarette e una tazzina piena di cristalli color marrone scuro, che Frigate spiegò essere caffè liofilizzato. Bevve il latte in una tazza, la lavò nell’acqua di un contenitore di bambù, la riempì d’acqua e la mise accanto al fuoco. Quando l’acqua cominciò a bollire vi versò dentro una cucchiaiata di cristalli e mescolò. Il caffè era delizioso, e c’erano abbastanza cristalli da preparare sei dosi. Poi Alice mise i cristalli nell’acqua prima di scaldare questa sul fuoco, e scoprì che non era necessario usare il calore. Tre secondi dopo che i cristalli venivano versati nell’acqua, questa entrava in ebollizione.

Dopo aver mangiato lavarono i loro contenitori e li rimisero nei cilindri. Burton si assicurò il suo intorno al polso. Intendeva andare in esplorazione, e non voleva certo lasciare il suo graal sulla roccia. Benché non potesse fornire cibo se non a lui stesso, qualche malintenzionato poteva portarlo via solo per il piacere di vederlo morir di fame.

Burton cominciò la sua lezione di lingua con la bambina e Kazz, e Frigate fece partecipare anche Loghu. Suggerì poi di adottare una lingua universale, a causa dell’enorme numero di lingue e dialetti (forse cinquanta-sessantamila) che l’umanità aveva usato durante i suoi molti milioni di anni di esistenza, e che di nuovo stava ora usando lungo il fiume. Ammesso, naturalmente, che l’intero genere umano fosse risorto. In fondo, tutto quello che sapeva si limitava ai pochi chilometri quadrati che aveva visto. Ma sarebbe stata una buona idea cominciare a diffondere l’esperanto, la lingua artificiale inventata nel 1887 da quell’oculista polacco, il dottor Zamenhof. La sua grammatica era assai semplice e assolutamente regolare, e le sue combinazioni di fonemi, benché non così facili da pronunciare per chiunque come affermato, non erano tuttavia troppo difficili. E il lessico era basato sul latino, con molte parole derivate dall’inglese e dal tedesco e da altre lingue dell’Europa occidentale.

— Ne avevo sentito parlare già prima della mia morte — disse Burton. — Ma non ne ho mai visto degli esempi. Forse può dimostrarsi utile. Ma per ora insegnerò a questi due l’inglese.

— Ma la maggioranza, qui, parla italiano o sloveno — osservò Frigate.

— Può darsi che sia vero, benché non abbiamo ancora fatto alcun controllo. Comunque non intendo rimanere qui, può starne certo.

— Me l’ero immaginato — mormorò Frigate. — Lei è sempre stato irrequieto; non è mai riuscito a fermarsi in un posto.

Burton diede un’occhiataccia a Frigate e iniziò la lezione. Per una quindicina di minuti fece esercitare i suoi «alunni» nel riconoscimento e nella pronuncia di diciannove sostantivi e di alcuni verbi: fuoco, bambù, graal, uomo, donna, ragazza, mano, piede, occhio, dente, mangiare, camminare, correre, parlare, pericolo, io, tu, essi, noi. Si proponeva di imparare da loro mentre essi imparavano da lui. Col tempo avrebbe potuto parlare le loro lingue, quali che fossero.

Il sole rischiarò la cresta della catena orientale. L’aria si fece più calda, e il fuoco fu lasciato morire. Erano entrati nel secondo giorno della resurrezione, e non sapevano quasi nulla di quel mondo, né quale dovesse essere il loro destino finale, né Chi lo stava decidendo.

Lev Ruach sporse attraverso l’erba il volto dal grosso naso, e disse: — Posso venire anch’io?

Burton annuì, e Frigate rispose: — Certo, perché no?

Ruach si fece strada tra l’erba. Lo seguiva una donna piccola, dalla pelle chiara, con grandi occhi bruni e fattezze graziose e delicate. Ruach la presentò come Tanya Kauwitz. L’aveva incontrata la sera precedente, e si erano messi insieme dal momento che avevano molte cose in comune. Tanya era di stirpe russo-ebraica, era nata nel 1958 nel Bronx, Città di New York, era diventata insegnante d’inglese, aveva sposato un uomo d’affari che aveva accumulato un milione e poi era morto quando lei aveva quarantacinque anni, lasciandola libera di sposare un uomo meraviglioso che aveva amato da quando era una quindicenne. Sei mesi dopo era morta di cancro. Fu la stessa Tanya, e non Lev, a fornire queste notizie, e tutte in una volta.

— Ieri sera c’era l’inferno giù lungo il fiume — disse Lev. — Tanya e io fummo costretti a rifugiarci nei boschi per salvare la vita. Così decisi di ritrovarvi e chiedervi se avremmo potuto rimanere con voi. Le chiedo scusa per le mie parole avventate di ieri, signor Burton. Credo che le osservazioni che ho fatto siano valide, ma gli atteggiamenti di cui parlavo dovrebbero essere considerati nel contesto degli altri suoi atteggiamenti.

— Ne discuteremo alla prossima occasione — replicò Burton. — All’epoca in cui scrissi quel libro stavo subendo le conseguenze delle vili e malvagie menzogne degli usurai di Damasco, e questi…

— Certo, signor Burton — interruppe Ruach. — Un’altra volta, come ha detto lei. Io volevo solo sottolineare che la considero un uomo energico e di grande capacità, e che vorrei far parte del suo gruppo. Siamo in uno stato anarchico, se si può chiamare stato l’anarchia, e molti di noi hanno bisogno di protezione.

A Burton non piaceva essere interrotto. Si accigliò in volto e disse: — Mi consenta di spiegarmi, la prego. Io…

Frigate si alzò in piedi ed esclamò: — Ecco gli altri che arrivano! Chissà dove sono stati?

Però erano tornati solo quattro dei nove che avevano lasciato il gruppo. Maria Tucci spiegò che dopo aver masticato la gomma si erano messi a vagabondare insieme, finché avevano raggiunto uno dei falò nella pianura. Qui erano successe molte cose: c’erano state lotte e aggressioni di uomini contro donne, di uomini contro uomini, di donne contro uomini, di donne contro donne, e perfino aggressioni contro bambini. In quel caos il gruppo si era disperso, e Maria aveva ritrovato gli altri tre solo un’ora dopo, mentre stava cercando la pietra-fungo sulle colline.

Lev aggiunse alcuni particolari. Masticare quella gomma narcotica aveva prodotto delle conseguenze tragiche. divertenti, o soddisfacenti, a seconda (così pareva) della reazione dei singoli. Su molte persone la gomma aveva avuto un effetto afrodisiaco, ma ne produceva anche molti altri. Citò l’esempio di due, marito e moglie, che erano morti nel 1899 a Opcina, una frazione di Trieste. Erano risorti a un paio di metri l’uno dall’altro. Avevano pianto per la gioia di trovarsi riuniti, mentre questo non era avvenuto per moltissime altre coppie. Avevano ringraziato Dio per la loro buona stella, pur deprecando che quel mondo non fosse quello che era stato loro promesso. Ma avevano avuto cinquant’anni di matrimonio felice, e ora erano ben contenti di rimanere insieme per l’eternità.

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